Federer rilancia: “Vinco più del 2018” (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)
Il tempo passa, i tornei cambiano, anche di sede, ma il più amato dai fan rimane sempre Roger Federer. L’ennesima conferma, ma non ce n’era bisogno, al taglio del nastro dei nuovissimi Miami Open. Lasciata Key Biscayne dopo 31 anni per spostarsi a Miami Gardens, una quarantina di chilometri a nord, ieri si è svolta l’inaugurazione ufficiale del nuovo campus realizzato all’interno (e in quello che era l’enorme parcheggio) dell’Hard Rock Stadium, l’impianto nato per il football americano, ora diventato un grande contenitore sportivo. C’erano la padrona di casa (e anche di una quota dei Dolphins, la franchigia di football americano della città) Serena Williams, poi i due numeri 1, la silenziosa Naomi Osaka e Novak Djokovic, ma l’applausometro è schizzato più in alto quando sul centrale da 14.000 posti (ricavato all’interno del campo da football) ha fatto il suo ingresso Roger il Magnifico. Cori senza confini per lui, dai tifosi statunitensi a quelli argentini. «C’è un po’ di tristezza – ha spiegato Federer – per l’aver lasciato Key Biscayne, ma al tempo stesso anche una grande eccitazione: qui è tutto completamente diverso, con uno stadio dentro a uno stadio. Qualcosa del genere lo si è visto in incontri di Coppa Davis, oppure in alcune esibizioni, mai in un torneo. A Key Biscayne c’era meno spazio, ma era accogliente. Per lasciarlo dovevano avere delle buone ragioni, le conosco in parte e le comprendo. Così è come se si trattasse di un torneo nuovo. Ho già provato il campo, mi sembra che la velocità della superficie sia la stessa Mi ricorda un po’ gli US Open, quando hanno messo il tetto, anche qui ci sarà più ombra». Tre successi a Miami per Federer (2005, 2006 e 2017), il record è di Andre Agassi e Novak Djokovic (sei), e l’anno scorso una inusuale eliminazione al debutto (contro Thanasi Kokkinakis). Ma anche se compirà 38 anni in agosto Federer continua a non sentire il peso dell’età. «Quanti titoli voglio vincere ancora? Beh non altri cento…». Ride Roger prima di riprendere a parlare e candidarsi per un nuovo successo a Miami. «Non lo so quanti, di sicuro voglio vincere ancora, adesso mi sento bene, contento di quanto fatto a Dubai e anche a Indian Wells, ci sono andato molto vicino, in definitiva è più facile ora di quando ero più giovane. Spero di avere altre opportunità, l’importante è stare bene fisicamente, essere felice quando si gioca ed è quello che sento ora, direi un buon segno per il futuro». Insomma nessuna minaccia di ritiro… «Senza risultati, gioia di giocare e la buona salute, certo non potrebbe funzionare. Ho bisogno di tutto questo, ma fino a quando continuo a vincere rimango nel tour. Ho un team fantastico, una moglie meravigliosa, quattro figli, nel circuito passo bei momenti e la cosa più importante è poi produrre buoni risultati quando scendo in campo». E il 2019 dovrà essere più vincente del 2018. «Certo, il mio obiettivo è di fare meglio dell’anno scorso – ha ribadito – Anche a Miami ovviamente, visto che dodici mesi fa sono uscito subito» […]
Rafa Nadal Academy: ecco dove crescono i campioni di domani (Alberto Pastorella – Walter Perosino, Tuttosport)
Il Paradiso del tennis sognato sta in un posto un po’ brullo di un’isola bellissima, Palma di Maiorca. Manacor, non siamo ipocriti, non meriterebbe nemmeno una visita, ma ha un grosso pregio. Anzi due: ha dato i Natali a Rafael Nadal ed è stata scelta dal tennista spagnolo per aprire la sua Academy, primo e unico esempio di giocatore in attività che pensa alle generazioni future. Tanto basta per farla diventare l’ombelico del mondo per una marea di ragazzini (e una buona “ondata” di adulti) che da due anni e mezzo hanno cominciato a frequentarla. Alla Rafa Nadal Academy, nel