La sconfitta di Berrettini alle Finals sulla stampa italiana (Crivelli, Canevazzi, Marcotti, Rossi, Azzolini)

Rassegna stampa

La sconfitta di Berrettini alle Finals sulla stampa italiana (Crivelli, Canevazzi, Marcotti, Rossi, Azzolini)

La rassegna stampa di mercoledì 13 novembre 2019

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Altra lezione di Federer, ma Berrettini sta imparando (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

La belva ferita non perde ranima e ruggisce quando il duello con il giovane leone si fa più minaccioso. No, questo non è il Centrale di Wimbledon, dove Berrettini si sciolse di fronte a Federer prima ancora di incrociarlo: stavolta Matteo combatte, trascina il mito nei meandri di una sfida brutta, sporca e in equilibrio, fino a un tie break che indirizza il primo set e la partita. È in quei momenti di tensione che un Roger fin lì appena ordinario alza la voce, cominciando con un ace e mettendo sempre la prima, mentre l’avversario lo omaggia di un dritto lungo e un doppio fallo. Stille di classe del Divino, quanto basta per scrostarsi la ruggine di un finale di stagione al solito ansimante e prendersi subito il break nel game iniziale del secondo set, perché l’eroe azzurro ha avvertito il colpo. E quando finalmente Berretto si procura tre palle break nell’ottavo game, le prime e uniche del match nonché le chiavi per riaprire la contesa, Federer si affida di nuovo al servizio, anche se un paio di risposte di dritto non impossibili andavano gestite meglio da Matteo. Il Maestro, che in carriera non ha mai perso il secondo match delle Finals, perciò sopravvive, e si giocherà le ultime chance con Djokovic, ritrovandolo dopo il trauma della finale di Wimbledon, mentre Berrettini, quando Thiem vince il secondo set contro Nole, non ha più speranze di qualificazione e contro l’austriaco metterà in palio solo l’onore. «Quando perdi – ammetterà Berrettini – non sei mai felice, ma non ho rimpianti. Ho avuto qualche chance, i tre break point, qualche suo game di servizio sul 30 pari, ma ha sempre servito bene e io ho mancato qualche risposta. Il tie break non è stato granché, ma lui non mi ha concesso nulla. Quando stai giocando non immagini la tua partita sugli errori o le condizioni dell’altro. Io sono entrato in campo convinto che avrei potuto batterlo pure se lui fosse stato in gran forma. Mi sono avvicinato, non è bastato, ma non sono deluso». […]

Berrettini lotta e perde. Federer passa al tie-break (Ruggero Canevazzi, La Nazione)

Allo scorso Wimbledon, subito dopo il 62 61 61 patito da Federer, Matteo Berrettini era andato a rete a stringere la mano al suo giustiziere, l’idolo di sempre, e con un sorriso mesto gli aveva sussurrato: «Grazie della lezione Roger!». Qui a Londra nessuno si era sentito di pretendere dal romano una vendetta per quella batosta. Gli si era chiesto invece di giocare meglio, di mostrare quella personalità che nella seconda metà della stagione gli ha consentito di cogliere scalpi e trofei importanti. E Matteo, pur perdendo nuovamente con il suo Maestro, 76 (2) 63 in 78 minuti, ha assolto più che dignitosamente il compito, lasciando intravedere ampi margini di progresso sia con il rovescio sia con la mobilità sulla quale dovrà ancora lavorare parecchio, anche se quando si è alti un metro e 96 cm non è un gioco da ragazzi. Nel primo set Matteo non ha mai perso il servizio, ha concesso un’unica pallabreak sul 5-6 – un setpoint – ma l’ha annullata con decisione e coraggio: gran servizio e smash al volo. Gli altri cinque turni di battuta aveva dominati, con una percentuale di “prime” superiori al 70%. Anche Federer, sei volte campione al Masters di fine stagione e alla sua diciassettesima partecipazione, non gli aveva lasciato che briciole in sei game di battuta: 5 punti in tutto. L’aver raggiunto il tiebreak contro Federer era però già un discreto traguardo. «Lì però mi hanno tradito proprio i miei colpi migliori: un dritto sull’1 pari e poi il doppio fallo sul 4-2». Questione di esperienza. Perso il tiebreak a quel modo Matteo ha subito il contraccolpo psicologico. Ha ceduto a 0 il primo game del secondo set e fino al 3-4 non ha avuto chance di recuperare. Lì però ecco tre palle break per il 4 pari. Purtroppo tutte servite da Roger sul dritto di Matteo che ha sbagliato 3 risposte su 3. «Mi ha cercato spesso il dritto sul mio lato destro, per impedirmi di giocare il mio dritto anomalo a sventaglio, ma poi ha spesso approfittato del mio rovescio che non è ancora all’altezza di questi livelli» spiegava Matteo. Aggiungendo orgoglioso: «Arriverò a battere questi campioni».

