Nel turbinio di incertezze che circondano il calendario del tennis professionistico dei prossimi mesi si susseguono le voci a proposito delle alternative che ATP, WTA e i tornei dello Slam stanno valutando per salvare il salvabile di questa stagione 2020 e prevenire disastri per il 2021.
Il prossimo torneo del Grande Slam in programma è lo US Open, previsto dal 30 agosto al 13 settembre al Billie Jean King National Tennis Center di Flushing Meadows, che attualmente è utilizzato dalla città di New York come struttura temporanea per la cura di pazienti affetti da COVID-19 e per la produzione di pasti di emergenza per i senzatetto. La USTA sta continuando la preparazione per il torneo: la settimana scorsa si è aperta la campagna accrediti per i giornalisti che sono intenzionati a coprire l’evento, e alcuni giorni fa hanno pure informato che le audizioni per selezionare i bambini che canteranno l’inno nazionale prima dell’inizio delle varie sessioni si terranno la settimana prossima via teleconferenza.
La decisione definitiva dovrebbe arrivare all’inizio di giugno, e mentre la USTA sembra piuttosto intenzionata a non far disputare il torneo a porte chiuse, qualche giorno fa è ritornata una voce che si era diffusa a inizio aprile e poi era svanita nel nulla: quella di un possibile spostamento da New York a Indian Wells.
Il quotidiano spagnolo Marca ha rilanciato la possibilità di uno spostamento a ovest dello US Open sfruttando la sede del BNP Paribas Open che il marzo scorso è stato il primo torneo ad essere cancellato a causa dell’epidemia di COVID-19. L’Indian Wells Tennis Garden dispone del secondo stadio per il tennis più grande del mondo, capace di contenere 16.100 persone, uno Stadium 2 con 8.000 posti, altri due stadi temporanei da 4.000 e 3.000 posti, cinque ulteriori campi da gioco e 20 campi d’allenamento.
L’impianto è davvero splendido e uno dei più attrezzati al mondo, ma potrebbe davvero ospitare lo US Open? Qui di seguito andremo ad analizzare alcuni degli aspetti che dovranno essere considerati nel caso in cui la USTA volesse fare sul serio e si imbarcasse nella mastodontica impresa di traslocare il suo torneo più importante dall’altra parte del Paese.
CLIMA – Sicuramente il primo problema da affrontare sarebbe anche il più difficile da risolvere. Giocare a tennis all’aperto nel deserto della California a inizio settembre è semplicemente una follia. La temperatura media diurna durante il mese di agosto è di circa 42 gradi, mentre a settembre si scende a 38. È verosimile pensare quindi che la temperatura media durante il periodo dello US Open sia intorno ai 40 gradi. All’ombra. Quindi a meno di non giocare esclusivamente di notte, quando la colonnina di mercurio scende sotto i 30 gradi e si assesta sui 22-25 gradi di minima, non è veramente pensabile giocare a Indian Wells nella data originariamente dedicata allo US Open. Se si dovessero spostare le date avanti di un paio di mesi il clima diventerebbe decisamente più accettabile, altrimenti si tratterebbe davvero di una pazzia.
CAMPI DA GIOCO – Ma anche mettendo da parte la questione climatica, mettere in piedi lo US Open a Indian Wells non sarebbe comunque un gioco da ragazzi. Come si è già detto, i campi da gioco a disposizione sono solamente nove, contro i 17 presenti a Flushing Meadows. Certo si potrebbero trasformare alcuni dei campi di allenamento in campi da gioco (i campi di allenamento sono solamente sei a New York), ma si tratterebbe comunque di organizzare tre settimane molto affollate, includendo anche le qualificazioni, i doppi, il misto e le gare juniores. Campi al coperto non ce ne sarebbero, ma i rischi di pioggia sarebbero davvero minimi: d’estate, in mezzo al deserto, si dovrebbe andare sul sicuro.
ATTREZZATURE ACCESSORIE – Logisticamente questo sarebbe probabilmente il problema che richiederebbe gli sforzi maggiori. Se a livello di corporate hospitality le suite dello Stadium 1, quelle dello Stadium 2 e le tende temporanee montate durante il torneo potrebbero, anche se a fatica, ospitare tutti gli ospiti degli sponsor, per quel che riguarda i media la questione potrebbe non essere così semplice. La sala stampa di Indian Wells dovrebbe essere come minimo triplicata per poter competere con quella dell’Arthur Ashe, senza parlare poi delle cabine per i commentatori, il media village per le televisioni che durante il BNP Paribas è costruito appena fuori dall’ingresso ovest e per uno Slam dovrebbe arrivare a occupare quasi tutto il parcheggio VIP.
SPETTATORI, PARCHEGGIO E TRASPORTI – L’ultima edizione del BNP Paribas Open ha registrato circa 456.000 spettatori in due settimane, contro gli oltre 700.000 che ogni anno di solito varcano i cancelli dello US Open. Si tratterebbe di una riduzione di biglietteria e quindi di incassi tutt’altro che irrilevante per la USTA, e non ci sarebbe moltissimo da fare, perché la capienza dell’impianto deve essere approvata dai Vigili del Fuoco della Coachella Valley, che più volte durante il decennio scorso durante il weekend di mezzo del BNP Paribas Open hanno bloccato gli ingressi per raggiunta capacità dell’impianto e soprattutto del parcheggio. Esatto, perché in California si considera che ogni auto trasporta 2,5 spettatori, ed è necessario che ci sia un numero sufficiente di parcheggi per i biglietti venduti (più o meno come accade al Foro Italico…).
I parcheggi sono stati ampliati nelle ultime edizioni, e non dovrebbe essere un grosso problema trovare altre aree per temporaneamente espanderli ancora, nel caso in cui fosse necessario: il letto del fiume perennemente in secca potrebbe essere utilizzato anche per quello. Certo che in California il pubblico fa grande affidamento sulle auto private per spostarsi, dato che le alternative sono quasi inesistenti, contrariamente a quanto invece accade a New York e anche negli altri Slam, quindi la questione parcheggi sarebbe molto in alto nella lista delle priorità per la USTA.
ALLOGGI – Nel corso degli ultimi 10 anni il pubblico al BNP Paribas Open è aumentato di quasi il 50%, passando da circa 300.000 persone a oltre 450.000, e l’effetto sulla domanda di alloggi si è fatta sentire. Ogni anno è sempre più difficile trovare stanze d’albergo, case o appartamenti disponibili per i membri del circo tennistico. Nel caso di uno US Open da disputarsi in estate ci sarebbe l’aspetto positivo di una disponibilità lievemente più elevata di quanto non accada in marzo (in agosto le seconde case nel deserto sono sicuramente più libere, dato il clima), ma considerando una prevedibile spinta per aumentare quanto più possibile la capienza non è difficile anticipare che si potrebbe anche dover alloggiare a 60-70 chilometri di distanza, come già capita ad alcuni durante il Masters 1000.
Questi sono solamente alcuni dei problemi che si dovrebbero affrontare nel caso in cui si decidesse di spostare lo US Open in California, senza considerare eventuali misure speciali da mettere in atto per contrastare l’emergenza COVID-19 che ben difficilmente sarà completamente superata alla fine dell’estate. Come si vede non si tratta proprio di questioni banali, per cui è ragionevole pensare che l’ipotesi del trasloco a Indian Wells per lo Slam americano probabilmente rimarrà soltanto tale.