Opinioni
Ritorna l’ipotesi US Open a Indian Wells: ma è davvero realistica?
Analizziamo quali sarebbero gli ostacoli da superare per portare lo US Open 2020 in California

Nel turbinio di incertezze che circondano il calendario del tennis professionistico dei prossimi mesi si susseguono le voci a proposito delle alternative che ATP, WTA e i tornei dello Slam stanno valutando per salvare il salvabile di questa stagione 2020 e prevenire disastri per il 2021.
Il prossimo torneo del Grande Slam in programma è lo US Open, previsto dal 30 agosto al 13 settembre al Billie Jean King National Tennis Center di Flushing Meadows, che attualmente è utilizzato dalla città di New York come struttura temporanea per la cura di pazienti affetti da COVID-19 e per la produzione di pasti di emergenza per i senzatetto. La USTA sta continuando la preparazione per il torneo: la settimana scorsa si è aperta la campagna accrediti per i giornalisti che sono intenzionati a coprire l’evento, e alcuni giorni fa hanno pure informato che le audizioni per selezionare i bambini che canteranno l’inno nazionale prima dell’inizio delle varie sessioni si terranno la settimana prossima via teleconferenza.
La decisione definitiva dovrebbe arrivare all’inizio di giugno, e mentre la USTA sembra piuttosto intenzionata a non far disputare il torneo a porte chiuse, qualche giorno fa è ritornata una voce che si era diffusa a inizio aprile e poi era svanita nel nulla: quella di un possibile spostamento da New York a Indian Wells.
Il quotidiano spagnolo Marca ha rilanciato la possibilità di uno spostamento a ovest dello US Open sfruttando la sede del BNP Paribas Open che il marzo scorso è stato il primo torneo ad essere cancellato a causa dell’epidemia di COVID-19. L’Indian Wells Tennis Garden dispone del secondo stadio per il tennis più grande del mondo, capace di contenere 16.100 persone, uno Stadium 2 con 8.000 posti, altri due stadi temporanei da 4.000 e 3.000 posti, cinque ulteriori campi da gioco e 20 campi d’allenamento.
L’impianto è davvero splendido e uno dei più attrezzati al mondo, ma potrebbe davvero ospitare lo US Open? Qui di seguito andremo ad analizzare alcuni degli aspetti che dovranno essere considerati nel caso in cui la USTA volesse fare sul serio e si imbarcasse nella mastodontica impresa di traslocare il suo torneo più importante dall’altra parte del Paese.

CLIMA – Sicuramente il primo problema da affrontare sarebbe anche il più difficile da risolvere. Giocare a tennis all’aperto nel deserto della California a inizio settembre è semplicemente una follia. La temperatura media diurna durante il mese di agosto è di circa 42 gradi, mentre a settembre si scende a 38. È verosimile pensare quindi che la temperatura media durante il periodo dello US Open sia intorno ai 40 gradi. All’ombra. Quindi a meno di non giocare esclusivamente di notte, quando la colonnina di mercurio scende sotto i 30 gradi e si assesta sui 22-25 gradi di minima, non è veramente pensabile giocare a Indian Wells nella data originariamente dedicata allo US Open. Se si dovessero spostare le date avanti di un paio di mesi il clima diventerebbe decisamente più accettabile, altrimenti si tratterebbe davvero di una pazzia.
CAMPI DA GIOCO – Ma anche mettendo da parte la questione climatica, mettere in piedi lo US Open a Indian Wells non sarebbe comunque un gioco da ragazzi. Come si è già detto, i campi da gioco a disposizione sono solamente nove, contro i 17 presenti a Flushing Meadows. Certo si potrebbero trasformare alcuni dei campi di allenamento in campi da gioco (i campi di allenamento sono solamente sei a New York), ma si tratterebbe comunque di organizzare tre settimane molto affollate, includendo anche le qualificazioni, i doppi, il misto e le gare juniores. Campi al coperto non ce ne sarebbero, ma i rischi di pioggia sarebbero davvero minimi: d’estate, in mezzo al deserto, si dovrebbe andare sul sicuro.
ATTREZZATURE ACCESSORIE – Logisticamente questo sarebbe probabilmente il problema che richiederebbe gli sforzi maggiori. Se a livello di corporate hospitality le suite dello Stadium 1, quelle dello Stadium 2 e le tende temporanee montate durante il torneo potrebbero, anche se a fatica, ospitare tutti gli ospiti degli sponsor, per quel che riguarda i media la questione potrebbe non essere così semplice. La sala stampa di Indian Wells dovrebbe essere come minimo triplicata per poter competere con quella dell’Arthur Ashe, senza parlare poi delle cabine per i commentatori, il media village per le televisioni che durante il BNP Paribas è costruito appena fuori dall’ingresso ovest e per uno Slam dovrebbe arrivare a occupare quasi tutto il parcheggio VIP.
