In 960 sono tornati "liberi". Gente in tribuna per Sinner (Mastroluca). Musetti nei quarti. Due match in due ore (Bertellino). Mito Laver, il Maestro mancato (Azzolini)

Rassegna stampa

In 960 sono tornati “liberi”. Gente in tribuna per Sinner (Mastroluca). Musetti nei quarti. Due match in due ore (Bertellino). Mito Laver, il Maestro mancato (Azzolini)

La rassegna stampa di venerdì 29 gennaio 2021

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In 960 sono tornati “liberi”. Gente in tribuna per Sinner (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

Sorrisi e bagagli da caricare in auto. C’è l’aria delle partenze a Melbourne per il nuovo inizio del tennis. È finita la quarantena per oltre 960 tra giocatori, accompagnatori e componenti dello staff che hanno lasciato i rispettivi alberghi tra Adelaide e Melbourne. Nella capitale dello stato di Victoria, resteranno in isolamento fino a venerdì le 72 persone considerate “contatti stretti” di qualcuno risultato poi positivo. In questo caso, perché imbarcati sullo stesso charter messo a disposizione dall’organizzazione per raggiungere Melbourne. Continua l’isolamento anche per le cinque persone che risultano ancora positive ai test, fra cui la giocatrice spagnola Paula Badosa, la cui partecipazione all’Australian Open appare appesa a un filo. Hanno lasciato il loro hotel anche i protagonisti dell’esibizione “A Day at the Drive” ad Adelaide. Il sipario sul circuito maggiore, dopo le due settimane di quarantena, si è sollevato con la sfida tra il numero 1 del mondo, Novak Djokovic, e il numero 1 degli under 20, l’azzurro Jannik Sinner. Al Memorial Drive è tornato anche il pubblico in misura ridotta ma consistente. Un altro piccolo ma prezioso esercizio di normalità.

Musetti nei quarti. Due match in due ore (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Lorenzo Musetti ritrova la terra rossa outdoor, superficie che al momento meglio si adatta alle sue caratteristiche, e stacca al Challenger di Antalya un posto nei quarti di finale. Il 18enne carrarino, al palo come tutti gli altri protagonisti per quattro giorni di pioggia battente che hanno rinviato l’inizio della rassegna, è sceso in campo ieri per due volte. In prima battuta ha concesso pochissimo al cileno Alejandro Tabilo, sconfitto 6-2 6-0; qualche ora più tardi si è ripetuto contro l’indiano Ramanathan, fermato per 6-0 6-4 al termine di un secondo set più equilibrato. Tornerà in campo domani per proseguire la corsa. Oggi invece toccherà ad altri due italiani che ieri hanno superato il 1° turno, ovvero Paolo Lorenzi, a segno contro il tedesco Altmaier, per 6-4 6-2, e Alessandro Giannessi, che ha sconfitto in due frazioni Kovalilc, n° 7 del seeding.