programma annuale, si può essere accettati dai 12 ai 17 anni. Il costo è elevato (56 mila euro la retta), ma ci si trova al top non solo del tennis, con istruttori di primissimo livello, ma anche nella scuola, dove è stata scelta la partnership con l’American International School, un’eccellenza in grado di portare gli studenti-tennisti a poter entrare nelle più prestigiose università statunitensi, spesso con una borsa di studio sportiva. «Al momento abbiamo 140 ragazzi, provenienti da più di trenta paesi differenti in rappresentanza di tutti i continenti – ci spiega Maria Julve Garrido, del dipartimento Gruppi ed Eventi della Rafa Nadal Academy -. Lo studio non è affatto secondario, anzi: i ragazzi sono seguiti e devono ottenere risultati anche sui libri, altrimenti scattano le sanzioni. Non tutti da grandi vogliono fare i tennisti, non tutti sognano una classifica ATP o WTA: c’è anche chi è qui per studiare e fare sport». E proprio questo è uno dei motivi che ha convinto Rafael Nadal ad aprire un centro simile: a troppi tennisti (e sportivi ingenerale) non è consentito praticare sport agonistico e studiare. L’Accademia serve anche a questo. I ragazzi vivono, studiano e mangiano in una palazzina a parte, riservata esclusivamente a loro, dove hanno anche una sala fitness, una sala giochi. E stanze rigorosamente doppie. La capienza è di 200 persone, attualmente è occupato al 70% e proprio per questo si sta ancora meglio. D’estate le stanze si svuotano e vengono subito riempite da chi aderisce al Summer Camp: una full immersion nell’Academy più esclusiva. L’altra palazzina, invece, quella nella quale all’ingresso appare gigantesca l’immagine di Rafa in una delle sue posizioni più amate dagli appassionati, è in realtà un hotel a cinque stelle (quattro nella catalogazione spagnola, ma possiamo garantire il livello elevatissimo) riservato a chi invece sceglie l’Academy per uno stage settimanale o bisettimanale. Adulti e bambini sono accolti e coccolati: quando vanno a giocare a tennis, vengono seguiti dagli stessi istruttori destinati ad allenare i big. Tra gli 11 e i 18 anni, i corsi prevedono 22 ore settimanali sul campo, più 6 ore di preparazione atletica e ancora 7 ore di attività su “Come si diventa un campione”. Per i più grandi, le ore di allenamento diventano 12, più 5 di preparazione atletica: non più di tre alunni per maestro. Nelle pause dal tennis, una fantastica spa offre ogni genere di confort, la palestra è dotata delle attrezzatura più sofisticate, la piscina coperta e quella scoperta garantiscono relax e a tavola è meglio controllarsi, sennò poi in campo si fatica il doppio. Imperdibile la visita al Rafa Nadal Museum Experience […] Anche l’Italia sta scoprendo la Rafa Nadal Academy, grazie al pressante lavoro di Simone Neri, responsabile dell’Accademia per il nostro Paese: «[…] Vogliamo riuscire a trasmettere l’idea dei molteplici programmi di allenamento che abbiamo, per tutti i livelli di tennis, da quello professionale a quello amatoriale […] Abbiamo poi ben quattro tornei Future 15.000 dollari, che aprono in gennaio la stagione agonistica professionale, tre tornei ITF Senior, il nuovissimo Challenger a fine agosto e i tornei giovanili Ten Pro, che stanno riscuotendo un grande successo tra i ragazzi di tutta Europa. Credo davvero ci sia la possibilità di portare in Academy tanti tennisti Italiani, per un torneo o per un periodo di allenamento più o meno lungo. Tutti quelli che stanno già venendo, rimangono estasiati dal livello e dall’atmosfera talvolta surreale che si respira. Entrare da vicino nel mondo di Rafa significa scoprire quei valori importantissimi, che sono poi stati il segreto della sua formidabile carriera. Credo che ognuno di noi se li possa un po’ cucire addosso, rielaborarli e assaporarne il gusto, sulla propria pelle».