SPETTATORI, PARCHEGGIO E TRASPORTI – L’ultima edizione del BNP Paribas Open ha registrato circa 456.000 spettatori in due settimane, contro gli oltre 700.000 che ogni anno di solito varcano i cancelli dello US Open. Si tratterebbe di una riduzione di biglietteria e quindi di incassi tutt’altro che irrilevante per la USTA, e non ci sarebbe moltissimo da fare, perché la capienza dell’impianto deve essere approvata dai Vigili del Fuoco della Coachella Valley, che più volte durante il decennio scorso durante il weekend di mezzo del BNP Paribas Open hanno bloccato gli ingressi per raggiunta capacità dell’impianto e soprattutto del parcheggio. Esatto, perché in California si considera che ogni auto trasporta 2,5 spettatori, ed è necessario che ci sia un numero sufficiente di parcheggi per i biglietti venduti (più o meno come accade al Foro Italico…).
I parcheggi sono stati ampliati nelle ultime edizioni, e non dovrebbe essere un grosso problema trovare altre aree per temporaneamente espanderli ancora, nel caso in cui fosse necessario: il letto del fiume perennemente in secca potrebbe essere utilizzato anche per quello. Certo che in California il pubblico fa grande affidamento sulle auto private per spostarsi, dato che le alternative sono quasi inesistenti, contrariamente a quanto invece accade a New York e anche negli altri Slam, quindi la questione parcheggi sarebbe molto in alto nella lista delle priorità per la USTA.
ALLOGGI – Nel corso degli ultimi 10 anni il pubblico al BNP Paribas Open è aumentato di quasi il 50%, passando da circa 300.000 persone a oltre 450.000, e l’effetto sulla domanda di alloggi si è fatta sentire. Ogni anno è sempre più difficile trovare stanze d’albergo, case o appartamenti disponibili per i membri del circo tennistico. Nel caso di uno US Open da disputarsi in estate ci sarebbe l’aspetto positivo di una disponibilità lievemente più elevata di quanto non accada in marzo (in agosto le seconde case nel deserto sono sicuramente più libere, dato il clima), ma considerando una prevedibile spinta per aumentare quanto più possibile la capienza non è difficile anticipare che si potrebbe anche dover alloggiare a 60-70 chilometri di distanza, come già capita ad alcuni durante il Masters 1000.
Questi sono solamente alcuni dei problemi che si dovrebbero affrontare nel caso in cui si decidesse di spostare lo US Open in California, senza considerare eventuali misure speciali da mettere in atto per contrastare l’emergenza COVID-19 che ben difficilmente sarà completamente superata alla fine dell’estate. Come si vede non si tratta proprio di questioni banali, per cui è ragionevole pensare che l’ipotesi del trasloco a Indian Wells per lo Slam americano probabilmente rimarrà soltanto tale.
Coppa Davis
Coppa Davis: per l’Italia, meglio l’Olanda o la Gran Bretagna? Esiste un caso Sinner?
In attesa del sorteggio di martedì, analizziamo i possibili avversari degli azzurri ai quarti di finale a Malaga. Sonego, Musetti, Arnaldi, Berrettini, Jannik: chi porterà Volandri?

Ci è andata bene. “Ci” nel senso della squadra azzurra impegnata nella fase a gironi delle Finali di Coppa Davis. In un gruppo con tre squadre materasso… un attimo, forse bisogna spiegare. I campioni in carica canadesi schieravano il n. 158 e il n. 200 ATP. Il Cile, un Jarry in forma ma che sul duro vantava un 6-15 contro i top 50, il n. 102 Cristian Garin, un altro che sul duro non è esattamente una mina vagante, e un doppio senza pretese. La Svezia, che non è più quella di una volta, come ricorda il direttore, Elias Ymer (n. 175), diventato il più forte della famiglia dopo il ritiro di Mikael, e il ventenne Borg, Leo (figlio di Orso) che sta scalando la classifica ma è ancora fuori dai primi 300, con quattro match ATP (uno vinto) di esperienza.
In un gruppo con tre squadre materasso, dicevamo, l’Italia ha rischiato di essere una delle tre. Grazie ad Arnaldi, schierato nella seconda giornata non da Volandri ma dagli appassionati inferociti, che con la sua vittoria ha dato la necessaria fiducia a Lorenzo Sonego nel rubber successivo (in cui peraltro ha annullato quattro match point) e al Canada che ha sconfitto il Cile senza fare calcoli per eliminarci anche perché in Davis ci batte sempre, la nostra squadra si è qualificata per Malaga, dove addirittura potrebbe essere considerata una delle favorite.
