30 aprile 1993: ad Amburgo, le sliding doors di Monica Seles

Accadde Oggi

30 aprile 1993: ad Amburgo, le sliding doors di Monica Seles

Accadde oggi, uno degli eventi più tristi da ricordare: l’aggressione a Monica Seles, che forse favorì Steffi Graf. E qualche confronto con la Storia

Pubblicato

il

 

È il 30 aprile del 1993 e al torneo di Amburgo Monica Seles sta giocando i quarti di finale del Citizen Cup contro Magdalena Maleeva; è trascorsa circa un’ora dall’inizio dell’incontro e la giovane campionessa jugoslava sta conducendo in scioltezza sulla giocatrice bulgara. Monica ha appena tenuto il servizio, conduce un set a zero e quattro a tre nel secondo parziale. Si cambia campo. Riposo. Monica è seduta sulla sedia, piegata in avanti per bere dell’acqua quando viene aggredita da uno squilibrato che tenta di accoltellarla. La lama penetra nella schiena vicino la colonna vertebrale per un centimetro e mezzo, non la ferisce gravemente. Mentre l’aggressore viene fermato da un agente della sicurezza, Monica viene fatta sdraiare sulla terra rossa del centrale dell’Am Rothembaum per poi essere portata in ospedale. Günther Parche – l’aggressore – sedicente tifoso di Steffi Graf, tornitore e disoccupato, al processo spiegherà di aver compiuto quel gesto con l’obiettivo di restituire il primato nel ranking alla connazionale Stefanie. Seles, infatti, aveva chiuso al numero uno del mondo (scavalcando proprio proprio Graf) il 1991 e il 1992.

Prima dell’ingresso nel circuito professionistico della sua nuova rivale, Graf aveva mantenuto saldamente la prima posizione della classifica WTA per 186 settimane consecutive (record) subentrando, il 17 agosto 1987, a un altro mostro sacro come Martina Navrátilová, al crepuscolo della propria carriera in singolare. Steffi avrebbe perso la vetta del ranking mondiale solo l’11 marzo del ’91 per poi riprenderla (salvo due brevi parentesi di tre settimane complessive), oltre due anni dopo (il 7 giugno 1993), proprio grazie allo stop forzato della Seles. Da quel momento Steffi avrebbe conservato ininterrottamente il primo posto in classifica (se si esclude qualche breve incursione di Arantxa Sánchez) ancora per quattro anni.

Da questa descrizione dei fatti appare evidente come l’incontrastato dominio della giocatrice tedesca, durato quasi un decennio, sia stato messo in discussione soltanto dal talento di Monica Seles, la tennista di Novi Sad. Una volta rientrata in gioco, Monica beneficiò dello status di ‘numero 1 bis’ in coabitazione con Graf solo sei tornei; una volta persa la vetta, non l’avrebbe più riconquistata. Insomma, l’evento imprevedibile dell’aggressione è stato un punto di svolta (e non ritorno) per Monica.

I freddi numeri descrivono, anche meglio delle parole (“Fino ad allora ero al centro del mondo… Giocare a tennis era la cosa più divertente che potessi fare… Poi il mio mondo si sgretolò improvvisamente”), il simulacro che resta di una tennista (e forse di una ragazza): dal debutto nel circuito del 1988 alla primavera del 1993 Monica aveva vinto otto Slam con una percentuale di vittorie-sconfitte nel circuito WTA superiore al 90% (percentuale che nel biennio d’oro ’91-‘92 sale al 92,9%: un record). Dopo l’episodio di Amburgo, in bacheca sarebbe entrato un solo altro Slam, l’Australian Open 1996 (con uno score inferiore all’80%). Due atlete, un’altra donna.

Delle otto vittorie Slam pre-Amburgo (in nove finali) ben tre erano maturate battendo in finale Steffi Graf (Roland Garros 1990 e 1992, Australian Open 1993). Ma dal rientro nel ’95 Seles avrebbe giocato appena quattro finali Slam, vincendone una e perdendone tre, di cui due proprio contro la Graf, entrambe sul cemento. Seles aveva vinto il suo primo Slam a Parigi nel giugno del 1990, a sedici anni e mezzo – record di precocità. Complessivamente Monica e Steffi si sono incontrate 15 volte: il bilancio degli scontri diretti sorride alla tedesca (10 a 5) ma con un paio di puntualizzazioni. 

  • Sino all’aggressione, le due tenniste si erano affrontate dieci volte, con un bilancio sostanzialmente in parità (6 a 4 per la tedesca e 3 a 3 negli Slam)
  • Monica è nata nel dicembre del ‘73 quindi i primi tre incontri (tutti persi e giocati nel 1989) hanno visto soccombere una tennista poco più che quindicenne (Steffi ha quattro anni e mezzo in più della rivale).
Monica Seles e Steffi Graf

Naturalmente non è nostro obiettivo mettere in discussione l’immenso valore di Graf né possiamo sapere se Monica sarebbe stata in grado di mantenere i ritmi del biennio ’91-’92; dopotutto non bisogna dimenticare che sono diversi gli esempi di “fuoriclasse” che hanno debuttato sul circuito mostrando eccellenze per poi virare su una più umana “medietà” (si veda il caso di Hingis, i cui cinque Slam in singolare sono arrivati che non aveva ancora compiuto diciannove anni). Se Günther Parche non si può considerare la causa efficiente delle vittorie post 1992 di Graff (ancora tredici Slam vinti da Fräulein Forehand dopo quella data: 13 sui 22 complessivi, e solo due erano stati nel biennio d’oro di Monica) possiamo però affermare che questo tedesco fanatico, ossessionato e psicolabile si è reso responsabile di uno dei crimini più turpi cui l’essere umano possa macchiarsi.

