Slam sul cemento: chi è il migliore di sempre?

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Slam sul cemento: chi è il migliore di sempre?

Con gli US Open alle porte, un breve studio di Ubitennis analizza oltre quattro decenni di rendimento nei due Slam sul cemento

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Novak Djokovic - Australian Open 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)
 

Il tennis, manco a dirlo, premia la continuità. Gli highlight reels sono eccitanti, sublimazioni dell’estro e soprattutto del rimpianto, ma sul lungo termine importa esserci a lungo. Ecco perché si è provato a valutare il rendimento di tutti i finalisti e semifinalisti Slam dell’Open Era (dalla primavera del 1968 in poi) superficie per superficie, iniziando con il cemento, topico in questa fase dell’anno.

Il cemento è particolarmente interessante come superficie di studio perché, banalmente, ci sono 2 Slam con un lungo periodo di attività da mettere a confronto. Gli US Open, dopo aver flirtato per 3 stagioni con la terra verde (1975-7) dopo quasi un secolo di erba (1881-1974), sono diventati il primo Major sul duro quando si sono trasferiti a Flushing Meadows nel 1978 (peraltro questo rende ancora più impressionante il record di Jimmy Connors in quel periodo, 5 finali di fila su 3 superfici diverse, con una vittoria su ciascuna) e hanno perciò ospitato 41 edizioni sul DecoTurf. Gli Australian Open, all’epoca sbertucciati da ogni top player che non si chiamasse Vilas o Vytautas, ci hanno messo un decennio in più, transumando dai prati al cemento come la via Gluck nel gennaio del 1988, con il passaggio dal Kooyong Lawn Tennis Club a Melbourne Park dove si sono giocate le ultime 32 edizioni. Il corollario di questi cambiamenti relativamente recenti è che la classifica è sincronica, estremamente circoscritta nel tempo, ed è quindi forse la miglior cartina tornasole per gli ultimi 40 anni del gioco.  

Il giochino, auto-indulgente ma qualcuno deve pur farlo, è molto semplice: si assegna un valore numerico al turno raggiunto, 1 al primo turno, 2 al secondo, 3 al terzo e via discorrendo, fino alla vittoria finale, che invece di valere 8 vale però 9 – giusto per ribadire, vincere non è l’unica cosa che conta, ma ha una discreta rilevanza. Si calcola quindi il valore medio dividendo il totale per il numero di tornei disputati. Le discriminanti sono altresì molto stringate: bisogna aver raggiunto almeno una finale Slam sulla superficie (o una semifinale, in una lista separata), e aver giocato almeno 5 tornei sulla stessa.

Questa seconda regola è particolarmente dolorosa perché porta all’esclusione di Bjorn Borg: l’Orso Svedese avrebbe il rendimento migliore in assoluto, 6.5, ed è, senza tema di smentite, il più grande di sempre per efficienza nei Major (27 giocati con 16 finali raggiunte e 11 vittorie), ma ha partecipato, non per scelta, solamente a 4 Slam sul cemento, a New York dal 1978 al 1981, e quindi rimane fuori, un po’ perché il campione di partecipazioni è oggettivamente limitato, un po’ perché sarebbe quantomeno bizzarro vedere al primo posto uno che, a conti fatti, non ha mai vinto uno Slam sulla superficie – 3 finali nella Grande Mela, tutte perse con i padroni di casa.

Ecco la lista con i migliori 32 finalisti, a mo’ di seeding (in grassetto i giocatori ancora in attività):

