Il magico valzer di Sonego (Scanagatta, Clerici, Crivelli, Bertellino, Mastroluca). Nadal: «A 19 anni mi dissero che non avrei più giocato. Quella fragilità ora è forza» (Cazzullo)

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Il magico valzer di Sonego (Scanagatta, Clerici, Crivelli, Bertellino, Mastroluca). Nadal: «A 19 anni mi dissero che non avrei più giocato. Quella fragilità ora è forza» (Cazzullo)

La rassegna stampa di domenica 1 novembre 2020

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Il magico valzer di Sonego: è in finale a Vienna (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Un valzer vincente dopo l’altro per Lorenzo Sonego, proprio come è d’obbligo esibire a Vienna. Oggi giocherà la sua prima finale in un Atp 500 contro il tennista più in forma del circuito, il russo Rublev, n.8 Atp, 18 vittorie negli ultimi 19 match, 4 finali tutte vinte nel 2020 e certamente favorito. «Ho dormito bene anche se avevo battuto Djokovic, il n.1 del mondo realizzando quel che poteva essere solo un sogno per me», mi ha detto Lorenzo Sonego che, sulle ali della fiducia conquistata per aver sconfitto tre tennisti meglio classificati di lui (Lajovic 26, Hurkacz 31, Djokovic 1) ha superato anche la cosiddetta “prova del nove” dominando (63 64) anche l’inglese David Evans, n.32, strappandogli la battuta all’inizio di ciascun set e restando sempre in vantaggio nei due set. Che il magrissimo ed agilissimo torinese soprannominato “Polipo”, 1m e 90 per 76 kg, abbia i nervi saldi lo dimostra il fatto che in questo torneo in cui non ha perso un set (salvo che in qualificazione quando era stato eliminato da Bedene), quando ha servito per i due set ha tenuto il servizio a zero. Di solito lì viene il braccino. Non a lui. Quando, in mezzo ai 17 vincenti del primo set ho visto Sonego attaccare seguendo un meraviglioso tracciante slice di rovescio ad una mano – lui che lo gioca abitualmente a due – ho capito che non avrebbe mai potuto perdere. Eppure questo Evans, pur poco conosciuto per i non addetti ai lavori, quest’anno è, dopo Djokovic, il tennista che ha battuto il maggior numero di top 20: otto. Non è un Carneade. Sonego sul veloce indoor aveva vinto un solo match. Sembrava un fatto inspiegabile per uno che serve a 230 km orari e ha quel dritto-missile. Oggi giocherà la sua seconda finale, dopo quella vinta in Turchia nel 2019. Se la vincerà salirà a n.28, altrimenti sarà n.32 (oggi è n.42), comunque suo best ranking. Rublev (6-4 4-1 con Anderson ritirato nell’altra semifinale) non ha più perso un match dai quarti del Roland Garros con Tsitsipas. Per Sonego sarà ancora più difficile che battere un Djokovic appannato. La parola al campo, oggi alle 14.

Nei successi di Sonego il fascino degli attaccanti (Gianni Clerici, La Repubblica)

Non mi pare che qualcuno dei miei onorevoli colleghi professionisti abbia notato una caratteristica del gruppo del tennisti contemporanei italiani di cui fanno parte gli Zeppieri, i Musetti, i Sinner e, oggi, Sonego, finalista a Vienna dopo aver battuto Djokovic ed Evans: sono tutti attaccanti. E noi, in Italia, di attaccanti veri non ne avevamo avuti fino a Panatta: avevamo dei difensori, dei regolaristi. Ma oggi Sonego ci ha affascinati con un gioco da attaccante vero, sincero. Io mi ricordo di quando un giocatore lo si definiva americano non per il passaporto, ma per la sua disponibilità ad andare a rete. Questo dopo che i Moschettieri francesi avevano capito che Tilden non si poteva battere da fondo campo. Ora siamo in un tennis in cui a rete ci vanno tutti.