Non ci sarà spazio per sbagliare, però, perché al Palacio de Deportes José María Martín Carpena chi perde è fuori come ai (per alcuni) bei tempi. Il sorteggio del tabellone è previsto martedì 19 settembre a mezzogiorno, anche se in realtà si tratta di un sorteggio parziale in quanto le vincitrici di ogni girone sono state già piazzate sulle rispettive righe previste dal regolamento, mentre le seconde classificate saranno estratte due nella parte alta e due nella parte bassa. Come ormai sappiamo, l’Italia potrà quindi affrontare al primo turno (quarti di finale) o i Paesi Bassi o la Gran Bretagna. Ecco come si presenta il prospetto dei quarti prima del sorteggio:
Canada vs Australia o Finlandia
Cechia vs Finlandia o Australia
Italia o Serbia vs Paesi Bassi
Serbia o Italia vs Gran Bretagna
A questo punto, emergono necessariamente due quesiti importanti. Il primo è, chi preferiamo tra le due sineddochi, l’Olanda o la Gran Bretagna?
I Paesi Bassi
Con i successi per 2-1 al terzo set del doppio sulla Finlandia del sorprendente Virtanen (anch’essa qualificata) e sugli Usa con lo stesso punteggio, ottenuto però dopo i singolari, gli olandesi sono usciti vincitori dal gruppo D di Spalato. Nell’ultima giornata hanno ceduto ai padroni di casa a giochi ormai fatti nel doppio, con un super-tiebreak al posto del terzo set, match che non pare essere stato ufficializzato dall’ATP.
In singolare, i titolari sono il n. 24 ATP Tallon Griekspoor e il n. 68 Botic van de Zandschulp, mentre in doppio vantano il quarto del mondo (ex n. 1) Wesley Koolhof e Matwe Middelkoop, che sarà anche un quarantenne ma a inizio anno era nella top 20 di specialità e ora è n. 34. Parliamo di doppio, lo sport del classe 1980 Rohan Bopanna finalista allo US Open (quello di due settimane fa). Insomma, visto che capitan Volandri trova sempre una scusa per non far giocare la nostra coppia più forte (Fognini e Bolelli), vincere i due singolari sembra una buona mossa per avanzare in semifinale se saremo estratti contro i Paesi Bassi.
In top 100 da meno di due anni, Tallon sta avendo un’ottima stagione, con i suoi primi due trofei messi in bacheca (Pune e ‘s-Hertogenbosch) e la finale di Washington. Contro gli italiani ha un apparentemente poco incoraggiante bilancio ATP di 4-1; tuttavia, togliendo le vittorie con avversari che difficilmente affronterà a Malaga (Fognini due vole, Cecchinato e Travaglia), rimane la sconfitta con Jannik Sinner di quest’anno sul duro indoor di Rotterdam. A migliorare ulteriormente il quadro, è stato anche sconfitto da Lorenzo Sonego nelle qualificazioni di Bercy 2022.
Botic ha un bilancio di 3-2 contro gli italiani, ma, stesso discorso fatto per Griekspoor, ha perso due volte contro Matteo Berrettini, anche se sull’erba. In definitiva, due singolari tutt’altro che proibitivi sulla carta (sullo schermo del PC, ormai). Bello il pathos di un doppio decisivo, però possiamo anche farne a meno.
La Gran Bretagna
Uscita da Manchester a punteggio pieno, è stata l’altra nazione delle quattro ospitanti i gironi a sfruttare il fattore C, che nel suo caso si riferisce solamente al campo. Beh, nell’emozionante tie dentro-o-fuori con la Francia, la coppia formata da Evans e Skupski ha rimontato l’1-6 iniziale vincendo due tie-break e annullando pure quattro match point nel terzo (con il servizio a disposizione, ma 4-5 0-40 dopo un doppio fallo contro Mahut/Roger-Vasselin non è proprio qualcosa di ripetibile all’infinito).
I brits hanno prima battuto 2-1 l’Australia grazie ai singolari di Draper ed Evans, perdendo poi il doppio da Ebden/Purcell. Poi è stata la volta della Svizzera, sconfitta al doppio dopo che la vittoria di Murray su Riedi era stata pareggiata da Wawrinka su Norrie. Infine, come detto, la Francia “ai rigori”, dopo la rimonta di Evans su Fils e la sconfitta di Norrie contro Humbert.
Dan Evans, per gli amici Evo, è apparso ben oliato in questi giorni: due vittorie su due in singolare, due su tre in doppio. Il n. 27 ATP è 5-7 contro i nostri rappresentanti. Limitandoci come sopra ai possibili avversari in Spagna, è 0-3 contro Musetti (due sulla terra, quest’anno sul duro di Cincinnati), 0-2 con Sonego (Vienna indoor 2020, Miami quest’anno) e ancora 0-2 con Berrettini (sull’erba). A Barcellona, in aprile, ha invece battuto un Arnaldi ancora fuori dalla top 100.
Quando sta bene, Jack Draper è parecchio insidioso, ma negli ultimi 12 mesi l’inglese ha avuto diversi problemi fisici, tanto da precipitare al n. 105 dal best ranking di 38 a inizio stagione. A conferma della sua pericolosità, il 5-0 contro i nostri: Sinner (Queens’ 2021), due volte Sonego e Musetti, oltre a Fognini.
