Ion Tiriac senza filtri: "Il tennis sopravviverà, ma i campioni collaborino. Dobbiamo ridurre la velocità del 30%"

Interviste

Ion Tiriac senza filtri: “Il tennis sopravviverà, ma i campioni collaborino. Dobbiamo ridurre la velocità del 30%”

L’istrione rumeno a tutto campo su l’Équipe. “I Mille sono i tornei con la qualità migliore. Amo il tennis femminile ma non può essere finanziato dall’ATP”

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Utilizzare l’aggettivo “istrionico” per definire Ion Tiriac è come sfoderare “talentuoso” per tratteggiare John Lennon: esistesse la polizia giudiziaria delle figure retoriche, si correrebbe il rischio di finire indagati per il reato di eufemismo temerario. Un passato remoto da sportivo, sui campi del tennis e sul ghiaccio dell’hockey, ma il vestito da “ex” quarant’anni dopo gli va decisamente stretto. Il Conte di Brasov è ormai un manager affermato e un opinionista curioso, spesso prodigo di giudizi tranchant ma anche per questo mai banale, pregio non disprezzabile in un mondo quasi sempre chiuso nella necessità di non contraddire il prossimo.

Nell’intervista concessa a L’Équipe, Tiriac ha tracciato una panoramica sull’attualità del mondo della racchetta, avendo cura di non tralasciarne ambito alcuno: dalla pandemia al futuro dei Mille; dal circuito WTA all’eredità del gioco quando i grandi lasceranno, fino alle modifiche regolamentari che tanto entusiasmano il dibattito negli ultimi tempi. Ion è un fiume in piena, e come sempre val la pena spendere qualche minuto per ascoltarlo.

Sono tempi duri, ma il tennis sopravviverà anche a questa drammatica pandemia“, attacca il capo del Mille madrileno. “Senza pubblico non è facile, ma in questo momento dipendiamo totalmente dalle autorità. Se ci dicono di giocare a porte chiuse, giochiamo a porte chiuse, perché dobbiamo comunque sopravvivere. I giocatori però devono collaborare; capire che non potranno essere pagati come prima fintanto che la situazione resterà precaria. Devo complimentarmi con chi ha organizzato Roland Garros e Paris-Bercy: sicuramente hanno perso dei soldi, anche perché mille spettatori in un impianto come il Philippe Chatrier sono zero, e in più hanno avuto spese infinitamente maggiori per assecondare le esigenze di screening e del personale sanitario“.

Una situazione certo tumultuosa, ma Tiriac non pare eccessivamente impensierito per le sorti della classe di tornei che rappresenta con spiccato orgoglio. “Credo che molte persone sottovalutino la solidità dei Masters 1000. Abbiamo fondamenta certe, partner che si fidano di noi e soprattutto una grande storia alle spalle. Indian Wells e Miami ormai esistono da cinquant’anni; Montecarlo e Roma da cento. Nei nostri tornei si gioca il tennis qualitativamente più alto in assoluto: solo cinquantasei atleti per tabellone, ma i migliori. Ogni match è uno spettacolo garantito”. Tuttavia non si potrà fare a meno della famosa normalità per sempre. “Certo, se mi faceste le stesse domande nel 2022, dovessimo essere ancora in questa situazione d’incertezza globale, comincerei a essere preoccupato“.

Ma è l’appeal generale che la pallina di feltro ancora conserva a rincuorare Ion. “Sento spesso dire che il nostro sport è in crisi, ma è il secondo per spettatori in Europa, il secondo in Sud America, il secondo in Asia con ambizioni di primato. Conserviamo tuttora un appeal difficile da pareggiare, perché è connaturato alla nostra storia. Ricordo bene quando giocava Boris Becker: all’apice della sua fama sarà stato in Tv cinquemila ore, stava lì due o tre ore al giorno. I volti dei nostri campioni sono e sono sempre stati riconoscibili e appetiti, per questo gli sponsor sono ben contenti di stare con noi, e una base simile rende solido l’intero movimento“.

Tuttavia adagiarsi sugli allori consolidati non si può, non si deve e non è atteggiamento che possa albergare nell’animo di uno come Tiriac, personaggio che pone il proprio sguardo sempre qualche metro più in là della staccionata. “Anche i Mille possono migliorare, abbiamo il dovere di ricercare sempre le soluzioni più consone alla felicità di tutti gli attori sulla scena. Da anni spingiamo sull’urgenza di posizionare i tornei sulle due settimane. Ciò consentirebbe ai giocatori di avere un giorno di riposo tra un match e l’altro proprio come negli Slam, con ricadute benefiche sullo spettacolo, speriamo di arrivarci a breve“. Proseguendo, come accade a Madrid, sulla via dei combined? “I combined sono sempre un’ottima idea. Amo il tennis femminile, per molti versi lo preferisco a quello maschile perché la potenza non è così indispensabile, si possono ammirare gesti infinitamente più eleganti. Tuttavia non possiamo trascurare il fatto che una partita WTA di grido attira un quarto degli spettatori rispetto a un incontro ATP dello stesso livello. Abbiamo il dovere di sapere che il tennis maschile non può finanziare quello femminile“.

Avanti tutta, senza timore di esporre opinioni anche divisive, al limite. Il leitmotiv è comunque sempre quello: progredire, senza adagiarsi, magari sbagliare, ma fermarsi mai. Figuriamoci se uno come Tiriac è spaventato dall’annosa, e un pizzico stucchevole, tematica del ricambio generazionale, quando le leggende attuali passeranno in carico al sistema pensionistico. “Sono sulla scena da quasi cinquant’anni, certi discorsi li ho sentiti mille volte. Quando hanno smesso Laver e Rosewall sembrava non poter esistere più il tennis, e invece sono arrivati Newcombe e Nastase. Finiti loro sono esplosi Connors, Borg e McEnroe, e dopo di loro Becker e Sampras. Tutti prima o poi smettono, ma nuove stelle sorgeranno sempre, oscurando anche un po’ il passato, perché è la vita. I miei nipoti avranno solo una vaga idea di chi è stato Nadal“.

Nella visione del Conte i campioni possono tranquillamente eclissarsi, senza che ciò nuoccia minimante al gioco. I fondamentali di Tiriac vanno ricercati altrove, perché la cosa veramente importante è che il gioco medesimo rimanga al passo con le abitudini di un pubblico sempre in evoluzione. “La partita delle quindici e trenta in un torneo del grande Slam rimarrà per sempre un classico del nostro sport, ma urge prendere atto che al giorno d’oggi un match di sei ore è troppo, per tutti. Cosa farei io, mi chiedete? Forse manterrei i cinque set, ma li porterei ai quattro giochi. Credo inoltre che prima o poi sarà ineludibile l’eliminazione dei vantaggi: lasciar decidere a un punto secco le sorti di un game renderebbe il tutto molto più eccitante“.

E in effetti non è il solo ad augurarsi cambiamenti di tale foggia, ma Tiriac non sarebbe Tiriac se non mettesse un bel po’ di peperoncino sull’argomento. “Alcune riforme si possono fare, ma la più importante, se vogliamo preservare negli anni la qualità del tennis, riguarda la velocità di gioco. Dobbiamo ridurla assolutamente, del 25, anche del 30%, intervenendo sul peso e sulla grandezza delle palle. Non possiamo schivare questo argomento in eterno“. Qualche spunto di riflessione per il weekend è in archivio, ci sentiamo di dire.

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