SoneGol! (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Violino e colpi di grancassa. Mano delicata e mazzate violente. Lorenzino si ripete. Il concerto della semifinale di Vienna è un’altra esibizione muscolare di talento e personalità, fino al diapason della prima finale in carriera in un Atp 500, non un’impresa da tutti i giorni. E se qualcuno temeva che Sonego si abbandonasse alle mollezze dopo la sbornia dell’eliminazione del numero uno del mondo, si sarà ricreduto in fretta. Già da quel secondo game in cui strappa il servizio al britannico Evans per costruire un primo set perfetto, con appena quattro punti concessi al servizio e il dritto che viaggia su ritmi incomprensibili per l’avversario: «Sono entrato in campo molto convinto, la vittoria su Djokovic mi ha dato molta fiducia e non mi ha messo pressione, ero consapevole della mia forza contro un avversario di talento». Appena sette giorni fa, l’allievo di Gipo Arbino aveva la valigia pronta dopo la sconfitta nel turno decisivo delle qualificazioni, poi la rinuncia di Schwartzman gli ha aperto di nuovo le porte del tabellone principale. «Sono ripartito dalle cose buone che avevo fatto nei tornei precedenti e ho preso ogni partita come veniva, concentrandomi sul mio gioco e senza troppe aspettative. In questa settimana sono migliorato sotto ogni aspetto, dal servizio alla risposta, alla confidenza nelle mie qualità, ho lavorato duro per arrivare fin qui». Soprattutto, ha sempre governato il ritmo delle sue partite, andandosi a prendere d’autorità i punti chiave delle partite. Evans in stagione aveva battuto otto giocatori tra i primi 20 del mondo grazie all’abilità di variare angoli, tagli e soluzioni. Ma il dritto bum bum dell’italiano lo ha disinnescato: «Tutto serve per fare esperienza, sono molto felice e sarebbe grandioso completare il cammino con un successo». Ultimo passo, il giocatore più caldo del momento, Rublev, n. 8 del ranking, che può diventare l’unico tennista con 5 tornei all’attivo nei 2020: «Sarà difficile, Andrey serve molto bene e tira molto forte, ma io sono pronto». Bomber Sonego, è la tua ora.

SoneGoduria! (Roberto Bertellino, Tuttosport)

La classica prova del nove, quella a cui era chiamato Lorenzo Sonego nella semifinale dell’ATP 500 di Vienna dopo la vittoria storica dei quarti contro il numero 1 del mondo Novak Djokovic. Meno nobile il rivale ma temibile per le attitudini perfette sulle superfici veloci, il britannico Daniel Evans, n° 33 del ranking mondiale. Lorenzo l’ha superata in grandissimo stile, con forza e maturità. Quella di un 25enne con un percorso atipico alle spalle a livello internazionale. Pochi tornei giovanili, fino ai 18 anni solo attività a livello nazionale. Otto anni fa disputava ancora l’Open di Rivalta (To) con pochi sguardi interessati, salvo quelli di qualche addetto ai lavori e del suo mentore Gipo Arbino. Ha fatto capolino nei 15.000 $ ITF nel 2014. Prima classifica di 1574 ATP, datata 11 agosto 2014. Un anno dopo era 529. A luglio del 2016 il primo ingresso tra i top 300 (290), quindi la top 200 il 29 gennaio del 2018 (173). Da quel momento il cambio di passo, con la top 100 conquistata il 10 settembre dello stesso anno, via via sempre aggiornata. Nel 2020, difficile per tutti, dopo il lockdown si è esaltato partendo dal titolo italiano di Todi. La perla, prima di oggi, gli ottavi al Roland Garros: «La lotta e l’agonismo sono i miei propulsori – ama dire – e quando entro in campo non lo faccio mai da battuto, contro nessuno». Si e visto anche ieri. Partenza con la giusta concentrazione, e primo turno di servizio tenuto a 15, per l’1-0. Subito break nel game di risposta. La striscia perfetta iniziata con Djokovic è parsa non avere soluzione di continuità in un avvio che più positivo di così non si poteva immaginare. […] Capolavoro Sonego all’inizio del secondo set, con break per assicurarsi un vantaggio, anche psicologico. Evans si è fermato chiedendo per un presunto problema alla spalla sinistra il medical time-out. Alla ripresa e con il ritmo un po’ spezzato dalla pausa Sonego ha subito il contro-break dell’ 1-1. Nuovo vantaggio del 25enne torinese, bravo a reagire alla situazione complicata. fino al 6-4 che gli è valso la finale. «Sono molto felice, non era facile giocare contro Evans dopo il successo nei quarti. Lui è un gran talento, soprattutto di rovescio». Oggi Sonego è atteso dalla sfida contro Andrey Rublev, alla quinta finale di stagione con un bilancio di quattro vittorie nelle precedenti.