Matteo a testa alta: «Ora voglio di più» (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)

Una resa con onore, dopo un’ora e 18′ di tennis giocato – per lunghi tratti – alla pari. Per adesso può bastare così, a Matteo Berrettini. Che insiste, anche dopo la sconfitta contro Roger Federer in quello che ormai è diventato il suo mantra personale. «Da ogni match si può imparare qualcosa. Quando giochi con i migliori impari ancora di più». Una lezione, dunque, ma diversa rispetto a quella subita meno di cinque mesi fa all’All England Club. Certo, resta il rammarico per la sconfitta, ma la crescita prosegue. Rispetto al precedente match contro Federer, ieri Matteo non solo è stato in partita fino alla fine, ma ha anche avuto diverse occasioni per indirizzare l’incontro dalla sua parte. A fare la differenza, la maggior freddezza e consuetudine di Federer nel giocare al meglio i punti decisivi. «Sono soddisfatto, per quanto lo si possa essere dopo una sconfitta – il commento dell’italiano – Ho avuto le mie chance». Due i possibili motivo di rammarico: il passaggio a vuoto nel tie-break e le tre palle-break non sfruttate nell’ottavo gioco del secondo set. Berrettini non si illude («Ha vinto il migliore»), ma sottolinea come queste occasioni, pur non sfruttate, certifichino il suo valore anche al cospetto dei migliori. «Quando sono rientrato negli spogliatoi la prima cosa che ho detto al mio team è che voglio riuscire a battere questi campioni. Oggi penso di aver dimostrato che posso giocarmela. Ma, con tutto il rispetto, voglio di più». […] Se la qualificazione alla semifinale di sabato è definitivamente sfumata, nulla toglie alla crescita di Matteo. «Rispetto a quando ho perso contro Federer a Wimbledon, oggi è stata un’altra partita. A Wimbledon ero in stato confusionale, non funzionava nulla, neppure il servizio». II futuro non può dunque che sorridere all’italiano, che negli ultimi dodici mesi ha scalato il ranking mondiale, passando dal numero 54, che aveva in gennaio, all’ingresso tra i Top 10. «Federer ha giocato questo torneo diciassette volte, immagino che anche lui in occasione della prima abbia accusato un po’ la pressione. Mi ha raccontato che gli giocavano sempre sul rovescio». […]

Federer promuove Berrettini: «Benvenuto, puoi solo migliorare» (Paolo Rossi, La Repubblica)

Gli è mancato l’attimo, il carpe diem. Matteo Berrettini che gioca quaranta minuti alla pari con Federer, cancellati in due minuti dal tie-break. E poi, il tempo di un time-out ed ecco il turno di servizio smarrito in apertura di secondo set e la sconfitta ipotecata. È andata così: 7-6 6-3 per lo svizzero. Il Masters è finito per l’azzurro, il match di domani con Thiem sarà per lui ininfluente. Però qualche sassolino se l’è tolto, dopo aver perso domenica da Djokovic. «Ho avuto delle chance, non ho grande rammarico. Non avrò giocato il mio miglior tie-break, ma Roger ha servito benissimo in quel momento. Sarà perché lui era al suo 17° Masters e io al primo. Non lo so, non posso essere deluso. Direi che rispetto a Wimbledon è stata un’altra partita. Ho giocato contro Novak, contro Roger, i ragazzi migliori, e ora li conosco meglio. E non sono mai stato a pensare se Federer fosse nella sua giornata migliore oppure no. Ho dato il meglio di me stesso». Diciamola tutta: c’era qualcuno che immaginava Matteo Berrettini con il trofeo dei Maestri? Cosa si chiedeva a un italiano finalmente seduto al tavolo dei primi otto del mondo? Che confermasse quel che di buono aveva mostrato fin qui, che mostrasse di avere le stimmate di un futuro campione e di non essere il frutto casuale di sei mesi di magia. La sua promozione al livello successivo gli viene conferita dal suo avversario. Sentite Federer: «Può solo migliorare, da qui in poi. Chi si sarebbe aspettato che Berrettini fosse qui, quando all’inizio dell’anno era fuori della top 50? Io non lo avrei mai predetto, ma sono felice di essere sorpreso perché è un ragazzo super e lo ha dimostrato». Roger dixit, e la proclamazione non finisce qui. «Matteo capirà meglio i giochi. Conoscerà meglio gli avversari. Naturalmente anche gli altri lo conosceranno meglio. Ecco, è una bella sfida». […]

C’è tempo per Matteo, a scuola dai Maestri (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Sono in corso le misurazioni. Quanto fa Berrettini in centimetri? E quanto faceva a Wimbledon? Si sono avvicinati lui e Federer? È lavoro per agrimensori, più che per giornalisti, stabilire quanto e come i due abbiano accorciato le distanze, e se l’abbiano fatto davvero. Ma è un modo come un altro per dare una dimensione alla crescita di Matteo, che è stata perentoria, e in un modo che noi italiani non siamo abituati a prendere in considerazione, almeno per quanto riguarda il tennis. In fondo, tutto cominciò da lì, dal Centre Court e da una giornata di quelle infide. Matteo si era appena scoperto erbivoro (vittoria a Stoccarda, semifinale ad Halle, tre turni superati a Wimbledon) e, sebbene ora rivendichi che quella fu una delle svolte più incoraggianti della stagione, tale da spingerlo a considerazioni quanto mai benevole sui passi avanti fin lì compiuti, è difficile dimenticare come il nostro, allora, recitasse in un ruolo da attor giovane, a un passo dalla Top20. Erano gli ottavi di finale sull’erba dei Championships, la prima volta contro l’idolo Federer, la prima in un torneo del Grande Slam, la prima sul palcoscenico del Centre Court. Ci provò, Matteo, e Federer lo ridusse a un pizzico: cinque game in tre set, quanto basta per andarsi a nascondere sui monti. E invece, da quei fatti è nato il Matteo che conosciamo oggi, quello della vorticosa scalata alle posizioni di rilievo del ranking. Numero otto, figurarsi. E maestro fra i maestri a Londra. Alla faccia di chi non lo riteneva possibile. Stavolta le differenze sono sembrate decisamente ridotte. Qui troviamo un Matteo ormai sicuro di potersi misurare alla pari con i più forti. «Grandi rimpianti non ne ho», mette le carte in tavola Matteo. «Qualche punto, qui e là, avrei potuto giocarlo meglio, con più attenzione. Ma tirando le somme, ho disputato un buon match. Roger ha ritrovato tutto il suo tennis nel tie-break del primo set, insomma, quando il gioco si è fatto duro, subito gli sono spuntati gli artigli, ma nella seconda frazione, dopo aver perso il game d’avvio, sono stato io a procurarmi tre palle break. Le differenze con il match di Wimbledon? Bè, oggi ero più pronto, avevo una strategia di vittoria, sapevo che cosa fare. Sto giocando con i migliori tennisti del pianeta, li osservo da vicino, in continuazione. Mi sbaglierò, ma credo sia giusto sentirmi orgoglioso di quanto sto facendo». […]

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