Gli 86 anni di Ken Rosewall. Con Rod Laver sul campo, con me fuori. La sua storia e 100 aneddoti. Se avesse giocato 44 Slam in più...

Editoriali del Direttore

Gli 86 anni di Ken Rosewall. Con Rod Laver sul campo, con me fuori. La sua storia e 100 aneddoti. Se avesse giocato 44 Slam in più…

La sua longevità è perfino superiore a quella di Federer. L’ultimo torneo lo ha vinto a 43 anni. Se gli 80 duelli di Navratilova-Evert e i 56 si Djokovic-Nadal sembrano tanti… Rosewall e Laver sono a quota 164!

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Il 2 novembre è stato il compleanno di un mio mito, Ken Rosewall, 86 anni. Uno dei più grandi campioni di sempre. Non è giusto che quando tutti dissertano, accalorandosi, sul GOAT, si parlì dei tre big di quest’epoca, Federer, Nadal e Djokovic, si citino Tilden, Budge, Laver e Sampras, si trascuri Rosewall… Accade soltanto perché troppi appassionati sono troppo giovani per averlo visto giocare oppure si limitano a leggere quanti Slam ha vinto Tizio e quanti Caio. Ignorando che Rosewall ne ha dovuti saltare ben 44!

È difficile parlare di Ken senza raccontare anche Rod Laver, il suo più grande rivale. Ma alla fine di questo lungo articolo racconterò miei episodi personali vissuti con Ken… anche in tempi piuttosto recenti.

Alla vigilia della finale dell’ultimo Roland Garros ricordo che la si è presentata come il 56mo duello fra Nadal e Djokovic, dicendo che la loro è stata la sfida più ripetuta dell’era moderna. Il bilancio, come sapete, vede Djokovic avanti 29 a 27 a dispetto dell’ultimo match perso. Chris Evert e Martina Navratilova avevano duellato ancora di più, 80 volte e 60 in finale! Martina in 16 anni di battaglie ha vinto 43 volte e perso 37. Io non so proprio quante volte ho incontrato Ken – mi disse Rod Laver il giorno che a Melbourne ribattezzavano il campo centrale con il suo nome – perché allora nessuno le contava, forse solo il tuo amico Rino Tommasi!”.

Ebbene fra Tommasi e altri ricercatori ossessivi vi posso dire che la rivalità Evert-Navratilova è roba da ridere a confronto dei duelli affrontati da Laver e Rosewall: sono stati 164! E Laver ne ha vinti 89, perdendone 75. Per condurre questa ricerca si è dovuto ripescare risultati di match giocati a Nairobi, Harare, Knokke le Zoute, Lake Tahoe, Perth, posti dove credo che Evert e Navratilova non si siano mai avventurate. E non è detto che non ne salti fuori ancora qualcuno. Ma come Chris e Martina il ragazzo di campagna Rod e il nativo di Sydney Ken hanno sviluppato una grandissima amicizia e un reciproco grandissimo rispetto…

Le loro carriere sono suddivisibili in tre atti:

1) L’era dei dilettanti conclusa nel 1968

2) L’era dei primi professionisti con Jack Kramer a giro per il mondo come degli zingari. Laver ha vinto 3 Slam in più rispetto a Rosewall, 11 contro 8, ma se Laver ha dovuto saltare – in quanto passato al professionismo e alla troupe di Jack Kramer – 5 anni e 20 Slam, Rosewall ne ha dovuti mancare ben di più, 11 anni e 44 Slam, per essersi ritrovato più a lungo in quello stesso limbo. Quanti ne avrebbe potuti vincere di quei 44 Slam se li avesse potuti giocare? Non avrebbe superato i 20 di Federer e Nadal? Io penso di sì. I giocatori della troupe avevano un contratto annuale, ma da campioni orgogliosi quali erano, non avrebbero mai perso una partita senza impegnarsi al massimo. E sul conto di Laver e Rosewall potevate scommettere che avrebbero sempre fatto di tutto pur di battere una volta in più l’amico rivale.

3) L’Era Open, la cui più grande introduzione fu… il montepremi.