  1. Novak Djokovic, 6.29 (15 finali, 10 titoli)
  2. Roger Federer, 6.16 (14 finali, 11 titoli)
  3. Jimmy Connors, 6 (3 finali, 3 titoli)
  4. Pete Sampras, 5.92 (11 finali, 7 titoli)
  5. Ivan Lendl, 5.78 (11 finali, 5 titoli)
  6. Andre Agassi, 5.43 (10 finali, 6 titoli)
  7. Rafael Nadal 5.39 (9 finali, 4 titoli)
  8. John McEnroe 5.33 (5 finali, 4 titoli)
  9. Stefan Edberg 4.74 (5 finali, 2 titoli)
  10. Andy Murray 4.62 (7 finali, 1 titolo)
  11. Miloslav Mecir 4.43 (2 finali)
  12. Andy Roddick 4.42 (2 finali, 1 titolo)
  13. Boris Becker 4.32 (3 finali, 3 titoli)
  14. Mats Wilander 4.17 (3 finali, 2 titoli)
  15. Yevgeny Kafelnikov 4.12 (2 finali, 1 titolo)
  16. Jim Courier 4.1 (3 finali, 2 titoli)
  17. Stanislas Wawrinka 4.04 (2 finali, 2 titoli)
  18. Marin Cilic 4 (2 finali, 1 titolo)
  19. Vitas Gerulaitis 4 (1 finale)
  20. Jo-Wilfried Tsonga 3.9 (1 finale)
  21. Juan Martin Del Potro 3.89 (2 finali, 1 titolo)
  22. Kei Nishikori 3.78 (1 finale)
  23. Marat Safin 3.7 (4 finali, 2 titoli)
  24. Michael Chang 3.37 (2 finali)
  25. Todd Martin 3.32 (2 finali)
  26. Lleyton Hewitt 3.29 (3 finali, 2 titoli)
  27. Marcelo Rios 3.21 (1 finale)
  28. Michael Stich 3.13 (1 finale)
  29. Pat Rafter 3.06 (2 finali, 2 titoli)
  30. Juan Carlos Ferrero 2.87 (1 finale)
  31. Fernando Gonzalez 2.81 (1 finale)
  32. Kevin Anderson 2.7 (1 finale)

E la lista che include anche i semifinalisti (ancora in grassetto i giocatori in attività)

  1. Novak Djokovic, 6.29
  2. Roger Federer, 6.16
  3. Jimmy Connors, 6
  4. Pete Sampras, 5.92
  5. Ivan Lendl, 5.78
  6. Andre Agassi, 5.43
  7. Rafael Nadal 5.39
  8. John McEnroe 5.33
  9. Stefan Edberg 4.74
  10. Andy Murray 4.62
  11. Miloslav Mecir 4.43
  12. Andy Roddick 4.42
  13. Boris Becker 4.32
  14. Mats Wilander 4.17
  15. Yevgeny Kafelnikov 4.12
  16. Jim Courier 4.1
  17. Stanislas Wawrinka 4.04
  18. Marin Cilic 4 (con una vittoria e un’altra finale)
  19. Vitas Gerulaitis 4 (con una finale)
  20. Jo-Wilfried Tsonga 3.9
  21. Juan Martin Del Potro 3.89
  22. Kei Nishikori 3.78
  23. Roscoe Tanner 3.71 (1 semi-finale)
  24. Marat Safin 3.7
  25. Aaron Krickstein 3.65 (2 semi-finali)
  26. Tomas Berdych 3.63 (3 semi-finali)
  27. Milos Raonic 3.625 (1 semi-finale)
  28. Yannick Noah 3.57 (1 semi-finale)
  29. Guillermo Vilas 3.44 (1 semi-finale)
  30. Michael Chang 3.37
  31. David Nalbandian 3.35 (2 semi-finali)
  32. Todd Martin 3.32

Quali considerazioni si possono fare?

La prima è che il cemento davvero premia la continuità, come si può dedurre da un paio di considerazioni: solo 9 giocatori hanno vinto almeno 3 Slam sul cemento nell’Open Era, e i primi 8 di entrambe le liste fanno parte del novero – l’unica eccezione è Boris Becker, comunque tredicesimo e bravo a vincere tutte le finali disputate sulla superficie (New York 89, Melbourne 91 e 96). Qui si potrebbe commentare “embé? Serviva questo pezzo per capire che chi vince di più ha anche il rendimento più continuo?” La risposta è nì, perché se da una parte il dato è quasi apodittico, dall’altra gli stessi studi su terra ed erba (che verranno pubblicati successivamente) dimostrano che non è così.

