La lingua di Becker e quel diavolo di Agassi

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La lingua di Becker e quel diavolo di Agassi

Vi raccontiamo una storia bizzarra, che forse sapevate o forse no. Come faceva Andre Agassi a sapere sempre dove avrebbe servito Boris Becker

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Gli amici più intimi dello scrivente sanno che a qualsiasi ora del giorno e della notte sono autorizzati a segnalargli notizie relative al mondo del tennis che possano fornire spunti per scrivere articoli ad usum Ubitennis. Una settimana fa, era un giovedì sera – all’incirca tra il quinto e il sesto gol segnato dal Manchester United alla Roma – da uno di questi amici è giunto il seguente messaggio WhatsApp:

Andrea: “Hai visto quel filmato fantastico di Agassi che racconta come riusciva a leggere il servizio di Becker?”   
No
Andrea “Lo trovo sublime. Te lo invio. Devi farci un pezzo!” 

– Circa 5 minuti dopo –

 

Diavolo di un Agassi! Pezzo in arrivo. Grazie Andrea

Il video fu realizzato da Andrè Agassi nel 2017 per “The Players’ Tribune Unscriptd“.

The Players’ Tribune Unscriptd è una piattaforma multimediale creata nel 2014 da Derek Jeter – ex professionista della Major League statunitense di baseball – che pubblica storie relative ad atleti professionisti di ogni sport. I contenuti di questa piattaforma sono costituiti da video, storie scritte, podcast e interviste.

Nelle parole del suo fondatore la missione della piattaforma è di permettere agli atleti di mettersi in contatto diretto con i loro fan. Almeno per quanto ci riguarda l’obiettivo è raggiunto

Di seguito il video e poi la traduzione delle parole di Agassi.

“Il tennis consiste soprattutto nella capacità di risolvere problemi e non puoi risolverli a meno che tu non abbia l’empatia e l’abilità di percepire tutto ciò che ti circonda. Più capisci in cosa consiste il problema e più sei in grado di risolverlo nella vita e nel lavoro. Boris Becker – per esempio – mi batté le prime tre volte in cui ci incontrammo a causa di un servizio che non si era mai visto prima nel nostro sport. Guardai le cassette relative a quelle partite per tre volte e alla fine mi resi conto che aveva un tic con la lingua. Non sto scherzando. Iniziava il suo movimento oscillatorio – sempre la stessa routine – e mentre era sul punto di lanciare la palla tirava fuori la lingua e lo faceva collocandola esattamente nel mezzo delle labbra oppure leggermente più a sinistra. Quando batteva da destra e metteva la lingua tra le labbra, tirava o al centro o al corpo; se la metteva a lato serviva ad uscire.

La parte più difficile per me non era rispondere al suo servizio, bensì non fargli capire che lo sapevo. Dovevo resistere alla tentazione di leggere il suo servizio per la maggior parte della partita e scegliere il momento più adatto in cui usare questa informazione per eseguire un colpo che mi avrebbe permesso di fare il break.

Quella era la cosa più difficile; non avevo problemi a fargli il break, bensì a tenergli nascosto il fatto che potevo farlo a mio piacimento perché non volevo che tenesse la lingua in bocca ma che continuasse a tirarla fuori!

Raccontai questa cosa a Boris soltanto dopo il suo ritiro perché ci tenevo alla mia incolumità. Glielo dissi durante un Oktoberfest in Germania mentre bevevamo una pinta di birra insieme. Non potei fare a meno di dirgli: ‘a proposito, sai che facevi questa cosa e buttavi via il servizio?‘. Cadde quasi dalla sedia e mi rispose: (dopo i nostri match, ndt) “Tornavo a casa e dicevo a mia moglie: è come se mi leggesse nella mente. Figurati se pensavo che mi stavi semplicemente leggendo la lingua”.


Lingua o non lingua, dopo le prime tre sconfitte iniziali, Agassi batté Becker 10 volte in 11 occasioni. L’unica eccezione fu rappresentata dalla semifinale di Wimbledon del 1995; quel giorno Boris servì con lingua biforcuta.

Resta però aperta una domanda alla quale Agassi non dà risposta: quando Boris serviva da sinistra dove metteva la lingua? Se qualcuno lo sa, è pregato di farcelo sapere.