Fino al ’68 potevano vivere con il tennis e grazie al tennis soltanto pochissimi giocatori. I tennisti di… Stato, quelli dell’Est europeo, qualche altro finanziato (pochissimo) dalle rispettive federazioni per via della Coppa Davis (Pietrangeli, Santana, e alcuni di quelli che non erano voluti passare al professionismo per varie ragioni ora troppo lunghe da spiegare). Anche i giocatori della troupe di Kramer dovevano sobbarcarsi trasferte e match, giorno dopo giorno, in posti tutt’altro che comodi e certo senza gli agi dei campioni contemporanei. Rod Laver raccontò una volta del coprifuoco… degli insetti a Khartoum! “Giocammo outdoor fino a che un nugolo di calabroni oscurarono le luci dei riflettori e…per tutti fu buona notte!”. Ma quella notte Laver e Rosewall non giocarono contro, quindi il conto dei loro duelli non ne è stato sfiorato.

Dopo aver aiutato l’Australia a vincere 3 Coppe Davis Rosewall diventò “pro” nel ’56, quando Pancho Gonzales era il n.1 dei tennisti ingaggiati da Kramer. Tanti australiani avevano provato a spodestarlo, Sedgman, Cooper, Hoad, Anderson. Nel ’57 Gonzales batté Rosewall 50 volte perdendoci 26. E l’anno dopo 14 volte perdendone 3. 35 vittorie in più. Grazie al vantaggio accumulato in quei primi due anni (e al 1960: 20 a 5) Pancho alla fine avrebbe potuto vantare 30 successi in più rispetto a Ken: 116 a 86. Ma negli anni ’64 ’66 ’68 ’69 ’70 Ken vinse più di quanto perse. D’altra parte Gonzales era classe 1928, 6 anni più vecchio di Ken e 10 di Rod (che infatti con Gonzales ha un record di 43 vittorie e 22 sconfitte, pur avendoci perso 3 volte su 5 nel ’70 quando Pancho aveva già 42 anni!).

Insomma era inevitabile che Gonzales dovesse lasciare il passo. E Rosewall vinse 14 dei 18 playoff americani per diventarne il successore.È stato lo stesso Rosewall a raccontare: “Nel ’62 alcuni di noi cominciavano a essere vecchiarelli, avevamo bisogno di sangue nuovo e Rod aveva realizzato il Grande Slam nel 62… Io e Hoad contribuimmo a trovare 150.000 dollari per garantirli a Rod per tre anni da professionista”.

“Ammiravo Ken, ma ero più giovane e non l’avevo mai incontrato da dilettante: la prima volta che l’affrontai fu a Sydney, da professionista… e lui fu troppo più bravo di me! ha ricordato Rod Laver. Ken vinse 11 dei primi 13 duelli con Rod nell’inverno americano. Mi chiesi se avessi fatto bene ad aggiungermi alla troupe dei “pro” per ritrovarmi a guidare su quelle strade ghiacciate quando avrei potuto giocare fra i dilettanti nel circuito caraibico con dei bei rimborsi… gonfiati! Però al tempo stesso volevo giocare contro i migliori, e loro, i “pro” erano i migliori” ricorda Rod.

Non furono tempi facili. Nel ’63, l’anno dopo aver vinto lì fra i dilettanti, Laver perse a Forest Hills nella finale Pro 6-4 6-2 6-2 da Rosewall e quel che ricevettero entrambi i finalisti fu… una calda stretta di mano! Non c’era mai vera certezza di riscuotere i soldi promessi… né tantomeno del futuro”.Nel ’67 Wimbledon invitò i “pro” a giocare un torneino un mese dopo i Championships. Laver lo vinse e i dirigenti di Wimbledon capirono che continuare a privare il tennis di quei campioni era una roba tafazziana, un harakiri. E dichiararono così che nel ’68 anche i “pro” sarebbero stati i benvenuti all’All England Club. Ormai Rosewall e Laver erano over 30, tuttavia Rosewall vinse il primo Slam Open a Parigi, battendo Laver. Un anno dopo Laver rovesciò quel risultato, conquistando il secondo Slam di quell’anno in cui li avrebbe vinti tutti e quattro.