La lezione di zio Toni: “Tirala sempre dentro. Non complicarti la vita” (Alberto Pastorella – Walter Perosino, Tuttosport)
Come Rafa, anche i Nadal del futuro crescono sotto l’occhio attento di zio Toni. Era il punto di riferimento fino a due anni fa del campione spagnolo, adesso plasma i 140 aspiranti campioni, maschi e femmine, spagnoli e non, all’interno di quel gioiello sportivo che è la Rafa Nadal Academy di Manacor, a una cinquantina di chilometri da Palma, isola di Maiorca. «È stata un’idea di Sebastian, mio fratello e padre di Rafa, cioè costruire un polo sportivo che potesse veicolare il nome di Nadal nel mondo, ma al tempo stesso di essere un centro di incontro per tutti i bambini di Manacor e dintorni, la sua e la nostra terra. A circa due anni e mezzo dall’apertura siamo soddisfatti. Tutto si può migliorare, ovviamente, ma giorno dopo giorno l’accademia cresce nel rispetto di un principio basilare al quale teniamo molto: consentire ai ragazzi di praticare sport studiando e di studiare praticando sport. Quello che Rafa, quando era giovane, non ha potuto fare», spiega Toni Nadal affacciato sul centrale dell’Academy. Per quasi due decenni è stato l’ombra di Rafa in tutti i campi del mondo condividendo con lui sconfitte, poche, e storici trionfi, un’enormità soprattutto al Roland Garros di Parigi dove insegue la magia numero 11, ma sempre con grande compostezza. Poi la decisione di assumere la responsabilità del progetto: «Sono direttore e supervisore dell’Academy. Sono sempre stato un maniaco dell’allenamento, mi piace intervenire, dare consigli ed essere coinvolto nella crescita. Come i maestri nelle scuole, decidiamo le fortune dei nostri allievi. Mi piaceva molto lavorare con un solo atleta, mio nipote, adesso vivo intensamente il piacere di lavorare con tanti. Certo, mi manca l’adrenalina della partita vissuta nel box a bordo campo e confesso che il primo anno è stata dura seguire le partite di Rafa in televisione, a distanza, ma ora mi sento realizzato. Le mie più grandi emozioni al suo fianco? Mi ha emozionato vederlo vincere tanto, il primo e il decimo Roland Garros oppure Wimbledon, ma nella mia memoria è ancora impressa l’emozione di quando tredicenne giocava al Tennis Club Manacor». La Rafa Nadal Academy non è solo una fucina di atleti più o meno promettenti, ma è soprattutto un’idea di sport costruita intorno ad una filosofia con la quale Toni Nadal ha disegnato e accompagnato il trionfale percorso agonistico di Rafa: «Ognuno di noi è consapevole delle proprie qualità, può avere una sensazione e cercare in tutti i modi di assecondarla in ogni singolo allenamento o partita. Federer, per esempio, sapeva di essere Federer sin da quando aveva iniziato la sua carriera, soprattutto perché intimamente ci si proietta sempre verso un futuro ottimistico fatto di vittorie e successi. Nessuno prefigura per se stesso il contrario, sarebbe assurdo. È un percorso mentale importante attraverso il quale ognuno può costruire il proprio percorso. E in questo diventa fondamentale essere presi per mano da istruttori preparati: in questa fase di crescita diventa fondamentale il compromesso tra maestro e allievo. La funzione di un allenatore non è solo cosa dice, ma soprattutto come lo dice e quando lo dice. Credo molto nell’intensità fisica e mentale, non credo nella tecnologia perché proprio non riesco a stare ore davanti a un video ad analizzare movimenti o tecniche. La mia filosofia è semplice: ‘Tirala dentro e non complicarti la vita’. L’avversario non è mai un nemico, Djokovic e Federer sono stati dei rivali con i quali a volte è andata bene, a volte male, ma la sconfitta non è mai stata una