Mito Laver, il Maestro mancato (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Era trascorso un anno appena, ma tutto ciò che doveva succedere aveva ormai preso forma compiuta. Nessuno avrebbe potuto chiedere di più, nemmeno forzando i confini leciti della fantasia. I trofei? Il più grande era già suo, e lo aveva conquistato due volte. Il mito? In costruzione. Quello di un omino esile, rosso nei capelli e nel naso arroventato dal sole, che prometteva felicità a un mondo in affanno. Le vittorie? Tutte sue, anche quelle dimenticate da un tennis professionale che mostrava pudore nel lasciare tracce di sé, preferendo nascondere i mille match giocati fra palestre e campi improvvisati nelle fiere di città. Risultati di epiche battaglie mai giunti sino a noi. Ricostruire la carriera di Rod Laver non ha senso. Lui stesso la ritiene una sfida impossibile. Se Connors è a quota 109 vittorie, Rocket potrebbe ribattere di essere 32 gradini più su, a 141, se ai 78 successi guadagnati con lo status di dilettante e poi di tennista “open”, se ne aggiungono i 63 certificati nei 5 anni trascorsi nel circuito professionale. Ma forse ve ne sono altri. Successi cancellati dalla memoria, mai ufficializzati né trascritti su un albo d’oro. Lo stesso vale per gli Slam. Venti quelli di Federer e Nadal, 11 i suoi. Salvo dimenticare i 4 Us Pro Championships, i 2 French Pro e i 4 Wembley Pro, oltre al primo e unico Wimbledon Pro giocato nel 1967. Erano gli Slam del circuito professionistico, con tutti i migliori al via. Valgono? Nel caso il conto salirebbe a 22. Manca una sola vittoria, nel grande harem dei successi di Rocket Man. Quella del torneo dei maestri, le Finals, che nel 1969 ancora non c’erano e presero le mosse solo dal 1970. Troppo tardi per l’omino dai capelli rossi, alle prese con gli anni del prepensionamento? No, RL vi giunse a un tiro. Perse da Stan Smith a Tokyo la prima edizione e non ebbe altre occasioni. Il vincitore di due Grand Slam non divenne mai maestro. Lui, quella casella vuota, la considera uno sberleffo della sorte. Forse è così. Ma quel graffio che la storia del tennis volle incidere nella vicenda di Rocket, ha una storia. Noi ve la raccontiamo così. Il 1969 aveva pianto la morte di Jan Palach e di Ho Chi Min, aveva assistito all’insediamento di Golda Meir e George Pompidou, di Willy Brandt e Muammar Gheddafi, chiedendosi quali novità (o disgrazie) avrebbero portato nei rapporti internazionali. […] Nel 1969 Rocket Man, il tennista che aveva tanti colpi a disposizione quant’erano le efelidi sul suo viso, era un uomo in missione. […] Rodney giocò sull’orlo del baratro, in cambio ottenne la perfezione di una vittoria che resta la più grande possibile nel tennis, più ancora delle altre che passano sotto le stesse insegne, l’una di Donald Budge nel 1938, l’altra dello stesso Rodney, sette anni prima. Vinse incontri che pochi altri avrebbero condotto in porto. A Brisbane, sede degli Australian Open, una chiamata dubbia pose fine alla contesa con Tony Roche. Sul 3-4, 15-30 del quinto set, Roche servì forte e caricò a rete come un bufalo, Rocket rispose con una palletta in back di rovescio flottante nell’aria assolata, all’apparenza innocua ma ingannevole sulle sue reali intenzioni. Cadde sulla riga fu il verdetto, contestatissimo. «Se Tony mi avesse agganciato, non so come sarebbe finita. Forse oggi non si parlerebbe di Grand Slam». A Parigi fu Dick Crealy a metterlo alle strette. Un australiano costruito per l’attacco ma privo di sensibilità. Gli andò due set sopra, Rod reagì in tempo per ottenere l’1-2 prima della sospensione e il giorno dopo, al quinto set, Dick ebbe la palla break sul 4 pari. Attaccò duro, Laver rispose senza crederci, ma sulla volée alta e comoda Crealy armò un siluro che prese la direzione degli Champs Elysees. Poi Premjt Lall a Wimbledon. E dopo, i due set regalati a Stan Smith negli ottavi. Concessi e recuperati. Tra tante difficoltà, il Grand Slam del 1969 è fra tutti il più rigoroso. Fu il primo Grand Slam dell’Era Open, è stato l’ultimo. Laver lo conquistò come si fa con una donna, si dedicò a esso trascurando il resto, utilizzando gli altri tornei come palestra d’allenamento. Ne venne un diamante di assoluta purezza.[…] Il 9 settembre 1969 Laver vinse il quarto major della stagione, ancora contro Tony Roche e su un campo in erba zuppo di annaffiatura. Chiese di poter indossare le scarpette chiodate, Tony, più grosso e pesante, assai meno agile dell’amico, rifiutò sdegnoso il suggerimento, e fini per giocare il match di bolina, slittando su ogni allungo come sospinto dal vento. Tre set consegnarono a Laver il secondo Grand Slam e un posto di primo piano nella storia del tennis. Rod incassò i 16 mila dollari del premio e scappò di corsa per raggiungere la moglie che stava per partorire. Si sentiva felice, acquietato. Aveva fatto ciò che doveva. Era il trionfo e insieme il passo d’addio. Anche se questo lui ancora non lo sapeva. […]

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