Se dal un lato Andy Murray non è più quello di un tempo – l’anello tra il Big 3 e gli altri –, dall’altro è sempre Andy Murray e, quando già nei tornei nessuno vorrebbe invischiarsi con lui in un match di lotta furibonda, se possibile ciò vale ancor più in Coppa Davis. 33-3 il suo bilancio in singolare, un’Insalatiera alzata nel 2015. 2-3 con Berrettini (dolorosissima la sconfitta di Matteo in gennaio all’Australian Open), una vinta (Stoccolma 2021) e una persa (Dubai 2022) con Sinner, 2-0 contro Sonego (Doha e Toronto, quest’anno).
Norrie, n. 17 ATP, è 3-6 contro gli italiani, sconfitto quest’anno allo US Open da Arnaldi (oh-la-la) e da Musetti al Roland Garros, bissando il risultato di Barcellona. Contro il britannico, vittoria anche per Berrettini (lo diciamo? sì, lo diciamo: erba) e Sonego (terra). E Cam ha perso i suoi due rubber a Manchester.
Ci ripetiamo ricorrendo allo stile del compianto Massimo Catalano, rilevando e rivelando che è meglio vincere il tie dopo i due singolari che perderlo al doppio. Perché Evans sa quel che fa e Skupski (terzo del mondo, primo un anno fa) è un fenomeno.
Rispondiamo dunque alla domanda: secondo l’opinione di chi scrive, è meglio affrontare i Paesi Bassi, soprattutto se la Gran Bretagna potrà schierare un Jack Draper integro (essendo il primo match, è senz’altro possibile). Inoltre, da quanto visto, la coppia di inglesi sembra anche avere una maggiore cattiveria agonistica. Non che le preferenze nostre o di chi legge possano influenzare il sorteggio.
A ogni modo, se l’Italia supera il turno, incontrerà “l’altra” nazione, sempre che questa non venga eliminata dalla Serbia di Djokovic. Tra parentesi, Nole dà l’impressione di essere a caccia di un altro record: il primato in solitaria per il maggior numero di vittorie in Coppa Davis con la maglia serba. Con il successo in singolare contro Ramos-Viñolas, il campione di Belgrado ha staccato Tipsarevic e agganciato a quota 43 (singolo e doppio) Nenad Zimonjic: sarà (anche) per questo motivo che, con la squadra già qualificata, ha voluto giocare il doppio?
Il caso Sinner (o il caso che non esiste)
Il secondo quesito che emerge riguarda… Jannik Sinner. La sua scelta di rinunciare alla convocazione è stata criticata da alcuni, ma condivisa dal presidente federale Binaghi perché il Rosso di Sesto Pusteria un giorno potrà vincere Slam. Lo stesso giudizio non c’era stato in altre occasioni: “Fino a quando ci saremo noi, Bolelli non giocherà mai più in Coppa Davis” aveva dichiarato Binaghi nel 2008, una decisione poi rientrata. Simone, intanto, uno Slam l’ha vinto davvero.
Riguardo a Jannik, c’è chi crede che non dovrebbe essere convocato per l’ultima fase e che nella patria del noto gusto di gelato arricchito dall’uvetta imbevuta di vino locale ci debba andare chi ci ha fatto guadagnare la qualificazione. No, non gli olandesi (che comunque ci saranno), ma coloro che hanno giocato a Bologna, più l’incolpevole Berrettini a cui dovrebbe andare a prescindere un plauso per aver sostenuto la squadra dalla panchina. Una situazione che forse ricorda il film Le riserve (The Replacements), vagamente ispirato allo sciopero dei giocatori della NFL del 1987, con i “sostituti”, Keanu Reeves in testa, che portano la squadra a una vittoria dai playoff. A quel punto, il quarterback titolare decide di rientrare.
Già il titolo della pellicola è una dichiarazione di parte, ben definita dalla caratterizzazione tagliata con l’accetta del giocatore che Keanu sostituisce: antipatico, arrogante e primadonna, in questo ben lontano dall’immagine di Jannik. Lì non c’era dubbio su chi il pubblico volesse in campo, ma nel caso di Jannik?
A ognuno la propria opinione che naturalmente, come nel caso delle “preferenze” sul sorteggio, non muterà la realtà: tappeto rosso per il Rosso se vorrà partecipare.
Flash
Perché Alcaraz rappresenta il meglio di Djokovic, Federer e Nadal
Novak Djokovic ha affermato, dopo la finale, di non aver mai affrontato, durante la sua carriera, un giocatore così completo come il ventenne spagnolo. Ecco come e perché

Di Stuart Frazer, pubblicato dal Times il 18 luglio 2023
Il viaggio professionale verso la gloria di Wimbledon per Carlos Alcaraz è iniziato a Rio de Janeiro nelle prime ore del 18 febbraio 2020. Tre settimane prima che la pandemia di Covid-19 bloccasse il mondo intero, la wild card spagnola fu invischiata in un estenuante battaglia sulla terra battuta al suo debutto nel circuito ATP a soli 16 anni.
