Perché è stato Hurkacz a vincere la finale di Miami, non Sinner a perderla

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Perché è stato Hurkacz a vincere la finale di Miami, non Sinner a perderla

Quali sono stati i fattori decisivi per la prima vittoria di Hubert Hurkacz in un Masters 1000?

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Jannik Sinner e Hubert Hurkacz (Photo Credit_ Peter Staples_ATP Tour)
 

Quando mancano poche ore all’inizio del secondo Masters 1000 stagionale, quello di Montecarlo, riavvolgiamo brevemente il nastro per analizzare più nel dettaglio la finale di Miami, vinta (un po’ a sorpresa) da Hurkacz su Sinner. Un momento: davvero a sorpresa? Non proprio…


La favola di Jannik Sinner a Miami, in un Masters 1000 ancora condizionato dalla pandemia, con diversi big assenti e qualche sorpresa nei primi turni, non ha trovato il suo lieto fine. Nell’albo d’oro compare sì un nome nuovo, si tratta però quello di Hubert Hurkacz. Il ventiquattrenne polacco si è imposto nella finalissima, sconfiggendo la giovane promessa del tennis italiano e mondiale in due set, con il punteggio di 7-6 (4), 6-4. In molti, specialmente tra i meno appassionati, nutrivano grandi speranze per il risultato della finale, considerato il blasone non eccezionale di Hurkacz.

Tale ottimismo però, come il campo si è incaricato di mostrare, era ingiustificato: cercheremo di capire meglio perché, con l’aiuto dei dati. Prima di entrare nello specifico però, ricordiamo come il polacco avesse già mostrato di trovarsi in uno stato di forma davvero eccezionale, sconfiggendo nel corso del torneo, sempre contro pronostico, due Top 10 (Tsitsipas e Rublev) e altri due Top 20 (Shapovalov e Raonic).    

IL PARZIALE DECISIVO

Figura 1. Punti vinti, nelle tre fasi della partita: da 0-0 a 5-6, da 5-6 a 7-6 4-0, da 7-6 4-0 a 7-6 6-4

Anche in questa finale, tutto si è deciso in poche mani, o meglio, in pochi game. Per la precisione, quelli che vanno dal 5-6 nel primo set, situazione di equilibrio (sia pur contraddistinta da due diversi parziali, il primo a favore di Hurkacz, il secondo di Sinner, che si trovava a servire per il primo set), al 7-6 4-0 Hurkacz, con set e doppio break di vantaggio per il polacco.

Nei primi undici game, Sinner si è aggiudicato due punti più di Hurkacz: trentotto a trentasei. E, va detto a testimonianza del grande orgoglio e della forza mentale di Jannik, anche per gli ultimi game dell’incontro, che portano dal 4-0 al 6-4 del secondo set, Sinner ha conquistato più punti dell’avversario (ventidue contro quindici), complice probabilmente anche un piccolo calo di tensione da parte di Hurkacz, dato l’ampio vantaggio. La differenza la fa quel perentorio parziale di ventisette a nove piazzato dal polacco a cavallo tra primo e secondo, che gli ha consentito di aggiudicarsi l’incontro. Per una volta, quel diciannovenne che tanto aveva stupito (anche) per la sua capacità di elevare il proprio livello di gioco nei momenti decisivi (basti pensare alla semifinale con Bautista Agut) ha ceduto sotto i colpi del proprio avversario nel momento cruciale.

Approfondendo l’analisi però, potremo forse capire meglio come quel parziale possa essere figlio di una dinamica che è esistita, sia pur sottotraccia, lungo tutta la partita, e che ha a che fare con il rendimento dei due giocatori al servizio. Inoltre, un’analisi puntuale ci permetterà di confermare quella che è anche l’impressione “visiva”, a proposito di questa grande partita: non si può parlare tanto di demeriti di Sinner, quanto sottolineare i grandi meriti di Hurkacz. 

RENDIMENTO AL SERVIZIO

Figura 2. Percentuale di prime palle in campo, al progredire dei punti giocati al servizio
Figura 3. Percentuale di punti vinti sulla prima, al progredire dei punti giocati al servizio

Per quanto riguarda il servizio, era nota già alla vigilia la superiorità del polacco, che si mostrava in gran forma a Miami, anche se non soprattutto da questo punto di vista. Basti pensare che, pur avendo affrontato quattro giocatori tra i primi venti a livello mondiale nei turni precedenti, Hurkacz si è presentato alla finale forte di una statistica davvero impressionante: il ribattitore non era infatti riuscito a rispondere in campo al suo servizio nel 45% dei casi.

In altre parole, fino a quel momento, Hurkacz è stato capace di procurarsi un punto “gratis”, ovvero senza entrare nello scambio, quasi una volta su due. E il polacco non si è smentito neanche in finale. Come possiamo osservare, sia concentrandoci sulla percentuale di prime in campo (Figura 3) che sulla percentuale di punti una volta messa in campo la prima (Figura 4), la differenza è chiara. A fine partita, Hurkacz ha avuto il 71% di prime in campo, e il 76% dei punti con la prima; Sinner riuscirà a mettere in campo soltanto il 60% di prime, raccogliendo, con la prima in campo, il 62% dei punti.

Monitorare l’evoluzione di queste statistiche nel corso del match, a mano a mano che i giocatori accumulano punti giocati al servizio, ci permette di osservare come il gap di rendimento sulla prima di servizio (sia in termini di frequenza che di efficacia) sia una sorta di leitmotiv dell’intero match. In estrema sintesi, spesso e volentieri Hurkacz ha raccolto punti direttamente con il colpo di apertura, mentre Sinner si è dovuto sudare quasi ogni punto, guadagnandoselo nello scambio. L’italiano è sicuramente stato superiore nel gioco da fondo, e ha avuto maggiore facilità nel produrre colpi vincenti, sia di dritto che di rovescio. Tuttavia, si è trovato a giocare sempre in salita, costretto a dare fondo a tutte le sue capacità, fin dall’inizio, per tenere il match in equilibrio fino al 5-5. A questo punto, con un grande game, è arrivato il break e la conseguente opportunità di servire per il set.

Ma il lavorio, per così dire, “ai fianchi” indotto dal persistente disequilibrio nell’efficacia del servizio, a quel punto, si è fatto sentire. A enfatizzare tale elemento, il fatto che Hurkacz abbia deciso di piazzare la prima esterna, a buttare Sinner fuori dal campo, addirittura nel 68% dei casi. Evidente il tentativo di destabilizzare l’avversario, portandolo fuori posizione fin dall’inizio dello scambio. Questo genere di persistente fatica, sia fisica che mentale, ha finito per costare molto cara all’italiano.

GLI ERRORI NON FORZATI DI SINNER

Figura 4. Cumulativa degli errori non forzati, dal 5-6 al 7-6 4-0

Lungo tutto l’arco del match, il numero di errori non forzati di Sinner è stato decisamente superiore rispetto a quello di Hurkacz. Questo un po’ a causa di una partenza a handicap da questo punto di vista, con addirittura sei rovesci sbagliati nei primi tre game, statistica questa decisamente inusuale per Sinner, solidissimo in particolare da quel lato, e probabilmente da attribuire all’emozione dell’esordio a questi livelli. Si può però forse intravedere anche una motivazione più profonda alla partita inusualmente fallosa di Sinner. Come discusso nel paragrafo precedente, infatti, Jannik si è trovato sempre sotto una forte pressione: ha raccolto poco direttamente col servizio ed è stato costretto, punto dopo punto, a cercare una breccia nella difesa di Hurkacz. Il polacco però, specialmente considerata la sua stazza, si muove molto bene, e ha regalato poco, obbligando di fatto Sinner a rischiare, forse più di quanto non avrebbe voluto.

E così, nel dodicesimo game, nel tie-break e nei primi quattro game del secondo set, nel momento decisivo della partita, la tensione e la stanchezza (fisica e mentale) hanno presentato il conto: Sinner ha sbagliato undici volte, sette delle quali (compreso un doppio fallo) tra il dodicesimo game che avrebbe potuto dargli la vittoria nel set e il tie-break. Nei game che vanno dal 5-6 al 7-6 4-0, Hurkacz ha commesso invece soltanto sette errori non forzati, di cui appena due fra il dodicesimo game e il tie-break. Quattro punti di differenza nell’intera fase centrale, addirittura cinque in chiusura di primo parziale: un gap che assume un notevole peso specifico. A completare il quadro della partita, e in particolare di quella decisiva fase centrale, va ricordata la grande qualità del gioco di Hurkacz, come mostra la dinamica dei suoi colpi vincenti.

I VINCENTI DI HURKACZ

Figura 5. Cumulativa dei vincenti, dal 5-6 al 7-6 4-0

Fino al 6-5 in proprio favore, Sinner ha messo a referto sei colpi vincenti in più di Hurkacz: è sembrata evidente la scelta strategica del polacco di non rischiare nello scambio. Hurkacz è stato molto disciplinato da fondo e ha deciso di tenere per larga parte della partita: si è rifiutato, per così dire, di giocare la partita sul terreno di Sinner. Nei primi undici game, ha messo a referto soltanto quattro vincenti. Con l’arrivo della fase decisiva del match però, Hurkacz ha messo sul tavolo le proprie fiches e si è fatto propositivo, cogliendo di sorpresa l’italiano e inanellando, dal 6-5 Sinner nel primo set al 7-6 4-0 in suo favore, sei colpi vincenti. Un notevole colpo di reni, che testimonia una volta di più come, in ultima analisi, sia Hurkacz ad aver vinto la finale, e non Sinner ad averla persa.

Alla fine della fase centrale e decisiva della partita, il saldo dei colpi vincenti arrideva ancora a Sinner: la differenza in suo favore però è calata da sei a due colpi. Altri quattro punti di differenza che, combinati con la pressione originata dalla prima di servizio e con gli errori di cui si parlava nello scorso paragrafo, sono valsi la partita e il titolo per Hurkacz, che è salito così al N.16 nel ranking ATP (mentre Sinner, sconfitto in finale, arresta la sua corsa, per ora, al ventitreesimo posto).

Mike McDermott, il giocatore di poker interpretato da Matt Damon in “Rounders” (pellicola del 1998), ricordava: “Tutto si decide in poche mani. Il resto è attesa”. Stavolta, è stato Hurkacz ad avere la mano buona, quella del primo Masters 1000 della carriera. Ma, ne siamo certi, Sinner siederà ancora a quel tavolo: con un’esperienza in più e, se possibile, con ancora maggior determinazione.


Genovese, classe 1985, Damiano Verda è ingegnere informatico e data scientist ma anche appassionato di scrittura. “There’s four and twenty million doors on life’s endless corridor” (ci sono milioni di porte lungo l’infinito corridoio della vita), cantavano gli Oasis. Convinto che anche scrivere, divertendosi, possa essere un modo per cercare di socchiudere qualcuna di quelle porte, lungo quel corridoio senza fine. Per leggere i suoi articoli visitate www.damianoverda.it

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