Sempre più Sonego (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

Con quel dritto ha ottenuto diciassette vincenti, viatico per il 6-3 6-4 al britannico Dan Evans, numero 33 del mondo, e alla finale dell’ATP 500 di Vienna. La seconda in carriera, la più prestigiosa, contro il russo Andrey Rublev. Sonego sarà almeno numero 32 della classifica ATP con la chance sempre più concreta di essere testa di serie al prossimo Australian Open. Difficile immaginarlo tre anni fa, quando a Melbourne vinceva la sua prima partita in camera nel circuito maggiore. LVentiquattro ore dopo aver inflitto al numero 1 del mondo Novak Djokovic la più severa sconfitta della carriera, Sonego gioca un’altra partita appassionata e lucida. I mille tifosi ammessi alla Wiener Stadthalle parteggiano per l’azzurro che gioca un primo set perfetto in cui perde appena quattro punti in cinque turni di battuta. «Ogni avversario presenta le sue difficoltà e devo essere bravo a superarle» diceva dopo aver inflitto al numero 1 del mondo la sconfitta più severa della sua carriera. Contro Evans, Sonego ha accettato le difficoltà diverse del secondo set. Firma subito il break, il britannico si fa massaggiare a lungo la spalla destra poi approfitta della prima opportunità per firmare il controbreak immediato (1-1). Il torinese non si scompone, continua a proporre soluzioni e a offrire variazioni. Vuole essere artefice del proprio destino e torna avanti. Evans spacca la racchetta, Sonego spacca la partita. Il dritto fulmineo con cui cancella una possibile chance di break nell’ottavo game segna la conclusione anticipata. L’azzurro non molla un centimetro, non mostra tensione ma solo positiva emozione. Vince, raggiunge senza aver perso un set la finale di un torneo che non avrebbe dovuto giocare: è stato infatti ripescato come lucky loser dopo la sconfitta nell’ultimo turno di qualificazioni. Sonego diventa il quarto italiano in finale in un ATP 500, da quando questa categoria di tornei è stata inserita in calendario, nel 2009, dopo Fabio Fognini, Gianluca Mager e Andreas Seppi. Nella finale numero 166 con almeno un tennista italiano in campo, affronterà Rublev, numero 8 del mondo. Il russo ne ha giocate quattro nel 2020 e le ha vinte tutte […]

Nadal: «A 19 anni mi dissero che non avrei più giocato. Quella fragilità ora è forza» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera)

«Guardi che io ogni volta me la faccio sotto». Non ci credo. Tredici vittorie su tredici finali a Parigi. Non è mai successo: nella storia del tennis, nella storia dello sport. Come è potuto accadere? «Non lo so neppure io. Se è successo a me, può succedere a un altro. Io sono una persona normale. Con le mie incertezze, le mie paure».

Lei in campo ha paura di perdere?

Paura di perdere, mai. Però penso sempre di poter perdere. Lo penso tutti i giorni, contro qualsiasi avversario. E questo mi aiuta moltissimo.

Quali sono le sue paure? Dicono: il buio, i cani.

Queste sono sciocchezze. Ho paura della malattia. Ho paura per le persone cui voglio bene. Ho paura anche del Covid, ma non per me. Sono ancora abbastanza giovane, il fisico ancora risponde. Però, se mi infetto, posso infettare persone a rischio. Sono preoccupato per i miei genitori, per la mia famiglia. Per la mia comunità. E’ il momento più duro nella nostra vita. Per questo è il momento di lottare, per cose molto più importanti di una partita di tennis. Dobbiamo coltivare la fiducia.

Come dobbiamo affrontare la crisi del Covid?

Con il rispetto. Verso noi stessi, verso i nostri cari, verso gli altri. E poi con la responsabilità. E la logica. Si muore per il virus; ma si può morire anche di fame. Il colpo all’economia è stato durissimo. Bisogna trovare l’equilibrio tra la salute e il lavoro, tra la protezione sanitaria e quella sociale. La sicurezza è fondamentale; ma lo sono anche la libertà e la dignità.

Lei è molto legato alla sua isola, Maiorca, e al suo paese, Manacor.

Mi sento profondamente manacorì, maiorchino, spagnolo ed europeo. E mi sento quattro volte fortunato. Lei conosce Maiorca?. Venga, andiamo a fare un giro in macchina. Guido io. (Nadal ha una guida nervosa. Frena all’improvviso. Prende i dossi un po’ troppo forte; poi si scusa). Questo è il paese di mia nonna materna, Sant Llorenç. Vede quella rotonda? Lì è straripato il torrente e ha trascinato le auto fino al mare, era tutto distrutto, pareva la guerra civile. Anzi, no, non è quella, è la rotonda dopo! (Nadal è sinceramente arrabbiato con se stesso per aver sbagliato rotonda).

È vero che quando ci fu l’inondazione lei si mise a spalare il fango, e apri la sua Accademia di tennis agli sfollati?