tragedia. Io tifo Barcellona, ma non sono contro il Real Madrid». […] Non è una equazione esatta allenarsi alla Rafa Nadal Academy e diventare in automatico campioni. Ma in soli due anni i primi frutti si sono visti attraverso giocatori e giocatrici che stanno scalando le classifiche mondiali: «Jaume Munar, che è di Felanitx, a due passi da Manacor, è venuto da noi che gravitava intorno al numero 280 del mondo e oggi è a ridosso dei primi 50. È un atleta ancora in formazione, sulla palla è agile e unisce bene tecnica e atletismo, ma difetta ancora del colpo vincente che chiude lo scambio. Gli ho insegnato a non accontentarsi mai e a motivarsi nella vita di sportivo, poi toccherà a lui trovare le chiavi per migliorarsi ancora. È stata una grande soddisfazione l’ingresso del norvegese Casper Ruud nei primi cento: un ragazzo d’oro con una famiglia molto educata al fianco. Gli manca un po’ di grinta, però nel suo futuro vedo delle possibilità importanti. Ma proprio in questi giorni stiamo vivendo con grande gioia i successi di una ragazza che può veramente diventare una top ten: la spagnola Rosa Vicens Mas che a 18 anni ha già vinto un Futures e da numero 650 è approdata in semifinale a Tunisi. E poi c’è Pedro Vives, ha 16 anni e viene ad allenarsi da noi da Maiorca. Rafa vede in lui delle qualità e per questo motivo lo chiama spesso a fargli da sparring. Vediamo se saprà cogliere l’occasioni per migliorare se stesso e il suo gioco». Zio Toni non nasconde di essere un tradizionalista, il tennis del futuro lo lascia perplesso e fortemente contrariato: «Non mi piacciono affatto le nuove regole della Next Gen. Il tennis non si adatta ai tempi moderni come hanno fatto la pallavolo o il calcio. La gente vuole novità che abbiano un impatto immediato sul gioco, ma questo non è possibile nel nostro sport. Anche per la Coppa Davis ero molto legato alla vecchia formula, più bella e più avvincente, ma riconosco che nel calendario di oggi un cambiamento, purtroppo, era inevitabile. Quello che non sopporto è il giudizio frettoloso di Federer che ha bollato la figura di Gerard Piqué, artefice con la sua società della rivoluzione del format che riunirà in un’unica sede, nel 2019 sarà a Madrid, le 18 finaliste, come ‘un calciatore che non dovrebbe occuparsi di tennis’. A me pare incredibile che un uomo di sport debba essere etichettato in questo modo. Rafa la pensa come me e, infatti, sarà in campo per difendere i colori della Spagna».
Djokovic il politico lotta per i diritti e prepara lo Slam (Paolo Rossi, Repubblica)
Un Novak Djokovic a trecentosessanta gradi ha aperto le danze dell’ultimo torneo che si gioca oltreoceano, prima che l’Europa si prenda il tennis per la primavera e l’estate. Il serbo, nel giorno inaugurale del Master 1000 di Miami, ha parlato un po’ di tutto. Perfino una battuta sul suo nuovo compagno di doppio, un certo Fabio Fognini. «Quando abbiamo giocato ci siamo parlati in italiano. E mi sembra che a Indian Wells non sia andata malissimo, e anzi volevamo rifarlo qui a Miami ma non è stato possibile per una serie di ragioni che è troppo lungo spiegare ora e non vorrei annoiarvi». Ecco, Miami, nuova di zecca: ha cambiato casa, lasciando Key Biscayne per il tempio dei Dolphins, la squadra di football […] «A me è piaciuto, i colori e tutto il resto» ha detto il serbo promuovendo senza alcun dubbio lo sforzo organizzativo, ma in fondo Djokovic è in conflitto di interessi affettivo, con questa città della Florida. «È che io qui ho vinto il mio primo torneo importante, un fatto che mi ha dato energia per il prosieguo della mia carriera, ha fatto sì che poi tutte le cose capitassero a cascata. Ecco, per