Era un segno premonitore delle cose straordinarie che sarebbero arrivate da questo giovane promettente. Dopo essere stato rimontato sull’un set pari, contro Albert Ramos-Vinolas, un connazionale esperto allora classificato n. 41 al mondo, giocatori della stessa età di Alcaraz sarebbero stati sopraffatti dalla sfida nel set finale. Invece, Carlos riuscì a trovare nuova linfa per prevalere nel tie-break decisivo di una partita che si è conclusa alle 3 del mattino dopo tre ore e 36 minuti.
Tuttavia, alcuni avevano manifestato perplessità, allorquando l’allenatore di Alcaraz si lanciò in una previsione sulla velocità dell’ascesa del suo giovane pupillo ai vertici del tennis mondiale. “Penso che possa essere uno dei migliori”, disse Juan Carlos Ferrero, lui stesso ex numero 1 del mondo. “Non so quanto in alto, ma penso che possa essere lassù in due o tre anni.”
Nel giro di due anni e sette mesi, Alcaraz era diventato il numero 1 vincendo il suo primo titolo del Grande Slam agli US Open e ha avuto bisogno solo di altri dieci mesi per dominare l’erba conquistando Wimbledon. Il risultato è stato il sorprendente verdetto del grande Novak Djokovic secondo cui Alcaraz è il giocatore pià completo che abbia mai affrontato, dotato di un gioco che si compone “di alcune caratteristiche di Roger Federer, Rafael Nadal e me stesso”.
La capacità di imparare
Il periodo di transizione per i giovani talenti junior per passare ai ranghi professionisti è lungo e pieno di insidie. Ci saranno indicazioni prima dei dieci anni che un giovane giocatore ha del potenziale, ma gli allenatori hanno bisogno di tempo per affinare ogni area tecnica al fine di costruire uno stile di gioco che ottenga risultati di rilievo. Alcaraz è uno studente così rapido e appassionato che è stato in grado di migliorare una parte specifica del suo gioco in pochi giorni prima di passare all’elemento tecnico successivo.
“Penso che recepisca gli insegnamenti molto velocemente”, ha dichiarato Ferrero a Eurosport. “Abbiamo anche analizzato molti video di giocatori che si muovono molto velocemente sull’erba. Abbiamo copiato un po’ ‘di [Andy] Murray, Roger e Novak.”
Questa volontà di adattarsi e cambiare in corsa avviene anche molto velocemente. Rendendosi conto che il rovescio di Djokovic era più falloso del solito nella finale di Wimbledon di domenica, Alcaraz ha martellato l’83% dei suoi colpi su questo lato durante il tie-break del secondo set, come mostrano i dati forniti da Hawk-Eye Innovations. Questo ha posto fine alla serie di 15 tie-break consecutivi di Djokovic vinti nei tornei del Grande Slam, e alla fine ha girato una partita, in cui era un set sotto.
L’adattamento all’erba
Il suo miglioramento sull’erba ha sbalordito gli osservatori di lunga data di questo sport. Avendo giocato solo sei partite del circuito professionistico sull’erba prima di questa stagione, Alcaraz sembrava completamente insicuro su come muoversi quando è arrivato al Queen’s Club il mese scorso per il tradizionale riscaldamento in vista di Wimbledon. Ebbene, dal Queens, non ha perso una volta su 12 partite giocate sull’erba quest’estate, facendo passi da gigante a ogni partita giocata.
“Devo dire che mi ha sorpreso”, ha dichiarato Djokovic. “Ha sorpreso tutti per la rapidità con cui si è adattato all’erba quest’anno. Ovviamente, sapendo che lui veniva dalla terra battuta [all’Open di Francia], con il tipo di stile che ha. Penso che il torneo del Queens lo abbia davvero aiutato molto. Ha iniziato a prendere slancio ed acquisire sicurezza con sempre più vittorie contro giocatori davvero forti”.
Il rovescio slice
Alcaraz è un giocatore naturale a due mani sul lato del rovescio, ma ha sviluppato un abile colpo di rovescio alla Federer con un “backspin” che rimbalza basso mentre taglia il campo in erba. Questo è un colpo che spesso lo ha tirato fuori dai guai in difesa contro Djokovic e può anche offrire l’opportunità per attaccare mediante un passante da fondo campo.
Avendo eseguito solo il 9% di rovesci in slice, durante lo svolgimento del primo set che ha perso 6-1, rispetto al 42% medio negli incontri che lo hanno portato alla finale, ha aumentato questo valore al 27% per il resto della partita.
“A Carlos piace usare lo slice per portare a rete l’avversario”, ha detto Ferrero. “Era qualcosa che dovevamo fare contro Novak e quindi è stata una delle chiavi per spezzare il suo ritmo”.
La risposta è la chiave
I servizi sono più dominanti sui campi in erba. Questo rende la risposta un colpo fondamentale, poiché risposte profonde e potenti al servizio possono aiutare a creare occasioni di palle break. In questo campo, Alcaraz ha eccelso per tutta la durata del torneo. Dei 16 giocatori del singolare maschile che hanno raggiunto la seconda settimana, si è classificato dietro solo all’audace Christopher Eubanks nel tirare colpi vincenti con la risposta al servizio. Alcaraz ha anche vinto il maggior numero di punti in risposta contro la prima di servizio, avendo realizzato il 35% dei punti.
Domenica Alcaraz ha usato il suo istinto per leggere bene il servizio di Djokovic. La percentuale di servizi non risposti del serbo è stata del 43% nelle sei partite precedenti, ma è scesa drasticamente al 25% nella finale.
La potenza
Domenica si sono sentiti sussulti, udibili a più riprese sul campo centrale quando Alcaraz ha sciorinato i suoi potenti fendenti da fondocampo. Anche se è comodamente in grado di manovrare il suo rovescio in campo aperto per scagliare vincenti, è il diritto la sua arma più letale. Spesso vede l’opportunità che arriva da una palla corta e fa un enorme swing, sollevando entrambi i piedi da terra mentre entra in contatto con la palla e davanti al suo corpo. Ciò consente al suo diritto di raggiungere velocità fino a 104 mph. Alla domanda dell’intervistatore Andrew Castle durante la cena dei campioni di domenica sera su come ha fatto, Alcaraz ha risposto con leggerezza: “Chiudo gli occhi e credo che la palla starà dentro. Colpisci più forte che puoi e prega che stia dentro!!!”
Velocità esplosiva
Altrettanto strabiliante è la capacità di Alcaraz di coprire tutte le aree del campo con una velocità esplosiva. Carica usando le sue potenti gambe, inseguendo palle che sarebbero irrecuperabili per la maggior parte dei giocatori: Djokovic era un maestro in questo, anche se faceva più affidamento sulla sua flessibilità. Sfrutta anche il suo rapido gioco di gambe per passare dalla linea di fondo alla rete in ogni occasione, un altro aspetto che evoca reminiscenze dell’approccio di Federer.
“L’intensità e la velocità di Carlos sono qualcosa che si vede raramente”, ha detto lo zio Toni, ex allenatore di Nadal.
I miglioramenti sono possibili
Per quanto completo sia il gioco di Alcaraz, il suo servizio non è stato sparato a pieni cilindri all’All England Club. Ha registrato 30 doppi falli in sette partite, quasi tre volte di più degli 11 totalizzati da Djokovic, e i suoi 48 aces costituiscono un numero piuttosto basso, ben 34 meno quelli messi a segno da Hubert Hurkacz che ha giocato solo quattro incontri.
Mentre si è classificato decimo nel torneo con riferimento alla massima velocità del servizio con 135 mph – Hurkacz ha segnato il record di quest’anno con 141 mph – non ha guadagnato facilmente punti gratuiti perché la sua precisione al servizio non è stata così alta come avrebbe potuto essere.
Energie senza fine
Da quando Alcaraz è entrato nel circuito professionistico, il suo comportamento positivo e vivace in campo si è distinto, così come l’intensità costante che ricorda Nadal. “Questo ragazzo è uscito dal grembo materno con un balzo, probabilmente!!!”, ha detto l’anno scorso Chris Evert, 18 volte campionessa di Slam nel singolare femminile.
E Alcaraz rimane lo stesso anche nelle partite più importanti, quando sarebbe facile rimanere impantanati dato il pesante carico psicologico. Questo suo atteggiamento, gli ha fatto guadagnare domenica una legione di nuovi sostenitori sul campo centrale.
“Si diverte molto e sorride davvero sul campo da tennis”, ha detto Mats Wilander, l’esperto di Eurosport ed ex numero 1 del mondo. “A Wimbledon in finale è stato davvero stupefacente”.
Consapevolezza di sé
La fiducia di Alcaraz non conosce limiti. La prospettiva di affrontare Djokovic in finale non ha smorzato la sua convinzione di essere in grado di chiudere queste due settimane da campione.
“Credo in me stesso”, ha detto Alcaraz. “Pensavo di essere capace di vincere Wimbledon prima dell’inizio del torneo. Ma onestamente, dopo due settimane, con sette incontri disputati, tutto può succedere nel tennis. Ogni partita che giocavo, ogni giorno che passava in queste due settimane, mi sentivo sempre meglio”.
Questo fattore ha fatto sì che Alcaraz abbia retto la forte pressione nel set decisivo di domenica. Si è appoggiato alle palle corte, aggiudicandosi il punto in tutte le sei esecuzioni nel set decisivo. Quando ha servito per chiudere la partita sul 5-4 contro il più grande giocatore di tutti i tempi nel campo da tennis più prestigioso del mondo, ha mantenuto i nervi saldi.
“Alla fine, penso che sia stato molto coraggioso il modo in cui ha concluso la partita”, ha rimarcato Ferrero.
Un campione seriale di Wimbledon?
Mentre alcuni giocatori nella fascia di età 20-25 sembrano ancora un po’ incerti sui campi in erba, Alcaraz si è già levato un grosso peso di dosso. Avendo già vinto il suo primo Wimbledon prima di compiere 21 anni – è il terzo campione maschile più giovane dopo Boris Becker e Bjorn Borg – le paratoie degli argini potrebbero essere state aperte definitamente.
“Se ti innamori di questo torneo e ami l’erba, tornerai e sentirai di poterlo vincere ogni anno”, ha concesso euforico Wilander. “Penso che in questo momento stiamo vedendo davanti ai nostri occhi un pluricampione di Wimbledon. Sarà incredibile quello che realizzerà perché la finale è stata forse la migliore partita di Wimbledon in termini di livello agonistico che io abbia mai visto”.
L’impatto nello sport
Il tennis maschile aveva bisogno di qualcosa di nuovo come Carlos Alcaraz. Per quanto fenomenale fosse il dominio di Djokovic, lo sport avrebbe faticato a superare l’era dei “Tre Grandi” se qualcuno come Alcaraz non fosse arrivato e avesse battuto Djokovic quando contava di più.
“Questo è un momento enorme”, ha detto Wilander. “Mi piacerebbe vedere Novak vincere 30 Slam perché se lo merita per quello che ha fatto per il nostro sport. Ma penso che sia davvero importante avere un nuovo campione di Wimbledon ed è ancora più importante che sia Carlos Alcaraz perché è qualcosa di così speciale che potremmo non aver mai visto prima nel nostro sport. Includo Federer, Nadal e Djokovic in questo ragionamento. Ha il tocco di Federer, la passione di Nadal, il movimento e le capacità difensive di Djokovic”.
La normalità è l’umiltà
Nonostante tutto ciò che ha già ottenuto nello sport, Alcaraz non si è affatto montato la testa. È un ragazzo umile che si diverte a casa sua a El Palmar, un piccolo villaggio di 22.000 persone vicino a Murcia.
“Tornerò a casa”, ha detto Alcaraz quando gli è stato chiesto dei suoi piani dopo Wimbledon. “Ho un volo per tornare un po’ a casa e godermi un periodo di vacanza e qualche giorno libero. Voglio davvero tornare a casa, vedere la mia famiglia lì, i miei amici, sentirmi come se fossi di nuovo un ragazzo normale a casa a rilassarmi un po’.
I prossimi appuntamenti
Anche se Alcaraz dovrebbe giocare per la Spagna nell’evento a squadre miste della Hopman Cup sui campi in terra battuta di Nizza, in Francia, da venerdì, sembra probabile un ritiro dopo i suoi sforzi nelle ultime quattro settimane. Deve pianificare la campagna sul cemento americano, nonchè la sua prima difesa di un titolo del Grande Slam agli US Open.
“Si riposerà un po’ per resettare e andare negli Stati Uniti sentendosi di nuovo potente e fresco”, ha detto Ferrero. “Penso che abbiamo imparato molte cose dopo gli US Open dell’anno scorso, quindi dobbiamo fare le cose in modo leggermente diverso. Lui e la squadra lo sanno e credo che siamo pronti a fare le cose un po’ meglio”.
Per quanto riguarda il lungo termine, c’è un altro desiderio ottimista di Ferrero. Chi dubiterebbe di lui questa volta? “Mi piacerebbe che Carlos vincesse 30 titoli del Grande Slam”, ha detto Ferrero. “Ci saranno molte possibilità”.
Traduzione di Andrea Canella
Australian Open
La crisi di risultati di Nadal, sintomo di un irrisolto problema agli addominali
Dopo l’infortunio patito a Wimbledon, Rafa Nadal ha modificato qualcosa in battuta: potrebbe originare da lì il suo calo degli ultimi mesi. Cerchiamo di analizzarne cause ed effetti mentre il maiorchino si appresta a difendere il titolo all’Australian Open

È uno dei due Big 3 rimasti in piedi, ha vinto 22 tornei del Grande Slam, è il campione uscente. Avrà anche perso i primi due match pro dell’anno (mai successo in carriera), peraltro arrivando da un finale di stagione 2022 con quattro sconfitte e una vittoria ma, quando Rafael Nadal partecipa a un major, non si possono fare i conti senza di lui. Che poi, alla vigilia dell’Happy Slam, lui stia facendo i conti con qualche problema è un altro discorso – quello che ci apprestiamo ad affrontare.
L’anno passato abbiamo visto Rafa partire a razzo con i titoli di Melbourne, Australian Open e Acapulco, arrivando imbattuto alla finale di Indian Wells, nella quale la sua costola incrinata ha avuto la peggio contro la caviglia malandata di Fritz. La stagione sulla terra monca e senza titoli prima di Parigi non è stata incoraggiante, però il quattordicesimo è arrivato nonostante il piede dolorante e fino al quarto di finale a Wimbledon tutto stava funzionando a dovere. Dall’infortunio agli addominali patito in Church Road, però, il rendimento è precipitato senza più dare segni di ripresa.