Ho fatto quello che hanno fatto tutti, e che avrebbe fatto chiunque.

Suo zio Miguel Angel fu centrocampista del Barcellona e della nazionale spagnola. Anche lei era un calciatore. Perché ha scelto il tennis?

Non è stata una scelta. Ero un buon calciatore; ma come tennista ero un po’ più speciale. E poi mi allenava un altro zio, Toni, che con me era molto esigente, ed è stata la mia fortuna. La tensione, se la sai dominare, è fondamentale.

È vero che da bambino lei pensava che zio Toni avesse poteri magici?

Diceva di essere stato campione di qualsiasi sport, di aver vinto il Tour de France a braccia alzate, di aver giocato centravanti nel Milan. Una volta a bordo campo mi assicurò che, se fossi andato in difficoltà, lui avrebbe fatto piovere. Sullo o a 3 per il mio avversario cominciò a piovere. Quando recuperai gli dissi: “Zio, ora puoi anche far tornare il sole”. […]

Chi è per lei Federer?

Roger Federer è uno dei più grandi uomini nella storia dello sport, è un compañeros. È stato il mio grande rivale; e questo ha giovato a entrambi, e un poco pure al tennis. Abbiamo diviso un tratto di vita. In alcune cose ci assomigliamo: teniamo alla tranquillità, alla famiglia. In altre siamo diversi. Lui è svizzero. Io sono latino. Abbiamo caratteri, culture, modi di vita differenti. (Nel frattempo siamo arrivati da Sa Punta, ristorante di pesce sul mare, dove Nadal sta mangiando come un orco).

È vero che con Federer tutto è cambiato quando lui venne qui nella sua Accademia?

Non è cambiato nulla, perché i rapporti erano già buoni; altrimenti non sarebbe mai venuto. E io sono andato da lui in Svizzera e in Sud Africa, a giocare per la sua Fondazione.

E Djokovic? È vero che lei si è offeso quando imitava i suoi tic in campo?

Ma no! Io non mi offendo mai.

La gente si chiede il motivo del suo rituale: i due sorsi d’acqua da due bottigliette, le righe da non calpestare… Superstizione?

No. Non sono superstizioso; altrimenti cambierei rituale a ogni sconfitta. Non sono neanche schiavo della routine: la mia vita cambia di continuo, sempre in giro; e gareggiare è molto diverso dall’allenarsi. Quelli che lei chiama tic sono un modo di mettere ordine nella mia testa, per me che normalmente sono disordinatissimo. Sono la maniera per concentrarmi e zittire le voci di dentro. Per non ascoltare né la voce che mi dice che perderò, né quella, ancora più pericolosa, che mi dice che vincerò. […]

Come ha vissuto il lockdown?

Male. Soprattutto all’inizio è stato difficile: tutto quel tempo chiuso in casa, senza niente da fare, io che sono abituato a muovermi di continuo… almeno mia moglie María Francisca aveva il suo lavoro di ufficio. E direttrice della nostra Fondazione. Con Meri ci conosciamo da sempre, da quando eravamo piccoli. Lei è il mio punto di stabilità.

Lei ha avuto molti infortuni.

A diciannove anni, avevo appena vinto il primo Roland Garros, mi dissero che non avrei più potuto giocare, per una malformazione al piede sinistro. Il dolore era tale che mi allenavo a colpire la pallina seduto su una sedia in mezzo al campo. Poi sono guarito, grazie a una soletta che cambiava la posizione del piede, ma mi infiammava le ginocchia….

È vero che dopo la sconfitta nella finale di Wimbledon 2007 con Federer pianse negli spogliatoi?

Disperatamente. Per un’ora e mezza. Perché a volte la disillusione è terribile; anche se è solo un incontro di tennis. Ho pianto di dolore quando, nella finale degli Australian Open con Wawrinka nel 2014, mi sono infortunato alla schiena dopo aver vinto il primo set. Ho perso, ma ho portato a termine l’incontro; perché non ci si ritira da una finale Slam. Altre volte ho pianto di gioia. Sono una persona sensibile, emotiva. Vivo lo sport con grande passione. […]

Quando si ritirerà?

Non lo so. Il tennis è un gioco della mente; non è matematica. Quando sarà il momento, lo saprò. Dopo mi dedicherò ai bambini. La nostra Fondazione aiuta i piccoli che rischiano l’esclusione sociale: provvede al cibo, all’istruzione, allo sport. Poi abbiamo il progetto “Más que tenis”, venti scuole in Spagna per bambini diversamente abili. E lavoriamo in India, per insegnare ai ragazzi l’inglese e l’informatica. […]

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