cui quando io vengo qui per me è un reimmergermi in un fiume di ricordi belli e positivi che mi danno carica». Un Djokovic tirato a lucido, che ha in mente un solo e unico obiettivo: Parigi, il secondo passo verso il Grande Slam che non viene realizzato dal 1969 (Rod Laver) cui il leader ambisce, più o meno senza mezze misure. Certo, sulla strada c’è un fantasma, ossia quel Rafa Nadal che ha salutato gli Stati Uniti d’America anzitempo per colpa di una ricaduta al ginocchio, proprio la settimana scorsa a Indian Wells […] «Sono felice che sia Roger che Rafa vogliano interessarsi maggiormente alle cose dell’ATP» ha risposto a domanda il serbo. Il punto è che la parte politica del mondo della racchetta è in fibrillazione, dopo il licenziamento di Chris Kermode, amministratore delegato del sindacato. La storia è nota, essendo stato bocciato il suo lavoro, ritenuto lontano dagli interessi dei giocatori e più vicino invece agli organizzatori dei tornei: la famosa e-mail del canadese Pospisil («Ancora oggi i nostri premi sono meno del 10% dei loro introiti») ha dato il via al cambio. «Il Consiglio dei giocatori è un organo democratico, che rappresenta centinaia di altri giocatori che lo eleggono, quindi non è che decido io, o il consiglio. Non solo: essendo Roger e Rafa esponenti di spicco del nostro sport, è ovvio che la loro opinione venga ascoltata con grande interesse per cui dico a loro ‘benvenuti’, felice che abbiano voglia di migliorare il nostro mondo con la loro esperienza». Infine, l’ultimo pensiero della sua giornata a tutto tondo è di tipo familiare, e riguarda Marko, il fratello minore che ha tentato senza fortuna di seguire le sue orme e che ora ha deciso di intraprendere la carriera di allenatore. «Beh, il tennis è pieno di storie di fratelli e sorelle, no? Io sono contento che Marko ritorni sui campi, e voglio che sia chiaro che io non c’entro nulla con la sua scelta, che è assolutamente indipendente. E sono anche certo che farà un buon lavoro, con i ragazzi che seguirà». Così parlò il leader, ascoltato e rispettato. Da oggi, pero, tutti cercheranno di batterlo senza fargli sconti.
Nell’arena della NFL o sulla pista di F1. Tennis senza confini (Stefano Semeraro, Stampa)
Il maggiore Wingfield, il codificatore del Lawn Tennis, era un tipo scorbutico ma lungimirante. Il suo famoso kit – palle, racchette, rete e picchetti contenuti in una scatola di legno – era adattabile a qualsiasi superficie, dall’erba al ghiaccio (e infatti l’ice tennis fu popolare in America a inizio Novecento). Era convinto di aver inventato il passatempo ideale per le coppiette vittoriane in cerca di svago, e si sarebbe sicuramente stupito nel leggere l’estratto conto di Federer o di Djokovic. Molto meno di vedere un torneo traslocato all’interno di uno stadio di football americano, altro sport nato fra gli Anni 60 e 70 dell’Ottocento, come è capitato al Masters 1000 di Miami. Il centrale (temporaneo) da 15 mila posti da quest’anno si adagia alla Curva Sud dell’Hard Rock Stadium, quello dei Miami Dolphins, gli altri 29 – dicasi ventinove – campi, compreso un Grand Stand da 5000 spettatori, sono invece permanenti, voluti espressamente dal proprietario dei Dolphins, Stephens Ross […] Nel 2014 si è giocato uno Stati Uniti-Inghilterra al Petco Park, la casa dei San Francisco Padres di baseball, la Francia da anni bivacca nel gelido Pierre Morouy, dove gioca il Lille, dopo aver noleggiato anche l’arena romana di Nimes. In Austria nel 1990 si inondò di terra battuta una curva del Prater, e per un match con la Francia persino uno degli hangar dell’aeroporto Schwechat di Vienna. Gli olandesi nel 1994 hanno sfruttato una banchina del porto di Rotterdam, i tedeschi un padiglione della Fiera di Dusseldorf. L’Argentina nel 2007 per ospitare Russia e Germania invase il Monumentalito, il campo di allenamento del River Plate. Gli spagnoli hanno profanato (per l’aficion taurina) persino la Plaza de Toros di Madrid, e chi nel 1992 era a Maceiò per i quarti di finale di Coppa Davis fra Brasile e Italia non ha dimenticato le tribune oscillanti sul bagnasciuga […] l’anno prossimo a Monza un Atp 250 (la stessa categoria di Doha), e per giunta sull’erba, potrebbe essere organizzato sulla pit-lane dell’autodromo, una novità assoluta. La data in ballo è la terza settimana di giugno – alla vigilia di Wimbledon – le concorrenti sono Maiorca e Skurup, in Svezia, mentre il promotore della candidatura è l’ex arbitro Giorgio Tarantola, che ha già raccolto un discreto portfolio di sponsor e un primo testimonial in Marco Cecchinato. L’erba necessaria al centrale e altri altri 5 campi, che sorgerebbero nel paddock della F1, verrebbe srotolata e arrotolata ogni anno. Un prodigio giardiniero di cui il vecchio Wingfield, connazionale di Lewis Hamilton, sarebbe fiero. La sua idea, in un secolo e mezzo, ha saputo mettere radici davvero dappertutto.
ATP di tennis, il governo: Torino è a un passo (Jacopo Ricca – Diego Longhin, Repubblica Torino)
Tutti si dicono fiduciosi, come se le Atp Finals fossero già un appuntamento torinese. I contatti tra Miami, dove il circo del tennis mondiale professionistico si è trasferito dopo il torneo di Indian Wells, Roma, dove ha sede la Fit, e Torino, dove la sindaca Chiara Appendino continua a battersi per portare uno dei tornei più importanti del tennis in città, sono costanti. I sottosegretari pentastellati Simone Valente e Laura Castelli, da un lato, e quello leghista, Giancarlo Giorgetti, dall’altro, sono al lavoro per sistemare gli ultimi dettagli sulle garanzie finanziarie, ma anche Appendino si sta spendendo perché l’impegno del governo si traduca in una fideiussione bancaria del tipo richiesto da Atp. «Sento il presidente della Fit Angelo Binaghi che è fiducioso. Se lo è lui lo sono anch’io. So che c’è da sistemare la vicenda della fideiussione ma se ne sta occupando il Credito sportivo», sottolinea Giorgetti. Il sottosegretario d’altronde collega il sostegno agli Atp al «sì» alla copertura economica alle Olimpiadi invernali del 2026 di Milano e Cortina. Per Torino ospitare il torneo di tennis dal 2021 sarà un modo per rimarginare la ferita olimpica. La prima cittadina, anche nei momenti più bui, quando da Roma non arrivavano segnali positivi ma solo indicazioni che facevano pensare che la partita fosse chiusa in negativo, ha continuato a sperare e lavorare per tenere la candidatura in piedi. Il Comune di Torino ha stanziato 1,5 milioni, mentre la Regione lunedì darà, approvandolo in prima Commissione, un contributo pluriennale di 7,5 milioni. Per il 2021 ci sono già 600mila euro iscritti a bilancio […] La certezza su chi ospiterà il torneo dal 2021 non ci sarà prima del 27 marzo, forse il termine potrebbe slittare addirittura al 31 e questo impedisce di dire che i giochi siano fatti per Torino. Una cosa è certa: i giocatori hanno ribadito ancora una volta la contrarietà al trasferimento in Asia dell’ultimo torneo dell’anno, quello che precede il periodo di riposo che la maggior parte di loro passa in Europa. Resta l’incognita di Londra, sede attuale, super favorita fino a quando ha scelto di non fare un’offerta al rialzo come si aspettavano i vertici Atp. Se questa dovesse arrivare all’ultimo potrebbe cambiare le carte in tavola, un po’ come il decreto del governo ha fatto la scorsa settimana per Torino.