D’altronde, la lista segue abbastanza linearmente il numero di finali disputate, tant’è che Djokovic, al momento ancora secondo dietro a Federer per Slam vinti sul cemento (11-10 per lo svizzero, ma questo dato potrebbe risultare datato fra un mese) gli passa davanti come rendimento medio, avendo raggiunto più finali (15-14), e lo stesso vale per le posizioni seguenti (Sampras e Lendl 11, Agassi 10, Nadal 9, McEnroe ed Edberg 5), con le sole eccezioni, opposte, di Connors e Murray.

Roger Federer – US Open 2018 (foto via Twitter, @usopen)

Jimbo ha fatto 3 su 3 nelle finali Slam sul cemento, quindi un numero inferiore agli altri dioscuri, ma ha anche giocato un numero considerevolmente più basso di Slam sulla superficie con 14 partecipazioni, e perché il primo Major sul cemento si è disputato quando aveva 26 anni, e perché ha smesso di andare in Australia nel 1975. Sir Andy, al contrario, ha disputato ben 7 ultimi atti sul cemento, ma paga le 6 sconfitte, di cui 5 a Melbourne, di cui 4 con Djokovic.

Inoltre, come si sarà notato, le prime 22 posizioni sono le stesse in entrambe le liste, quindi, pur essendoci dei grandi semifinalisti, nessuno si avvicina ai punteggi dei più grandi, o più in generale a valori superiori al 4 – anche qui, sulle altre 2 superfici si troveranno delle eccezioni.

Per quanto riguarda i dati più sorprendenti, si possono individuare 2 coppie: da un lato, Mecir e Gerulaitis hanno un rendimento straordinario, spiegato parzialmente dal basso numero di partecipazioni, 7 per lo slovacco, 8 per il compianto lettone-americano, e lo stesso vale, fra i semifinalisti, per Tanner e Vilas. D’altro canto, gli underachiever per eccellenza sono Hewitt e Safin, 3 finali e 2 vittorie per il primo, 4 finali e 2 vittorie per il secondo, ma con una media inferiore al 4, per motivi opposti: se l’aussie, addirittura fuori dai primi 32 nella lista dei semifinalisti, soffre il rapido burnout a dispetto di una carriera molto lunga (ha smesso di essere un Top 10 a 24 anni ma giocato in singolare fino a 35) e anni di prestazioni deludenti davanti al pubblico amico, il buon Marat è ovviamente penalizzato dagli infortuni e da una grande dedizione, solo non per il tennis… In questa categoria può essere incluso anche Pat Rafter, 2 titoli su 2 finali ma solo 3.06 di rendimento, nel suo caso dovuto alla tardiva esplosione ad altissimi livelli.

Infine, per quanto riguarda il rendimento nei 2 Slam presi separatamente, in realtà non sono in molti a far risultare grosse differenze: il rendimento newyorchese di Sampras ha quasi del refuso, ma in generale rimane clamoroso in entrambi (6.43 contro 5.27). Altri sono decisamente bipolari invece: Hewitt, come detto, 4.2 a New York, 2.6 in casa; Del Potro, 4.6 US Open, 3.11 in Australia senza aver mai raggiunto le semi; Kafelnikov, 4.625 a Melbourne, 3.67 a New York; e Jim Courier, 4.8 in Australia, solo 3.4 agli US Open.

La considerazione finale, con gli US Open a tiro (si inizia il 26 agosto, oggi il sorteggio alle 18 italiane), è che, se ce ne fosse ulteriore bisogno, questa analisi rafforza ancora di più la posizione dei Big Three fra le leggende del gioco, e dà l’idea di quanto affrontarli sui palcoscenici più prestigiosi, soprattutto per i giovani, sia un confronto non solo con dei tennisti come loro, ma con la storia stessa del gioco. Forse è per questo che è difficile immaginare nomi nuovi sulla lista in tempi brevi, ma la statistica può parlare solo fino a un certo punto, a differenza del campo.

Tommaso Villa

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