Ma le partite più memorabili fra i due, almeno quelle viste da tutto il mondo grazie alla tv e al WCT, furono le finali di Dallas, Quella del ’72 viene considerata una delle partite più belle della storia del tennis: Rosewall la vinse 4-6 6-0 6-3 6-7(3) 7-6(5). Nel tiebreak finale Laver era avanti 5 a 4 e aveva due servizi a disposizione. Giocò due maligni servizi mancini ma Rosewall li controbattè con due splendidi rovesci, il suo marchio di fabbrica, e poi chiuse al primo matchpoint. Il primo premio era 50.000 dollari. Una fortuna per quei tempi. Rosewall aveva 37 anni: Non avrei mai creduto che a 37 anni avrei mai giocato per una somma simile… Pensavo che mi sarei ritrovato semmai a fare il venditore di assicurazioni…”.

Beh, Rosewall ha continuato a giocare e a vincere per diversi ancora. Vinse il suo ultimo titolo a Hong Kong a 43 anni nel 1977. Laver ha concluso la sua serie di successi a 37 anni, vincendo a 37 anni il torneo di Orlando, in Florida. Come ho scritto sopra, i loro duelli erano stati 164, lungo 16 anni. Salvo che ce ne siamo persi qualcuno, lungo “the long winding road” come avrebbero cantato i Beatles. Laver nell’era Open ha battuto Rosewall 22 volte su 31, ma Rosewall vinse l’ultima sfida a Houston. Almeno di questi ultimi dati sono sicuro al 100 per 100.

Certo è che un ragazzino che spulciasse i record di 30 anni di tennis fra gli anni 50 e 80 si chiederebbe: ma quel Rosewall era sempre lo stesso o erano due fratelli come i McEnroe? L’aspetto più stupefacente non è la lunghezza della sua carriera, le finali di Wimbledon giocate a 20 anni di distanza dal Little Master, il Piccolo Maestro di un metro e 70 e solo 40 di piedi. Ma la qualità del suo tennis che gli consentiva nelle giornate di vena di battere chiunque anche a 40 anni. Una longevità conseguente alla purezza tecnica dei suoi gestii. Quel fisico minuto non era mai sotto stress. A 53 anni imbronciato confessò: “Mi sa che mi dovrò operare alla spalla destra, è il mio primo infortunio”. Oggi i tennisti sono tutti rotti già a 25. Certo quel suo debole servizio non assomiglia ai cannonballs di oggi a 230 km orari, ma Rosewall con le racchettine di legno e quel rovescio chirurgico sempre nell’angolo più ingiocabile, a metà anni ’70 rispondeva tranquillamente anche alle battute che già viaggiavano vicino ai 200.

Un altro segreto per una carriera così lunga? Forse Wilma, la fedelissima moglie conosciuta a 14 anni. Con due figli, l’ha seguito ovunque. Proprio come Mirka con Roger Federer. 4 gemelli ma sempre dietro a lui. Senza una super armonia familiare anche per Ken Rosewall sarebbe stato impossibile giocare 30 anni, vincere 8 Slam pur saltandone 55 causa gli undici anni da professionista. Un vero fenomeno.

In mezzo secolo mi è capitato di incontrare parecchie volte Ken Rosewall, campione che non si è mai dato le arie del campione, del personaggio famoso. E tuttavia un idolo per milioni di australiani che sapevano come  nei primi anni di professionismo di Rod Laver fosse quasi sempre Rosewall a spuntarla nei confronti diretti. Ma Rosewall, come del resto Laver, è sempre stato l’uomo del low profile, dell’understatement. Un uomo semplice, di una educazione e umile disponibilità assolutamente straordinarie.

L’ultima vera intervista, lucidissima per un uomo ben oltre gli 80 anni, me l’ha concessa un paio d’anni fa a Wimbledon e se saremo mai capaci di ritrovare l’audio ne metteremo il link qui sotto. Ma sapeste quanto sarebbe profondo il nostro archivio e quanto è difficile ritrovare tutto! Ma l’ultima volta che ci ho riparlato è stata un paio d’anni fa, nella mattina della finale dell’Australian Open vinta da Djokovic su Nadal. Quale segretario onorario dell’International Club d’Italia avevo ricevuto l’onore di un invito al tradizionale pranzo di ogni anno organizzato dall’International Club d’Australia. C’erano un centinaio di persone fra soci, familiari ed ex tennisti e campioni australiani.

