Gli acronimi fanno chic perché sembrano custodire chissà cosa. Chi l’avrebbe detto che all’ombra di uno strano UTS si nascondesse l’ultima innovazione in tema di tennis? D’altra parte, senza cambiamenti questo sport sarebbe ancora appannaggio di conti e marchesi mentre la costante evoluzione lo ha reso meno macchinoso e più fruibile dal grande pubblico.
L’ora ics risale all’esordio dell’Era Open che cancellava regole ostili a un professionismo troppo incline al vil denaro. Seguì l’abolizione del challenge round che eliminava aspetti elitari dovuti più a una visione aristocratica che non ai risvolti pratici del gioco. Due mutamenti che hanno fatto del tennis una disciplina a suffragio universale, più credibile che in passato perché depurata da merletti e ipocrisie fin lì tenute sotto il tappeto.
In sostituzione di carta e penna, poi, nel ‘73 la classifica computerizzata era più che una dichiarazione d’intenti cavalcando criteri oggettivi che non facevano torto a nessuno. Finivano i mugugni e, seppure perfettibile, il nuovo sistema si rivelava, in breve, strumento indispensabile nella valutazione dei valori in campo.
Nel frattempo i materiali davano la stura a un tennis di potenza che esasperava la selezione fisica dei giocatori elevandone la statura di una buona spanna mentre, per questione di costi, si metteva mano alle superfici togliendo l’erba dagli slam americano e australiano spingendo l’intero circuito a rivedere il resto dei tornei.
Strizzando l’occhio a esigenze organizzative, nel ‘70 vedeva luce la novità del tie-break, che tirava una riga sulla lunghezza dei match richiamando i giocatori ad una diversa gestione dei punti
Così come al 2005 risale l’introduzione dell’occhio di falco che annullava ogni possibilità di errore nelle chiamate arbitrali azzerando in automatico siparietti come quello tra Connors e Barazzutti a Forest Hills ’77. Una trovata, l’ hawk-eye, che in tempi moderni avrebbe mandato in analisi McEnroe, orfano di un capro espiatorio a cui urlare “you can’t be serious”!
Si deve a questioni di diritti televisivi, invece, il tentativo inseguito negli ultimi anni di condensare i match all’interno di tempi sempre più stretti nella convinzione di rendere il tennis più appetibile a un mondo che vive ormai di gran carriera. In quest’ottica è nato lo short game, per il quale l’ATP ha promosso anche un evento psichedelico come le Finals Next Gen di Milano.
Ultimo in ordine di tempo, l’acronimo in questione che per esteso risponde all’Ultimate Tennis Showdown, un format a mezza via tra basket e tennis, che una traduzione letterale ci restituisce come ‘resa dei conti’. Un’innovazione le cui caratteristiche attengono più a un videogame che a uno sport di antica tradizione. Solo a leggerne il regolamento viene l’ansia: tutto scadenzato, pressato in tempi certi e senza possibilità di sgarrare. Una presunzione di attualità in cui anche lo straccio di un’imprecazione deve essere in lingua rigorosamente anglosassone, altrimenti…
Allargando le braccia a ogni novità, comunque, anche l’UTS può recitare un suo ruolo evolutivo. Con prudenza, però, perché ciò che con molta furia viene già spacciato per un format rivoluzionario, in realtà potrebbe essere un’ottima soluzione per il tennis amatoriale (anche se in questo caso sembra difficile portare tra gli amatori l’innovazione del tennis a tempo e delle ‘carte abilità’) e non può certo andare oltre un semplice surrogato di quello professionistico.