Svitolina dietro una racchetta: "Il tennis mi ha dato la vita"

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Svitolina dietro una racchetta: “Il tennis mi ha dato la vita”

I racconti più significativi di Behind the Racquet. Oggi è il turno di Elina Svitolina: “Se diventerò una top 10 sarò felice, pensavo. Ma mi sono ritrovata a piangere dopo le sconfitte”

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L’assenza di tennis giocato perdura – anche se il 3 agosto l’astinenza sarà lenita dall’inizio del Ladies Open di Palermo – e in queste settimane abbiamo pensato di tradurre in italiano alcune delle storie raccontate dai tennisti a “Behind the Racquet” che sono passate in sordina; le principali, quelle di cui vi abbiamo già parlato, le trovate qui.

Oggi parliamo di Elina Svitolina. La 25enne ucraina è una delle giocatrici più combattive del circuito WTA, un’autentica “overachiever” che ha firmato un indeterminato con la Top 10 grazie a un tennis di una solidità eccezionale con cui ha spesso e volentieri battuto avversarie più alte e potenti, culminando (per ora) con il trionfo alle WTA Finals del 2018. Proprio in queste settimane ha vinto la prima parte dell’esibizione bett1Aces di Berlino, battendo in finale Petra Kvitova con il punteggio di 3-6 6-1 10-5 – è andata peggio l’esibizione successiva svoltasi nell’hangar dell’aeroporto di Tempelhof dove ha perso in semifinale contro Anastasija Sevastova per 6-1 6-1.

Per una tennista di questo tipo, lo sforzo fisico e mentale, sempre ai limiti del surmenage, è ancora maggiore, perché non ci sono mai quindici facili né avversarie da sommergere in scioltezza. Leggiamo dunque il racconto della campionessa ucraina, alle volte quasi vinta dalla pressione ma oggi consapevole dell’importanza di ogni tassello del suo percorso, che le si può solo augurare porti a delle vittorie Slam. Di seguito le sue parole:

Rispetto agli altri giocatori, il mio percorso è stato graduale. Mi muovevo sempre un passo alla volta, cercando di non perdere il ritmo per migliorare il mio gioco. Ho giocato gli eventi da 10.000 dollari, poi quelli da 25.000 e poi lentamente ho iniziato a entrare nei tabelloni degli Slam. Infine mi sono ritrovata sui palcoscenici più grandi cercando di entrare nella Top 10, ma mi sentivo troppo sotto pressione.

Non importa quale sia il tuo ranking, vuoi sempre migliorare. Quando ero la numero 30 al mondo, pensavo: ‘Se diventerò una Top 10 sarò felice’, ma quando mi sono ritrovata nella Top 10, piangevo dopo alcune sconfitte. [La voglia di fare meglio] non finisce mai e non è mai abbastanza. Ho imparato a godermi ogni partita, anche le battaglie più dure. Ora sono nella Top 10 da oltre tre anni. È importante mantenere una certa continuità a livello mentale, e anche questa lezione l’ho aggiunta al mio gioco.

Quando stavo passando dal circuito junior a quello pro, avevo molti dubbi. La gente si aspetta che migliori velocemente e che ti confronti con altre giocatrici che hanno la tua stessa età ma hanno un ranking migliore. Senti questa voce negativa nella tua testa ma devi mettere da parte i dubbi e impegnarti ogni giorno perché nel tennis tutti lavorano sodo ma solo pochi giocatori ottengono risultati costanti. È molto importante crearsi un proprio percorso e questo sarà d’aiuto per superare i momenti più duri.

Elina Svitolina – WTA Finals Shenzhen 2019 (foto via Twitter, @WTAFinals)

Credo che la cosa più impegnativa sia stata gestire il coinvolgimento dei miei genitori. Non importava quando o dove giocavo, loro mi seguivano sempre. I genitori che sono veramente coinvolti nel tennis, soprattutto quando il tennis è il tuo mestiere, aggiungono un sacco di pressione in più. Il mix di pressione della mia famiglia e delle mie aspettative è stato davvero difficile da gestire, soprattutto quando perdevo al primo turno e faticavo a migliorare la mia classifica. I miei genitori volevano che vincessi ogni singola partita. A un certo punto, è importante che ogni genitore si allontani e i miei genitori se ne sono resi conto cinque anni fa. È stato molto importante per me essere indipendente. Nel momento in cui i miei genitori hanno smesso di viaggiare con me, non ho più dovuto contare su di loro. Se perdevo una partita, incolpavo solo me stessa e attraverso questo processo ho trovato la mia strada.

A volte penso ancora alla mia infanzia. Forse sarebbe stato meglio se i miei genitori non mi fossero stati così addosso. Eppure questi momenti difficili mi hanno aiutato ad arrivare dove sono e mi hanno fatto diventare la persona che sono oggi.

Sono stata in viaggio fin da giovane. Ho un fratello maggiore che giocava a tennis e abbiamo iniziato a viaggiare per seguirlo nei tornei quando ero molto piccola. Era complicato stare lontana da casa, ma quando pensavo ai miei obiettivi e a quello che volevo raggiungere, mi sentivo motivata. Ero solita resettare i miei obiettivi più o meno ogni due anni, in modo da evitare di sentirmi incastrata in un loop continuo di viaggi e sconfitte, dato che perdevo quasi ogni settimana. Mi ponevo obiettivi sia a breve che a lungo termine. Pormi obiettivi mi ha aiutato a vivere il momento. Giocare davanti alla folla e vincere i tornei mi ha dato energia e motivazione.

Il tennis mi ha dato tutto quello che ho oggi. Sono molto fortunata ad averlo scelto come professione perché mi ha insegnato molto. Il tennis mi ha insegnato la disciplina, mi ha fatto conoscere grandi persone e mi ha mostrato luoghi incredibili. Non do queste cose per scontate. Il tennis mi ha dato la vita“.

A cura di Lorenzo Zantedeschi

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