Pranzo seduto, posti assegnati al South Yarra Tennis Club di Melbourne, magnifico ed elegantissimo  circolo nel quale era nato e cresciuto il leggendario australiano Norman Brookes, il campione di 3 Slam fra il 1907 e il 1914. Il primo tennista non British a conquistare il titolo di Wimbledon. Di lui campeggiano straordinarie foto d’epoca in diverse sale della grandissima club house. La distribuzione nei vari tavoli era stata fatta per ordine alfabetico, illustrata in un grande pannello. Per via del mio cognome Scanagatta il caso volle che io lo ritrovai scritto proprio fra quello di Rosewall e quello di Sedgman. Quel brocco di Scanagatta scritto fra due campioni capaci di vincere 13 Slam! Roba da non credere. E foto ricordo inevitabile!

Dopo pranzo e dopo una foto di rito, con loro due subito disponibili, simpatici e allegri nel ricordare aneddoti divertenti, con Pietrangeli, Merlo, Sirola, Tacchini e altri. Sapevo che Rosewall di Pietrangeli diceva sempre: “Aveva talmente tanto talento naturale che se fossimo stati tutti confinati per mesi in un’isola deserta senza campi da tennis e poi avessimo giocato un torneo senza allenamento lo avrebbe vinto certamente Nicola”.Me l’ha ripetuto ancora al South Yarra Tennis Club e allora, mentre Sedgman annuiva, gli ho risposto: “Può essere che tu abbia ragione, ma l’avversario di Nicola Pietrangeli in quella finale sarebbe stato certamente Ken Rosewall”.

Ken mi ha raccontato una storia curiosa che aiuta a capire quanto siano cambiati i tempi già fra 70 e 50 anni fa, figurarsi oggi, quando chi vince uno Slam si mette in tasca 3 milioni e mezzo di euro. A metà anni Cinquanta, dopo che aveva già giocato la prima di quattro finali perse a Wimbledon nel ’54 con Jaroslav Drobny, Ken per arrotondare i modestissimi guadagni del tempo pensò bene di vendere le sue racchette, quelle con la sua effigie impressa nel cuore, fra manico e ovale. Si chiamavano Rosewall Slazenger.

Lui le vendeva ai raccattapalle che erano quasi sempre figli dei soci dei club dove si giocavano i tornei e, felicissimi, facevano a gara per conquistarle. Magari me le avessero vendute Roche e Newcombe quando fui loro raccattapalle al CT Firenze! Le racchette di Rosewall sul mercato costavano 35 dollari ma lui le vendeva per 5. Quando Ken vinse le finali WCT a Dallas nel ’71 e nel ’72 battendo Laver in due partite memorabili che hanno fatto la storia del tennis il primo premio era 50.000 dollari. “Eh sì – ha ricordato sorridendo Ken – ci sono voluti 15 anni ma da 5 dollari a 50.000 è stato un gran bel salto”.

Nei primi anni settanta il primo premio dell’US Open, il torneo con il montepremi più ricco, era di 15.000 dollari. Rosewall non aveva certo cominciato a giocare per soldi. Nei suoi primi tornei si sarebbe accontentato di una tazza di thè con i biscotti, di un pranzo. Ken non ha mai cantato, ballato, lanciato frizzi e lazzi, fatto allegri casini come Newcombe o Emerson. Ai miei occhi lui rappresenta forse il più tipico esempio di tennista australiano di quegli anni: così scrupolosamente serio che mi confessò di disertare le sale buie dei cinematografi nel timore di poter sciupare i riflessi.

Eppure non era un tennista che facesse serve&volley come la maggior parte degli altri Canguri con racchetta. Racchetta che spesso lasciava cadere, preda dello scoramento che lo prendeva per un errore che solo lui poteva considerare banale. Quando capitava lo faceva scuotendo la testa con l’aria di una infinita rassegnazione, ma senza mai lanciare un urlo, figurarsi una parolaccia. Nessuno gliene ha mai sentite dire. Non avrebbe mai voluto sbagliare, regalare un punto, ma non avrebbe mai nemmeno rubato un punto che non fosse suo. Il piccolo maestro è stato anche un grande maestro di fair play.

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