SIMILITUDINI CON LA STORIA – Non ci riferiamo al tentato omicidio (dal tribunale tedesco derubricato all’accusa di lesioni gravi) bensì alle conseguenze che quel gesto ha prodotto: la mesta consapevolezza di una perdita irreversibile che, nella sostanza, ricalca il gesto abietto di un altro germanofono, anch’egli guidato da una loica follia, concretizzato esattamente sessant’anni prima, sempre in territorio tedesco: alla base c’era l’ossessione di cancellare la storia, il passato, la memoria – dunque la possibilità di riconoscere se stessi. Il Rogo dei libri (Bücherverbrennungen) nella primavera del 1933 in diverse città del Terzo Reich, così come l’aborto di un confronto agonistico appena agli albori e dalla cifra emozionale senza pari, sottendono infatti a una medesima natura funesta. L’irrimediabile perdita della scoperta e comprensione della nostra identità.

Gli eventi accidentali costituiscono il tessuto connettivo delle storie e, spesso, ne indirizzano il percorso più dei grandi uomini le cui imprese, anzi, sono figlie di questa casualità. Francis Drake non sconfisse l’Invincibile Armada, la spinse solamente a desistere dal tentativo di invasione del territorio inglese: furono le tre spaventose tempeste che sorpresero i 17 galeoni e 108 vascelli ricompattati nel mar del Nord e poi sull’Atlantico a trasformare la ritirata in una disfatta. Sebastião José de Carvalho, futuro Marchese di Pombal non avrebbe (probabilmente) retto di fatto il governo del Portogallo senza il devastante terremoto che colpì Lisbona nel 1755 e che gli diede la possibilità di esprimere appieno le sue capacità organizzative e idee “illuminate”.

La Storia non è fatta di “se” bensì di ricerca ed ermeneutica eppure tra le pieghe dei fatti, dietro ogni inferenza, si fa forza l’affascinante immagine ucronica. Il 18 febbraio del 1519 Cortés partì da Cuba alla volta del Messico con 11 navi, circa 500 soldati e poco più di una dozzina di cavalli. In tre anni il regno di Montezuma era conquistato. Conosciamo le cause che portarono uno sparuto gruppo di ribelli (il governatore di Cuba aveva firmato la destituzione di Cortés dall’incarico di suo segretario ma questi fece orecchie da mercante) alla conquista dell’Impero: i dissidi interni tra gli aztechi e le popolazioni sottomesse (e che le abilità diplomatiche di Cortés seppero sfruttare magistralmente), un atout tecnologico non indifferente (leggi polvere da sparo) e i cavalli. Su quest’ultimo punto bisogna fare attenzione: il vantaggio di una piccola cavalleria non era di natura tattica bensì aveva valore strategico: gli aztechi non avevano animali domestici di grossa taglia né avevano mai visto cavalli e lo spettacolo di uomini a cavallo, la visione del cavaliere – lo “strano spettacolo del cavallo e del cavaliere che si muove all’unisono” – li terrorizzò facendo credere loro di essere dinanzi a un essere sovrannaturale.

Sempre il 18 febbraio, ma del 1870, il biologo Th. H. Huxley (il “mastino di Darwin”) tenne una conferenza a Londra nella quale affermò di essere in possesso di una documentazione fossile di cavalli sufficiente per descrivere (e dimostrare) la teoria darwiniana dell’evoluzione. In realtà Huxley sbagliava in almeno un punto: la linea genealogica del cavallo che, secondo l’inglese aveva la sua origine in Europa, era invece americana. I cavalli si evolsero in America seguendo un percorso di continuità ininterrotta lunga 60 milioni di anni (nel corso della quale in diverse occasioni vari gruppi migrarono in Europa). Poi, circa diecimila anni fa, il cavallo si estinse in America sopravvivendo solo in Europa dove tornò a colonizzare il Nuovo Mondo nel XVI secolo proprio con i conquistadores.

Ci chiediamo, con pensosa curiosità, se senza questo evento improvviso, un’estinzione avvenuta nel giro di pochi millenni (un tempo brevissimo, le cui cause sono ancora oggetto di discussione) oggi l’America Latina non sarebbe più propriamente un’America indigena e ricca. Così come ci chiediamo cosa sarebbe stato di Monica Seles, e di quegli anni di storia del tennis femminile, senza il terribile gesto di Günther Parche.

Alessio Francore

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement