Si riapre! (Piccioni). Internazionali: sì al pubblico (Mastroluca). Internazionali, ok al pubblico. "In duemila dagli ottavi" (Caponetti). Internazionali, in tribuna solo chi è immunizzato (Bernardini). Io guardo lontano (Crivelli). Kuerten, il sorriso che conquistava (Azzolini). Sinner, assalto alla Top15. Testa di serie a Madrid poi tour de force verso Parigi (Barana). Stella rossa (Rossi)

Rassegna stampa

Si riapre! (Piccioni). Internazionali: sì al pubblico (Mastroluca). Internazionali, ok al pubblico. “In duemila dagli ottavi” (Caponetti). Internazionali, in tribuna solo chi è immunizzato (Bernardini). Io guardo lontano (Crivelli). Kuerten, il sorriso che conquistava (Azzolini). Sinner, assalto alla Top15. Testa di serie a Madrid poi tour de force verso Parigi (Barana). Stella rossa (Rossi)

La rassegna stampa del 1 maggio 2021

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Si riapre! (Valerio Piccioni, La Gazzetta dello Sport)

Fumata bianca per il pubblico agli Internazionali di tennis. Visti i tempi, meglio metterci un quasi. Ma gli indizi sono davvero tanti e le parole usate dal sottosegretario alla salute, Andrea Costa, sono categoriche: «C’è il via libera del Cts per una presenza di spettatori al 25 per cento della capienza a partire dagli ottavi di finale». […] Federtennis e Sport e Salute, organizzatori dell’evento, mantengono riserbo anche perché il pronunciamento ufficiale del Cts arriverà lunedì. Super protocollo E così, dal 13 al 16 maggio, il torneo romano diventerà l’evento apripista dell’Italia che ricomincia per tutto ciò che riguarda non solo lo sport, ma tutto il mondo dello spettacolo. Uno status a doppio taglio: da una parte c’è la soddisfazione perla svolta che dovrebbe portare 2625 spettatori al Centrale, 1625 alla Grand Stand Arena, 930 al Pallacorda Pietrangeli. Ogni impianto sarà «autosufficiente», nel senso che avrà degli accessi di ingresso e dei varchi per il deflusso completamente autonomi. Una soluzione che ha superato un’alternativa più ridotta, quella che prevedeva un’apertura dall’inizio del torneo, ma ristretta soltanto al Centrale. Dall’altra non bisognerà sbagliare nulla. Il protocollo, peraltro apprezzato dagli scienziati, dovrà funzionare a prova di tutto. Da questo punto di vista fa ben sperare quanto accadde a settembre dell’anno scorso, quando non ci furono contagi anche se la curva epidemiologica era meno cattiva (ma non avevamo ancora i vaccini). «E un messaggio rivolto a tutto il Paese», dice ancora Costa, peraltro maratoneta da 3 ore e 21 minuti di primato personale. Chi entra La Vezzali ha costruito la sua proposta sfruttando il varco lasciato aperto dal comma di un articolo dell’ultimo decreto legge. Che lascia aperta la finestra, in caso di «eventi di particolare importanza», per una doppia deroga: sia sulla possibilità di far entrare il pubblico negli eventi sportivi anche prima del primo giugno; sia sul numero degli spettatori che potrà andare oltre il tetto del mille (all’aperto) e dei 500 (al chiuso). Il resto l’ha fatto il protocollo che dal punto di vista del pubblico «eleggibile» è coerente con quanto stabilito per l’Europeo di calcio: l’ingresso sarà riservato ai vaccinati, alle persone che hanno superato la malattia e a chi ha effettuato un tampone con risultato negativo nelle precedenti 48 ore. Almeno per il momento sono soltanto due gli eventi che usufruiranno della deroga nel mese di maggio: Internazionali e finale di Coppa Italia di calcio del 19 maggio a Reggio Emilia. […] I biglietti Quanto ai meccanismi di assegnazione dei biglietti, la prevendita è ovviamente a uno stato particolarmente avanzato, gli organizzatori degli Internazionali stanno ancora studiando tutte le implicazioni del via libera. C’è pure da tener conto del coprifuoco alle 22 che potrebbe portare dunque ad anticipare i tempi della sessione serale. Ma è un discorso tutto da definire, come la dinamica relativa ai campi e ai diritti di prelazione, fatta salva la priorità data agli sponsor che hanno assicurato fedeltà al torneo in un momento davvero complicato

Internazionali: sì al pubblico (Alessandro Mastroluca, Il Corriere dello Sport)

Arriva una prima, importante, apertura sulla presenza dei tifosi agli Internazionali d’Italia di tennis. Il sottosegretario alla salute, Andrea Costa, ha annunciato la svolta concordata con il CTS, che ha dato il via libera per un’apertura tra il 20 e il 25% della capienza massima, a partire dagli ottavi di finale del torneo, in programma dal 9 al 16 maggio. DUEMILA PERSONE. II Centrale, che può contenere 10.500 spettatori, ne dovrebbe accogliere circa duemila a partire dal giovedì fino alla finale della domenica.[…] MESSAGGIO. Costa ha parlato di «quindici partite a cui potranno fisicamente assistere gli appassionati, rispetto alle sole tre dell’anno scorso». Il ritorno dei tifosi sulle tribune del Centrale rappresenta un «ulteriore messaggio di speranza e fiducia». Si tratta di un segnale significativo per un torneo che nel 2019, l’ultima edizione prima della pandemia, aveva consentito ricavi da biglietteria per 13 milioni grazie all’ingresso di 223.455 spettatori paganti nelle giornate dell’evento. In utile per dodici anni di fila fino al 2019, gli Internazionali BNL d’Italia rappresentano la punta della macchina organizzativa della Federazione Italiana Tennis, quest’anno schierata in prima linea su più fronti. A novembre, infatti, Torino ospiterà le Nitto ATP Finals, torneo di fine stagione con gli otto migliori giocatori dell’anno, che per la prima volta si disputa in Italia. Il Pala AlpiTour sarà teatro anche degli incontri di due gironi delle Davis Cup Finals, compreso quello degli azzurri, e del quarto di finale fra le due vincenti. La presenza di pubblico in due eventi di tale richiamo, e alle Next Gen ATP Finals di Milano, resta un obiettivo

Internazionali, ok al pubblico. “In duemila dagli ottavi” (Riccardo Caponetti, Repubblica Roma)

Se la prossima settimana al Masters 1000 di Madrid ci sarà il 40% del pubblico, Roma si dovrà accontentare del 20-25%. Una percentuale più ridotta ma molto significativa, perché gli Internazionali d’Italia di tennis (9-16 maggio) saranno il primo grande evento sportivo del nostro paese che vedrà la presenza dei tifosi. «Il Cts mi ha confermato che gli spalti saranno aperti dagli ottavi di finale, secondo una percentuale tra il 20 e il 25 per cento della capienza», ha annunciato ieri Andrea Costa, sottosegretario alla Salute. C’era l’ipotesi di aprire le tribune solo per la finale, invece il governo ha autorizzato l’ingresso dagli ottavi di finale in poi. «Questo significa — ha aggiunto Costa — che saranno 15 le partite a cui potranno assistere fisicamente gli appassionati, rispetto alle sole tre dell’anno scorso». A settembre 2020 soltanto dalle semifinali infatti era stato consentito l’accesso, ad un massimo di mille persone. Tra poche settimane, i numeri saranno maggiori: alla finale entreranno più di duemila persone, considerando la capienza del centrale del Foro Italico (10.500 posti). […] Il protocollo organizzativo sarà simile a quello che si adotterà a giugno per Euro 2020: l’Olimpico ospiterà le 3 gare del girone dell’Italia, più un quarto di finale. Possibile che per accedere agli Internazionali servirà il green pass, che oggi verrà utilizzato per spostarsi tra le regioni gialle. È un documento che certifica l’avvenuta vaccinazione, la presenza di anticorpi per chi abbia già avuto il Covid o un’accertata negatività al tampone (24-48 ore prima)[…] Nel 2021,1’Italia ha già vinto tre tornei Atp 250 con Sinner, Sonego e Berrettini e mai c’erano stati 10 azzurri nella top 100. Il primo tra loro è il romano Berrettini, padrone di casa e 10° nella classifica mondiale: «Il torneo di Roma al completo è uno dei più belli, lo riconoscono tutti», ha confessato nei giorni scorsi a Repubblica. E anche se non sarà pieno, lo scenario del Foro Italico sarà lo stesso affascinante.

Internazionali, in tribuna solo chi è immunizzato (Emiliano Bernardini, Il Messaggero)

Porte aperte agli Internazionali di Tennis ma a partire dagli ottavi. Il Cts, ieri, ha dato il via libera ufficiale al termine di una lunghissima riunione. […] Il Foro italico ritroverà così rumori e colori a partire dal giovedì. La manifestazione prenderà il via il 9 maggio e si chiuderà il 16. Ma, come detto, il pubblico potrà accedere dal 13. Un totale di 30 partite (tra maschile e femminile) a cui potrà assistere il 25% del pubblico per ogni impianto. Tra l’altro sono due le fasce orarie. Di fatto il centrale (capienza 10 mila) potrà ospitare circa 2,500 tifosi, il Pietrangeli 930 (capienza 3210), la Grand Stand Arena 1250 (capienza 5 mila). Un grande successo per la Federtennis di Binaghi che lo scorso anno si era dovuta accontentare di mille spettatori solo per le semifinali e le finali. PROTOCOLLI[…] Come si assisterà alle gare e come si potrà acquistare i biglietti? Chiaramente all’interno verrà imposto il distanziamento sociale e l’obbligo della mascherina. Nessuna App per stabilire gli accessi. Ma servirà dimostrare di aver ricevuto la dose del vaccino, di aver già avuto il Covid e dunque sviluppato gli anticorpi o portare il risultato di un tampone negativo 48 ore prima della gara. All’ingresso ci saranno delle speciali telecamere che monitoreranno gli accessi e misureranno la temperatura dei tifosi. Inoltre per ingressi e uscite ci saranno dei percorsi ben stabiliti da seguire. Questo anche per evitare contatti con giocatori, tecnici che come da protocolli Atp e Wta socio in bolla protetta con tanto di tamponi di controllo scadenzati. Resta da capire come la Federtennis deciderà l’assegnazione dei posti. Anche perché chi ha comprato l’abbonamento settimanale ora si trova tre giorni in meno. Il numero uno Angelo Binaghi nei giorni scorsi aveva fissato una possibile scala di priorità: sponsor, abbonati e ordine cronologico di acquisto. Chiaro che alla luce delle nuove disposizioni molto cambierà. Dalla Fit nessuna comunicazione ufficiale, si attende prima il comunicato del Cts con la conferma e le varie specifiche.[…]

Io guardo lontano (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Quando lasciò la casa dei genitori a 13 anni per realizzare il sogno di diventare un tennista di valore mondiale, Novak Djokovic portava nel cuore il sogno di vincere Wimbledon e salire al numero uno del mondo. […] La passione Anzi, è stata proprio la rivalità con i due monumentali avversari a fare del Djoker l’uomo e l’atleta che adesso conosciamo. Mentre il resto del mondo si arrendeva all’idea che Roger e Rafa fossero inavvicinabili, lui trovò la forza per ribellarsi a quel destino, lavorando con il corpo e con la mente per elevarsi a quel nirvana. E adesso che tutti e tre hanno marchiato a fuoco la più incredibile e inimitabile era del tennis, Novak è assolutamente consapevole che attraverso la continua caccia ai record potrà legittimare la candidatura a Goat, il più grande di sempre, anche in costanza degli altri due. Intanto, continua a godersi uno dei primati più prestigiosi, quello delle settimane in testa alla classifica: al momento sono 318, e il conto è destinato a proseguire almeno fino all’estate. Djokovic, che è diventato numero uno per la prima volta il 4 luglio 2011, vi è particolarmente legato non solo perché lo ha strappato a Federer (fermo a 310), ma anche perché è l’emblema della continuità di rendimento ad altissimo livello, il gusto prolungato di guardare tutti dall’alto al basso non per un breve tratto di carriera, bensì per più stagioni (Nole è stato numero 1 di fine anno sei volte, come Sampras, ma a differenza dell’americano può ancora migliorare). Poi si possono aggiungere le 36 vittorie in un Masters 1000, un record che potrebbe incrementare già a Roma, dove si presenterà da campione in carica (tra l’altro è l’unico ad averli vinti tutti, con la ciliegina di esserci riuscito almeno due volte) o i 59 Big Titles (Slam, Masters 1000, Atp Finals, Olimpiadi). Eppure In testa ha un numero che pesa più di ogni altro, quello degli Slam, il vero discrimine verso la leggenda. Federer e Nadal sono a 20, ma lui è a 18 e con il vantaggio di poter essere competitivo ovunque. Il vero, grande obiettivo per un finale di carriera che lo porterebbe diretto sull’Olimpo: «Sono la passione e l’amore per il tennis che mi spingono a competere. Semplicemente non ho mai avuto problemi a parlare in pubblico dei miei obiettivi. Non credo che questo sia qualcosa di negativo. Sono ambizioso, perché non ammetterlo?». Orizzonti infiniti.

Kuerten, il sorriso che conquistava (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Prima di Guga, arrivava il suo sorriso. Annunciava l’allegria, ed era esclusivo. Il gesto più amichevole che ci sia capitato di ricevere. […] Sembrava dire, quello strano ragazzo brasiliano che si muoveva come un fumetto, che il suo sorriso aveva lo stesso valore di un patto. Accettandolo saremmo diventati amici fraterni, nel rispetto della regola numero uno della confraternita dei non belligeranti incapaci di odiare. Sempre per sempre, dalla stessa parte, mi troverai… Ed era vero. Alla filosofia dell’embrassons nous, Gustavo “Guga” Kuerten aveva spinto anche Lard Passos, il coach più chiassoso che si sia mai visto su un campo da tennis, uno che se non avesse ceduto alle lusinghe dello Smile Power a Gugaland avrebbe con ogni probabilità trasformato in baruffa ogni incontro del suo allievo. […] Larri si barricava nel box trasformandolo in una trincea, dalla quale difendeva la sua probità, o forse la volontà di non cadere in tentazione, quella di saltare al collo degli avversari di Guga. Diventava, così mordendo il freno, il più straordinario interprete della sceneggiata fatta tennis, una sorta di Mario Merola della telenovela brasiliana. Esortava Gustavo con gesti plateali, si percuoteva la testa quando voleva ricordargli di usarla; si flagellava il petto per indicargli di metterci il cuore. E picchiava il berretto sulla massicciata del Centrale per incitare l’allievo. Manco fossero una coppia di comici, Big Smile e Adrenalinik avevano tenuto in piedi un’edizione del Roland Garros che era stata pompata come l’atto finale della guerra per la conquista della terra rossa, ma si era ritrovata subito svuotata di tutti i contendenti più bellicosi. Pistol Sampras al terzo turno, negli ottavi Banana Boat Chang e “Macello” Rios, uno che amava salutare tutti sfanculando, manco fosse un vezzo. Lo fece pure in presenza del presidente cileno Eduardo Frei Ruiz Tagle, quando quello gli mostrò la piazza zeppa di tifosi da un terrazzo del Palacio de la Moneda, convenuti per festeggiare il numero uno da poco conquistato. Gli chiese: Marcelo, c’è una cosa che vorrebbe dire a quegli appassionati? Si, di andare… Fu la risposta. GUGA OPEN L’orda spagnola era finita abbrustolita in una sorta di grigliata mista alla scottadito, Berasategui in 1° turno, Moya e Mantilla al secondo, Albert Costa al terzo e Corretja in ottavi. Tutti tranne Bruguera, scampato al barbecue per il fatto di non essere considerato tra i favoriti. Agli altri, i più forti, ci aveva pensato Kuerten. Cinque set contro l’imbattibile Muster, che venne doverosamente rimpinzato di smorzate; altri cinque con Medvedev (Andrey, non Daniil), poi Kafelnikov nei quarti, anche lui in cinque partite, con la prodigiosa rimonta da 2-4 15-40 nel quinto. Prima di un turno facile con DeWulf, e la finale con Bruguera. Era il 1997. E stava per cominciare il periodo ribattezzato Guga Open, una parentesi felice nel faticoso tennis sul rosso. Brevissima, però. Proprio come un sorriso. Prima di quel torneo, di quella finale, Guga non c’era. Giocava piccoli tornei, inseguiva sogni lontanissimi. E non vinceva mai. Parigi fu la sua prima vittoria, che è come se una solerte coppia di sposi avesse affittato l’Opera Gamier, platea, quattro ordini di palchi e galleria, per il primo vagito del figlio appena nato. Manie di grandezza? Chi, Guga? Figurarsi… Uno con la sua storia aveva ben altri pensieri per la testa. È che il tennis non era abituato alla dimensione brasiliana che quell’anno, e i cinque a seguire, avrebbero preso. Un breve lustro in cui il ventunenne concentrò la parte più bella del suo tennis, finendo per vincere sedici dei venti titoli del suo palmares, tre volte il Roland Garros e una edizione delle Atp Finals a Lisbona nel 2000, superficie indoor, che lo introdusse a una gara spalla a spalla con Marat Safin, proseguita per tutto il 2001, con in premio la conquista del numero uno del tennis. […] ARRIVA LA TORCIDA Quali fossero i termini dell’ascesa al soglio di Kuerten, fu chiaro già dai giorni di vigilia di quella prima finale al Roland Garros. Venne mobilitata, dai quotidiani brasiliani, anche la stampa accreditata per un torneo pre-mondiale di calcio in Francia. Giunsero con facce parecchio malmostose, chiedendosi dove mai li avessero mandati a perdere tempo quei pusillanimi dei loro caporedattori. Ma – Guga docet – il malumore durò, anche in quel caso, il tempo di un sorriso. Scoprirono che nel tennis tutto funziona alla perfezione, che lo stadio era accogliente e non c’erano bagni ammuffiti dall’umidità […] Anzi… Intorno a Kuerten il tam tam dei primi giorni era diventato rullio, poi fanfara, infine sarabanda. II Roland Garros visto dall’alto sembrava uno stadio edificato su un prato di magliette gialloverdi. I giornalisti del calcio capirono l’antifona e trattarono il nuovo idolo e il suo strano sport come fosse il protagonista della finale di Copa Libertadores, urlando terrificanti radiocronache alla brasiliana. In quelle, un buon punto diventava gollasso e il gollasso, si sa, viene partecipato con ululati profondi, infiniti, di cuore e di pancia, che mai avrebbero potuto raccordarsi con i tempi del tennis. Difatti, cominciavano al secondo rimbalzo della pallina e terminavano quando i tennisti stavano già giocando il punto successivo. Poi esplose la festa, e la festa divenne presto torcida, partecipazione collettiva. Solo nove volte è successo, nella storia del Roland Garros, che il vincitore spuntasse dal nulla, e in due di queste (Bernard nel 1946 e Wilander nel 1982) il vincitore fu come Guga, un tennista senza pedigree. Poi a Marcel Bernard hanno dedicato addirittura una strada, proprio di lato allo stadio del tennis, e Mats è diventato il numero uno della classifica «Chissà» , disse Kuerten, con gli occhi che sorridevano da soli, «magari qualcuno dedicherà una strada anche a me, oppure no, una statua, meglio una statua». E Florianopolis diventerà Gugapolis. Perché no? A FLORIANOPOLIS Florianopolis è la capitale dello Stato di Santa Caterina, a sud di Sao Paulo. La storia di Gustavo comincia da lì, e li ritorna appena terminata l’avventura nel tennis. Un’avventura bella e commovente. Guga amava il surf, lo praticava sulla spiaggia dei naufraghi, un posto ancora incontaminato, da cartolina. Prima di palline e campi in terra di mattone veniva anche il calcio, ma il padre Aldo coltivava una passione tutta sua per il tennis, ne era innamorato, lo giocava tutti i pomeriggi e aveva preso pure il brevetto di giudice arbitro. Fu alla morte del genitore, colto da infarto mentre assisteva a un match, che Guga impugnò per la prima volta una racchetta. La volle per non dimenticarlo, e finì per innamorarsi anche lui del tennis. Aveva sei anni. Una famiglia sterminata, i Kuerten. Guga aveva cominciato tardi, prima nelle mani del maestro Oscar Wegner, poi in quelle di Passos. Mostrava di saperci fare e a turno tutti i componenti della famiglia si impegnarono ad accompagnare il ragazzino ai tornei. Guga non l’ha mai dimenticato. Raccontava anche dell’impegno di mamma Alice nelle associazioni a favore dei disoccupati, di nonna Olga che per stargli vicino imparò tutto del tennis, fino a consigliargli le tattiche da usare con quell’avversario o quell’altro. Parlava spesso del fratello minore, Guilherme, costretto su una sedia a rotelle. Guga gli regalava tutte le coppe che vinceva, e lo ricordava sempre durante le premiazioni, sicuro che il ragazzo fosse fra gli spettatori alla tivvù. Ogni giorno trascorso a Parigi, in quel 1997, Gustavo fece visita all’agenzia viaggi vicina all’albergo, per acquistare un biglietto a uno dei suoi familiari. II giorno della prima finale c’erano tutti, anche lo zio che suonava la carica tenendo due foglie tra le mani e ricavandone un suono stridulo. Fu alla morte di Guilherme che Guga avverti l’esigenza di ritirarsi. Era ancora giovane, 31 anni appena, sebbene un bel po’ ammaccato dai problemi alla schiena, ma con la scomparsa del fratello era venuta meno la motivazione più forte. Chissà, forse era stata proprio quella a trasformarlo, dal nulla, in un giocatore vincente. Guilherme se ne andò nel 2006. All’inizio dell’anno dopo Guga annunciò di non avere più nulla da dare al tennis. UNO STILE TUTTO SUO Se le imprese del Roland Garros furono al centro della stagione di Guga, la vittoria nelle ATP Finals fu la dimostrazione della raggiunta maturità agonistica. II brasiliano aveva uno stile tutto suo, il dritto garantiva le accelerazioni brucianti insieme a qualche gaffe tecnica evitabile, mentre il rovescio a una mano era di un’eleganza quasi inspiegabile per gli altri ruvidi colpitori da fondo campo. A volte sembrava uno svolazzo, altre si muoveva lento verso la palla, ma garantiva impatti violenti. Era un colpo che Guga manovrava a piacimento, lasciando gli avversari nel dubbio di che cosa ne avrebbe tirato fuori. Proprio a Lisbona, nella finale Master del 2000, Kuerten e Agassi si sfidarono in una guerra di rovesci, incaponendosi in un fitto scambio su chi fosse riuscito a stringere di più la traiettoria a uscire. Guga ne sorti con un colpo talmente spregiudicato da apparire senza senso. Da fondo, sulla sinistra, colpì la palla con un top spin tanto estremo da farla precipitare appena superata la rete, negli ultimi centimetri utili di campo sotto gli occhi del giudice arbitro. Agassi osservò scuotendo il testone ormai pelato, sugli spalti mamma Alice lanciava baci, quasi il figlio avesse già vinto la partita. II gesto era l’equivalente tennistico di un dribbling del passerotto Garrincha. Non solo. Kuerten rilanciò anche un colpo in quegli anni quasi dimenticato, il drop shot, la smorzata. Fu il match contro Muster del 1997 a rivelare quella svolta tattica, tale da convincere perfino gli attuali cecchini a inserirla nel loro repertorio. Kuerten la giocava da ogni posizione e in tutti gli stili. Carpiata, con il triplo avvitamento, anche con il doppio salto mortale. Della pallina, ovviamente, non il suo. Ma chissà che Guga non fosse capace anche di quello, buffo com’era: un tipo che quando si lanciava sulla palla sembrava che una parte del corpo si allungasse come una molla, e tutto il resto lo seguisse qualche secondo dopo. Eppoi, Guga non portava la bandana come tutti gli altri, no, lui se la calava sulle sopracciglia, e tra una corsa e un servizio, quella calava ancora di più, fin sopra gli occhi; ma Kuerten non sentiva storie, continuava, brancolando magari, ma continuava, con una mano a roteare la racchetta e l’altra alla disperata ricerca di un sistema per sollevare la tapparella. QUEI 33 MINUTI Il Roland Garros di mezzo, quello del 1990, visse di una finale con 33 minuti da brivido. Kuerten era avanti due set a uno e nel quarto il match sembrava sotto controllo. Fu allo scoccare del primo match point – erano le 17,41- che Magnus Norman subì una profonda mutazione. Da svedese tutto d’un pezzo, calcolatore e poco disposto a dare in smanie, si trasformò in una maschera d’improntitudine e di caliente energia Urlava «vamos» lo swedish, su ogni colpo andato a segno, e Guga cominciò a preoccuparsi. Tanto più dopo quel primo punto-match, su cui il giudice di linea indicò l’out ma senza convincere il giudice arbitro, che scese dal trespolo e si stese addirittura sulla terra rossa per valutare se la palla fosse davvero fuori. Alla fine scovò un granello di terra rossa sulla riga del campo, che sembrava schiacciato. Dette il punto per buono, lasciando Guga con le braccia sollevate e l’orchestrina alle prese con un samba del tutto fuori luogo. Dal 5-4 per il brasiliano, 15-40 sulla battuta svedese, si giunse al 6 pari consumando sette match point Nel tie break, il “jeu decisif’,’ Kuerten andò 6-4, ebbe altri tre match point e Norman glieli sfilò. Quello buono fu l’undicesimo. «Ho vinto, e sono stato costretto a rivincere. Non mi era mai successo», il commento di Guga, anche quello sotto scorta di un sorriso disarmante. Poi il 2001, con la vittoria su Corretja e il cuore rosso disegnato con la racchetta sulla terra dello Chatriet. L’epitome dello Smile Power nel Guga System, un cuore grande e avvolgente, dentro il quale il brasiliano chiedeva a tutti di entrare, di fame parte per sempre. Le Finals premiarono Kuerten a metà strada fra le due ultime vittorie al Roland Garros. Terminato il decennio tedesco, il Master tornò nelle vesti iniziali di inesausto giramondo. Il 2000 venne inaugurato a Lisbona, trovando buon pubblico e accoglienza di stampo brasiliano, ma non piacque ai tennisti, che volevano una sede meno periferica rispetto alle tradizionali rotte del tennis. Guga cominciò con una sconfitta in tre set con Agassi e la certezza che avrebbe alzato il trofeo solo vincendo tutti gli altri match. Liquidò Norman e Kafelnikov e agganciò la semifinale convinto di poter firmare l’impresa anche contro Sampras, che sul cemento indoor sembrava inattaccabile. Larri Passos lo dispose in modulazione aggressiva, e dato il soggetto non fu un’operazione facile. Ma riuscì, riguardando solo la sfera tennistica. Perso il primo set al tie break Guga guadagnò campo limitando le discese a rete di Sampras e stordendolo con la smorzata. L’ultimo atto prevedeva un serrato dialogo con Agassi, che si era liberato senza problemi di Marat Safin in semifinale. Difficile non trascinare sul campo le sensazioni negative ricavate nel match precedente, ma Guga trovò il modo per essere più esplicito nelle sue intenzioni, rispetto al primo incontro e finì per dettare lui i tempi del match, sulle geometrie più consone al suo tennis. Servizio potente, il rovescio per liberare il campo, l’affondo con il dritto. Giocava sulle righe, Guga. «No, erano le righe che si spostavano per farsi cogliere dai suoi colpi», volle precisare Agassi. Fatto sta, in ognuno dei tre set (la finale si giocava ancora tre su cinque), Kuerten trovò il modo per staccarsi. Vittoria e numero uno. La prima volta di un brasiliano. Un dominio che finì per essere lungo 46 settimane, spartito con Safin dopo gli Open d’Australia, ma ripreso di li a poco con l’avvento dei tornei su terra rossa, prima quelli sudamericani, poi quelli europei, Roland Garros compreso. Fu quello l’ultimo anno di grazia, per Guga. Infortuni grandi e piccoli, e le incerte condizioni di salute del fratello, ne esaurirono la spinta. Nei successivi cinque anni giunsero appena quattro vittorie. Ma gli appassionati non smisero per questo di amarlo. Guga Kuerten era stato l’interprete della gioia di giocare, e di un tennis guidato dall’istinto. Ce n’era abbastanza per entrare nel Club dei più grandi di sempre? Un sorriso gli avrebbe aperto le porte.

Sinner, assalto alla Top15. Testa di serie a Madrid e poi tour de force verso Parigi (Francesco Barana, Corriere dell’Alto Adige)

[…] Jannik Sinner nel Masters 1000 di Madrid al via lunedì è testa di serie dopo i forfait di Djokovic, Federer, Monfils e Goffin. II viatico buono, questo, per scongiurare nel sorteggio di oggi sentieri proibitivi già nelle fasi iniziali, come è successo nel Principato due settimane fa quando al secondo turno s’infilò Djokovic sulla strada del Rosso. II numero 18 del mondo, reduce dalla semifinale di sette giorni fa a Barcellona contro Tsitsipas, sui campi in terra battuta della Caja Magica proverà a dare l’assalto alla top 15 e a confermare la continuità ad alti livelli in questo 2021 costellato da 18 vittorie in 25 match e da una race stagionale (quella valida per le Atp Finals di Torino) che lo vede al settimo posto. II diciannovenne di Sesto Pusteria, da gennaio, si è aggiudicato il suo secondo Atp250 (Melbourne)e ha messo in fila i quarti di finale a Marsiglia e Dubai (con onorevoli sconfitte con Medvedev e Karatsev, mica due qualunque), la finale nel 1000 di Miami e, appunto, la semifinale a Barcellona. Un cursus honorem che lo proietta tra i protagonisti anche a Madrid, dove però i favoriti sono i finalisti di Barcellona, Nadal e Tsitsipas, con un punto di domanda sul numero 4 del mondo Dominic Thiem, uno che sul mattone sa dominare, ma che è reduce da un mese abbondante di stop e dai tormenti dell’anima con tanto di ipotesi di un clamoroso ritiro.[…]. Djokovic, dicevamo, non potrà difendere il titolo del 2019, ultima edizione del Mutua Open. Nell’albo d’oro troneggia, manco a dirlo quando si parla di terra, Nadal, che si è aggiudicato cinque edizioni, seguito da Federer con tre. Sinner a Madrid comincia lo stellare tour de force che si concluderà con il Roland Garros al via il 30 maggio. Nel mezzo, dal 10 maggio, lo spettacolare appuntamento agli Internazionali d’Italia a Roma, dove Jannik sarà la star più attesa dai tifosi italiani. Sarà l’ennesima celebrazione di un talento che sta accendendo gli appassionati di tutto il mondo.

Stella rossa (Paolo RossI, La Repubblica)

NEGLI ANNI OTTANTA c’era, tra gli appassionati di tennis, chi si disperava perché uno come Boris Becker non era italiano (“Ah, fosse nato a Merano”, si diceva). Vent’anni dopo il destino ha deciso però di indennizzarci, più o meno alle stesse latitudini. San Candido, in Alta Pusteria, è infatti il luogo natale del più grande talento dei nostri giorni: quello Jannik Sinner nato, per nostra fortuna, a meno di 10 km dall’Austria.[..]. Nel caso di Jannik è il suo rovescio, a 1800 giri al minuto, una roba da Formula Uno. Lo spirito dei fan si esalta nel solo vederlo, quel gesto. Mentre annienta avversari, scala classifiche, conquista sponsor e copertine dei magazine. Magari le donne non svengono sugli spalti e nuovi Dei non nascono, ma certa bellezza non è raccontabile. Va solo vista. È quello che è successo anche un mese fa, a Miami, con Jannik capace dl arrivare alla finale del Masters 1000 in Florida. Com’era successo a Sofia l’anno scorso, dove la finale l’aveva poi anche vinta. La prima di un Atp, il più giovane italiano di sempre nell’era Open. E come si spera accada anche a Roma, al Foro Italico, per gli Internazionali d’Italia che stanno per iniziare (dal 3 con le prequalificazioni, poi i big in campo dal 9 al 16 maggio). Dove, mentre chiudiamo questo articolo, Sinner si dovrebbe presentare forte di un 19° posto nel ranking mondiale: il più forte tra gli under-20. SI perché quest’ex bambino capellone, per il quale da sempre si scomoda il paragone con Pippi Calzelunghe per il colore rosso della chioma e il portamento nella vita, ha sedotto l’Italia della racchetta nonostante abbia ancora soltanto 19 anni. Ma la sua è una luna di miele infinita: un viso che le cronache direbbero del classico bravo ragazzo, un atteggiamento pacifico, un sorriso che si apre e disarma. Anche in campo, quando gioca. Mentre accende il suo instinct killer sportivo, trasmette con i suoi modi pacati, eleganti, tranquillità. Un valore senza prezzo, forse. Più alto anche di uno Slam, magari il primo Slam, l’augurio che tutti gli rivolgono. Ma, a pensarci bene: perché solo uno? Il suo tennis è rosso intenso, come quei capelli. Come la passione di chi ama questo sport e punta tutto su questa giovane promessa. E non sarebbe stato lo stesso se avesse scelto lo sci, come stava per fare essendo nato tra le montagne. […] «Ah ah ah. Ma no, loro erano comunque più forti. Avrei scelto il gigante come disciplina, di sicuro lo sci alpino. Lo sci di fondo sport è diverso, a vederlo in tv è bellissimo, ma richiede una resistenza pazzesca che non è quello che preferisco». Gli occhi si accendono mentre riporta i suoi ricordi “alla neve”, all’infanzia e a quei fuoripista che non si dovevano fare: «Li ho sperimentati un paio di volte, per vedere da vicino la neve alta. Ma poi ho perso un grande amico, della mia età. È stato un tale shock che da allora non lo faccio più». Jannik il rosso oggi è una star mondiale di sicuro, a giudicare dall’attenzione mediatica e dal contratti milionari. Ora anche i risultati iniziano a non scherzare: la recente finale al Masters 1000 di Miami (persa contro Hubert Hurkacz, dopo una cavalcata trionfale) è stata l’ultima ciliegina sulla torta. E anche la nuova fidanzata, Maria Braccini, non l’ha distratto per nulla da quello che resta il suo obiettivo e il suo sogno: il tennis. […] Gli amici gli sono rimasti («Sembro mite, ma quanti scherzi fatti e ricevuti») soprattutto in remoto, grazie alla playstation e a quel prato verde su cui si immagina. Non Wimbledon, ma uno di football: «Sì, giocavo da centrocampista. Mi piaceva attaccare e un po’ difendere. Ero decisamente più Totti che Gattuso», dice. Rispetto al romanista può ancora passeggiare liberamente: «Se mi fermano per una foto o un autografo, non dà fastidio. Forse perché ho ancora tanto da dimostrare e ho solo 19 anni». Ed è con la leggerezza della sua età che può permettersi di dire frasi come: «O vinci o impari a perdere», oppure: «Sto ancora pelando le patate». In realtà è un patito della pasta, più che dei canederli. «Mi piace semplice. Le penne, anche al pomodoro, vanno benissimo». Tra i fornelli di famiglia (papà Hanspeter e mamma Siglinde hanno un rifugio tra i monti) non ha mai smanettato: «Quando ero a casa al massimo facevo i dolci, però non è che sia questo fenomeno, anzi. Ma lo strudel lo so fare». In compenso ha già viaggiato tanto, senza davvero riuscire a vedere molto. Scendendo dalla montagna, racconta, ha però incontrato più insetti di quanto si aspettass: «La mia fobia, insieme a ragni e serpenti». Il tempo per fare il turista comunque non c’è mai: «A Roma, per esempio, ogni volta mi dico che il Colosseo vorrei vederlo». Accetta le provocazioni: «Le racchette di legno? Non ero ancora nato quando si usavano. Però perché no, potrei provare, ma se sono pesanti secondo me mi spacco il braccio». Il nuovo re del tennis italiano ci racconta poi d’aver preso il meglio dal suoi genitori: «Da entrambi il rispetto per il lavoro, le persone. Poi: velocità e coraggio da papà, la calma e i capelli dalla mamma». Sarà per questo che non ha le vertigini, rispetto al mondo che lo strattona. E persino rifiuta di darsi una spiegazione sul perché di tanto interesse nel suoi confronti. «Forse perché non ho ancora 20 anni e ho questi capelli rossi». Dotato di sintesi, e di un certo humour alpino, di chi va dritto al punto, confessa di dire ogni tanto qualche parolaccia: «A volte in Italiano». Ma è anche consapevole che, per vincere uno Slam, prima o poi dovrà uccidere uno degli Dei. Nel frattempo, da Federer a Nadal, se lo tengono vicino per allenarsi: «E’ stato bello essere in campo con loro». Jannik è cosl discreto da far invidia anche al più navigato dei diplomatici. Per lui le cose devono restare private, pero qualche ricordo ama condividerlo: «Ero un ragazzino ed ero con il mio primo maestro, Mair, che mi faceva palleggiare con Max Sartori. Non pensavo a niente, solo ad entrare in campo e tirare la palla all’incrocio delle righe». Altro flashback, il trasferimento a Bordighera, a 13 anni: «Pensavo che mi sarebbe mancata la famiglia, mio fratello e gli amici. Mi dicevo che era una prova, se mi piaceva bene e se non mi piaceva tornavo a casa». Poi l’incontro con Riccardo Piatti: «Ero preoccupato per la parte fisica, perché non avevo mai fatto atletica, non sapevo se sarei riuscito a fare gli esercizi che mi chiedevano, lo stretching, la mobilità. Sul giocare a tennis no, non avevo paura». E neppure sulla capacità di comportarsi in campo. Ineccepibile, sempre: «Sto sul presente, sul momento. Penso alla partita, a quello che devo fare, agli obiettivi che mi sono dato. La pressione c’è, certo. Ma tanta viene da me stesso». Un segreto? «Dieci minuti prima della partita mi scaldo e cerco di estraniarmi ma non è che guardo nel vuoto: mi serve per trovare la giusta tensione». Impossibile coglierlo in fallo, neanche se si parla dei soldi, tanti, che già ha portato a casa. «Cosa ne faccio? Niente. Compro le cose solo se ne ho davvero bisogno. Gli altri li tengo sotto al materasso… scherzo». Guida un’Alfa Stelvio, sorride se gli citi Don Matteo, che ha reso popolare San Candido: «Io più famoso di lui? Ah ah ah…». Non lo scalfisce nemmeno una come Maria Sharapova, che per qualche mese si alleno con Piatti: «È una bravissima persona. E le cose private rimangono private». Niente favole, insomma, oltre al tennis: «Quand’ero piccolo dormivo, senza problemi. Succede anche oggi, alla vigilia dei match importanti. Dormo il sonno dei giusti. E dormo male solo quando perdo». In conclusione, come racconteresti Jannik? «Noi gente di montagna siamo persone semplici, diciamo sempre la verità». E allora Jannik, dicci, per trionfare in cosa devi migliorare? «Le volee e il fisico, perché non parte tutto dalla racchetta: il segreto è vedere come l’altro si mette con i piedi, devi capire come si muove. Giocare d’anticipo è tutto, nella vita e sul campo, insieme all’attacco»

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