Nemmeno gli Australian Open di 50 anni fa furono normali

Australian Open

Nemmeno gli Australian Open di 50 anni fa furono normali

Tennis.com ha raccontato l’Australian Open del 1971, ultima edizione svoltasi a Sydney, fra cambi di sede, montepremi inadeguati e tabelloni ridotti all’osso. Forse adesso non va così male…

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Evonne Goolagong (foto via Twitter, @Wimbledon)
 

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La buona notizia era che i giocatori australiani dominavano il mondo. Rod Laver aveva chiuso gli anni ‘60 vincendo tutti e quattro i Major. Margaret Court aveva fatto la stessa cosa nel 1970, anno in cui John Newcombe aveva conquistato il primo dei suoi due titoli consecutivi a Wimbledon e l’eterno Ken Rosewall aveva vinto lo US Open a 35 anni. Tony Roche e Kerry Melville erano in corsa per i titoli più importanti; i veterani Roy Emerson, Fred Stolle e Mal Anderson erano ancora pericolosi. In più, stava sbocciando un’adolescente aborigena dal gioco morbido come la seta, Evonne Goolagong.

Allo stesso tempo, tuttavia, lo Slam australiano era nella lista dei tornei in pericolo. Era sempre stato il meno prestigioso dei quattro Major del tennis, a causa della sua distanza dall’Europa e dagli Stati Uniti, della data all’inizio di gennaio e dei suoi piccoli e insignificanti tabelloni. Anche nell’era Open, gli Australian Open vinti da Laver e Court nel 1969 e nel 1970 avevano tabelloni rispettivamente di soli 48 e 43 posti.

In Australia, era stato difficile per il torneo generare interesse. Dal 1922 al 1971, la sede è cambiata frequentemente, ruotando tra Brisbane, Adelaide, Sydney e Melbourne. “Era bello giocare il torneo in posti diversi”, dice Emerson, “ma non c’era davvero molto tempo per promuoverlo“.

L’avvento dell’Open di tennis evidenziò le carenze del torneo. Gli eventi simili a festicciole in giardino tenuti in precedenza negli accoglienti circoli locali si trovarono improvvisamente ad affrontare nuove richieste dagli sponsor, dalle televisioni e dal fiorente circuito pro. Tutto, dagli spogliatoi al cibo, dalle sistemazioni ai trasporti, necessitava di un enorme miglioramento. Ma da nessuna parte lo scisma del tennis tra dilettantismo del vecchio mondo e nuova professionalità si rivelò più vividamente che nella questione dei compensi. Il montepremi totale in palio allo US Open del 1969 fu di $125.000. Vari resoconti dell’Australian Open di quell’anno stimano che il prize money non superasse un terzo di quell’importo.

Nel gennaio del 1970, Laver, Rosewall, Emerson e Stolle, impegnati in tornei più redditizi ed accoglienti per i giocatori, avevano saltato l’Australian Open. L’evento maschile da 48 giocatori, quell’anno tenutosi a Sydney, era stato vinto da Arthur Ashe. Subito dopo, per accogliere i nuovi tornei che stavano nascendo, la Lawn Tennis Association of Australia aveva deciso che il torneo del 1971 avrebbe fatto un passo senza precedenti e si sarebbe svolto a marzo. Tutti i grandi giocatori australiani ora potevano competere nel loro Major di casa.

Un articolo pubblicato nell’edizione del 7 aprile del 1970 del “Canberra Times” rivela che Melbourne era stata la sede prescelta dell’Australian Open del 1971… almeno fino al febbraio di quell’anno. Sempre nell’articolo, infatti, si racconta di come la federtennis locale avesse poi accettato un’offerta di $125.000 da parte di Dunlop per organizzare il torneo a Sydney. Uno dei motivi per cui Melbourne venne accantonata fu la preoccupazione che eventi come il calcio e il festival Moomba, un evento comunitario di lunga data, rendessero difficile il successo del torneo di tennis a marzo. Così fu deciso per Sydney, sede di quello che era quindi stato ribattezzato Dunlop Australian Open. I tabelloni per il singolare rimasero piccoli: 48 uomini e 30 donne avrebbero giocato presso lo storico White City Tennis Club.

Vestiti bianchi, palle bianche, un grande club in cima alla collina e file e file di campi in erba“, dice Marty Mulligan, cresciuto a Sydney e diventato uno dei primi 10 giocatori al mondo negli anni ’60. Stolle, un altro grande cresciuto a Sydney, ricorda: “Era bellissimo, ma c’erano anche buone probabilità che ci sarebbe stato vento“. Secondo Laver, vincitore del titolo in quella città nel 1962 [gli altri due titoli di Rocket arrivarono a Brisbane, ndr], “era piuttosto asciutto, con poco attrito e un po’ scivoloso“.