Il fondamentale che più di tutti risente di quel tipo di infortunio è senza dubbio la battuta, che certo non è il colpo più naturale di Rafael e, altrettanto di sicuro, non è come toglierlo a Opelka o Isner. Un po’ sì, però. Il suo servizio è indubbiamente cresciuto rispetto ai primi anni, senza però avvicinarsi come efficacia “diretta” a quello di altri colleghi. Prendiamo (non uno a caso) Novak Djokovic, anch’egli non nato come grande battitore, ma che ora sa affidarsi con tranquillità al colpo di inizio scambio per… non far cominciare lo scambio. Nadal ha in ogni caso saputo trasformarlo in un’arma estremamente funzionale, un po’ come la risposta al servizio e, ancora, tiriamo in ballo Nole. Perché, in termini assoluti, non c’è paragone tra le due ribattute: il serbo vicinissimo al campo, con grande abilità di lettura delle intenzioni avversarie e riflessi incredibili, lo spagnolo là dove il mattone tritato lascia il posto ai giudici di linea. Da quella posizione che innanzitutto aiuta a tenere più palle in campo, Nadal si prende tempo a sufficienza per tirare una catenata profonda e rabbiosa, un macigno come quello che insegue Indiana Jones nei “Predatori”; lui intanto recupera la posizione e, ben che vada, l’avversario è costretto a iniziare uno scambio neutro contro Rafa sulla terra battuta. E le percentuali in risposta si impennano. Allo stesso modo, il servizio gli permette di colpire in uscita con il dritto la (grande) maggioranza delle volte, magari non sempre con quell’87% dopo la prima e 77% dopo la seconda registrati a Toronto 2018, esclusa la finale dove le 43 risposte di Tsitsipas gli fecero giocare appena due rovesci. Così, quando non arriva l’immediato vincente con l’ormai classico uno-due del tennis maschile moderno, Nadal può comandare e comunque abbreviare lo scambio. Perché il ragazzo comincia ad avere un’età e un’anzianità di, ehm, servizio per cui evitare metri e metri di rincorse e recuperi a ogni “15” non può che giovargli.
Ecco, dunque, che comincia a formarsi un’ipotesi plausibile per le grosse difficoltà del numero 2 del mondo nei mesi post-Wimbledon: una ridotta efficacia della battuta a causa dell’infortunio. Un’interessante grafica che confronta il punto di impatto del primo servizio all’Australian Open 2022 e alla United Cup, proposta durante il suo match contro de Minaur, sembra supportare l’ipotesi.

Punti di impatto del primo servizio di Nadal. Australian Open 2022 in rosso, United Cup 2023 in giallo
Cominciamo con il notare che nel recente torneo a squadre Nadal trovava la palla più alla propria sinistra. Per un mancino, un lancio di quel tipo significa essere praticamente costretto a servire slice. Il kick è escluso, perché dovrebbe “spazzolare” la palla (immaginandola come il quadrante di un orologio) dalle ore 5 verso le 11 (o 4-10 per privilegiare l’effetto laterale da destra), ma è impossibile farlo con la palla in quella posizione: il punto di impatto deve essere sopra la testa. Non che Rafa sia famoso per i suoi kickoni, ma, oltre a rivelarne in anticipo le intenzioni, questo può essere considerato un primo sintomo di qualcosa di irrisolto a livello addominale, fosse anche “solo” il timore di rifarsi male.
Le altre due caratteristiche di quel lancio “giallo” – più avanzato e più basso – conducono nella stessa direzione: la volontà di evitare inarcamento ed estensione per coinvolgere l’addome il meno possibile. La conseguenza di un impatto più basso è una minor accuratezza, come ha spiegato durante la telecronaca Jim Courier. Anche secondo l’ex n. 1 del mondo “è verosimile che sia un aggiustamento dovuto all’infortunio di Wimbledon”.
Mettendo da parte le possibili cause, torniamo all’ultimo effetto di questa modifica del lancio dopo aver detto della mancanza di imprevedibilità e della minor accuratezza, intesa come capacità di trovare direzione e profondità. L’impatto più avanzato si risolve evidentemente in una ricaduta più marcatamente all’interno della linea di fondo: già l’avversario è messo meno in difficoltà dalla battuta, se a questo aggiungiamo che Rafa deve affrettarsi per recuperare la posizione ottimale, ecco che ne risente l’efficacia del primo colpo dopo il servizio. E da lì, a cascata, tutto il resto del gioco.
Non resta che aspettare – davvero poco, ormai – per verificare se avrà superato l’inconveniente o, almeno, saputo trovarvi un valido rimedio. In caso contrario, un Nadal troppo limitato da quel punto di vista potrebbe trovarsi in grande difficoltà già al primo turno, per un sorteggio di per sé non agevole che lo ha opposto al mancino inglese classe 2001 Jack Draper.