Un bye al primo turno portò Laver ai sedicesimi di finale, dove sconfisse facilmente l’australiano Colin Dibley. Ma poi il Superman del tennis si imbatté nella sua kryptonite. Non mi piaceva giocare con i mancini“, dice Laver, “e per cinque anni, come professionista, non ho affrontato nessun mancino, cosa che non ha aiutato“. In due delle sue precedenti corse per il titolo australiano, Laver aveva rischiato di perdere con i mancini Neale Fraser e Tony Roche, battuti in due epici match al quinto. In questa occasione, il mancino ribelle era un giocatore dai colpi potenti e puliti proveniente dalla Gran Bretagna, Mark Cox: di notte, con condizioni umide e pesanti, il britannico prevalse per 6–3, 4–6, 6–3, 7–6. La pressione era su Rod, non su di me“, disse Cox al New York Times. “Non riusciva a far funzionare la sua prima di servizio“.

Anche altre speranze australiane uscirono presto. Newcombe, terza testa di serie, fu sconfitto agli ottavi da Marty Riessen. Roche, quarta testa di serie, perse nello stesso turno contro Cliff Drysdale. Forse i due erano stanchi per un febbraio impegnativo e pieno di eventi indoor, a Richmond, Philadelphia e Londra.

Rosewall, soprannominato “Muscles” per la sua corporatura esile, fu molto meno testato, avendo perso presto a Richmond e Philadelphia. “Ma con Rosewall non importava quanto poco avesse giocato a tennis“, dice Stolle. “C’era sempre la minima possibilità che Rod potesse essere fuori ritmo, mentre con Muscles non è mai stato così“. Proprio come un altro maestro della longevità, Roger Federer, la straordinaria disciplina, il gioco di gambe e l’equilibrio hanno permesso a Rosewall di rimanere affilato come un rasoio per decenni. Aveva vinto il titolo a 18 anni nel 1953 e ne guadagnò un secondo due anni dopo. Perché non un terzo, a 36 anni?

Per quanto riguarda le donne, Court fu l’unica tra le prime dieci a scendere in campo. Nello stesso mese, a migliaia di chilometri di distanza, altre sette, tra cui Billie Jean King, Rosie Casals e Nancy Richey, gareggiavano nel primo anno solare del Virginia Slims Circuit negli Stati Uniti. Ma almeno c’era Goolagong, una spensierata cacciatrice di fortuna a rete cresciuta a Barellan, una cittadina di campagna 325 miglia a ovest di Sydney. Goolagong e Court vinsero tre partite senza perdere set, raggiungendo la finale. La gioventù sembrava pronta ad ascendere quando Goolagong si trovò in vantaggio 5-2 nel terzo set.

Nella comunità australiana, Court era sempre stata una sorta di mentore per Goolagong. Come scrisse anni dopo, “avevo sottolineato a Evonne l’importanza di non arrendersi mai, di lottare per ogni punto. Quella volta le diedi una dimostrazione pratica di ciò che intendevo“. Court vinse cinque giochi consecutivi, conquistando il suo decimo Australian Open. Fu anche il suo sesto titolo consecutivo del Grande Slam, un’impresa eguagliata nell’era Open solo da Martina Navratilova e Steffi Graf (che però saltò un torneo durante la sua corsa).

Con la sua tipica efficienza, Rosewall raggiunse la finale senza perdere un set, compresa una vittoria su Emerson nei quarti di finale. Il suo avversario era Ashe, alla sua quarta finale Down Under, che aveva perso quattro set, incluso uno contro Stolle negli ottavi. Sebbene Rosewall avesse battuto Ashe in tre dei loro quattro incontri precedenti, la vittoria di Ashe era avvenuta in un Major, nei quarti di finale dello US Open del 1969.  In questa occasione, però, Rosewall ebbe il controllo dall’inizio alla fine, vincendo 6–1, 7–5, 6–3. Ashe era forse nervoso in quanto campione uscente, ed era certamente consapevole del fatto che Rosewall possedesse la miglior risposta nel circuito – questi fattori portarono l’americano a commettere 13 doppi falli.

Per la vittoria, Rosewall portò a casa $10,080. “Purtroppo, però, l’evento non fu un grande successo, con gli organizzatori che riportarono una perdita di $ 110.000 e solo 45.000 spettatori ad assistere alle dieci sessioni di gioco (sette giorni e tre notti)”, si legge in “Muscles”, libro a quattro mani di Rosewall e dello storico Richard Naughton.

Questa fu l’ultima delle 17 volte a Sydney come città ospitante dell’Australian Open; Melbourne divenne la sede permanente un anno dopo. Ma nel decennio successivo e oltre, l’Australian Open continuò a stentare – il Kooyong Lawn Tennis Club era incantevole, ma non adatto per organizzare un grande evento di tennis professionistico. La posizione del torneo sul calendario rimbalzò fra diverse date: dal 1977 al 1985 concluse l’anno tennistico, e ci furono persino anni in cui il torneo maschile e femminile si svolsero in momenti diversi.

Infine, negli anni ’80, Tennis Australia e il governo australiano unirono le forze per costruire una nuova struttura adeguata. Il National Tennis Centre, ora conosciuto nel mondo come Melbourne Park, fu aperto nel 1988; il campo centrale del torneo fu ribattezzato Rod Laver Arena nel 2000. All’inizio del secolo, l’era del dominio australiano si era da tempo esaurita, ma il suo Slam aveva finalmente una struttura degna della profonda e illustre eredità del tennis nel Paese.

Traduzione a cura di Irene Zecchi

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