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Guido Pella si arrende: a soli 33 anni appende la racchetta al chiodo

Quartofinalista a Wimbledon 2019 ed ex Top 20, il mancino di Bahia Blanca si ritira dal tennis professionistico: il ginocchio destro privo di cartilagine non era più sostenibile in campo

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Guido Pella - Wimbledon 2019 (foto via Twitter, @Wimbledon)

Ci ha provato, ha tentato di darsi un’ultima possibilità ma la lesione cronica che gli affliggeva il ginocchio destro non era più sostenibile per poter continuare a competere in un mondo Pro: un arto oramai privo di qualsiasi presenza cartilaginosa e che aveva dovuto rieducare totalmente da zero. Ad ottobre 2022 – nel 2023 ha disputato 22 incontri in totale vincendone soltanto 9, nel 2022 uno solamente a livello Challenger a Montevideo perdendo da Cerundolo junior 7-5 6-3, il ruolino invece del 2021 recita 26 partite complessive con 18 successi – parlava così il nostro protagonista: “Non esiste una cura per quello che hoAlla fine dell’anno scorso ho avuto una ricaduta molto forte, un dolore che mi impediva praticamente di camminare sul campo. Ho deciso di prendermi una pausa. Un mese dopo ho scoperto che sarei diventato padre“.

Tutto si è concatenato per permettermi di fare un passo indietro per un po. Ne ho parlato con il mio chinesiologo e gli ho detto che non potevo più giocare perché non riuscivo ad allenarmi bene. Abbiamo avuto due consulti e mi hanno detto che dovevo rieducare il mio ginocchio da zero, dall’alzarmi da una sedia al camminare in modo diverso, solo per far sì che il ginocchio sentisse sollievo dalla lesione“.

La concomitanza con la nascita del primogenito gli ha fatto accettare più gradevolmente la naftalina agonistica e cominciare ad assaporare le piccole – ma grandi – cose della vita quotidiana assieme al calore della famiglia. Ora potrà farlo a tempo pieno.

 

Con un enorme mix di sensazioni ma allo stesso tempo un grande sollievo annuncio che ho deciso di porre fine alla mia carriera di tennista professionista. È stato un viaggio incredibile, con tante cose belle che mi hanno permesso di vivere momenti che non tutti possono vivere e per questo sarò eternamente grato al tennis. Voglio ringraziare la mia famiglia che è sempre stata con me, in particolare in quest’ultimo periodo e specificatamente dal primo momento che hanno saputo che lo US Open sarebbe stato il mio ultimo torneo. Mi hanno affiancato in modo tale che io potessi arrivare nella migliore forma possibile. In secondo luogo, ringrazio il mio team che è stato per me come una seconda famiglia per tutta la mia carriera, in particolare Fabi, Andrés, Titan e Daniel che mi hanno accompagnato dal primo all’ultimo giorno”.

Voglio ringraziare anche i miei amici del circuito (sapete chi sono) e i miei compagni di squadra di Coppa Davis che mi hanno fatto vivere momenti indimenticabili. Spero di aver ricambiato tutto l’amore che mi hanno dato in così tante tie e tornei. Infine grazie a tutte le persone che mi hanno sempre sostenuto in ogni momento e che si sono sempre prese del tempo per lasciarmi un bel messaggio, soprattutto nei momenti più difficili della mia carriera: mi mancheranno e spero di aver restituito loro un po’ da dentro il campo tutto il supporto che mi hanno dato. E come dice la persona che ammiro di più nella mia vita, ‘tutti i nostri sogni possono diventare realtà, se hai il coraggio di perseguirli‘. Penso di essere stato in grado di realizzare praticamente tutto ciò che mi ero prefissato di fare nel tennis, e ora sarà il momento di guardare altrove.

Addio

Attraverso così quest’accorato Post sul proprio profilo Instagram, Guido Pella annuncia il ritiro dal tennis professionistico: l’ultima match disputato, dunque, il primo turno a Flushing Meadows dove è stato sconfitto 7-6(5) 6-4 6-4 dal sudafricano Lloyd Harris. I quarti di finale a Wimbledon 2019 e la vittoriosa campagna nella Coppa Davis 2016 con la maglia albiceleste, le tappe più significative della carriera del mancino di Bahia Blanca.

Veramente incredibile il percorso londinese che lo vide protagonista quattro anni fa, lui un autentico terraiolo che dopo aver superato Copil e Seppi (l’azzurro cadde soltanto 6-1 al quinto e decisivo parziale dopo aver vinto secondo e terzo per 6-4) eliminò uno dietro l’altro – tra sedicesimi e ottavi – il finalista uscente Kevin Anderson e soprattutto il finalista del 2016 Milos Raonic in un match pazzesco da cui uscì vittorioso solamente per 8-6 al quinto; prima di arrendersi all’altra grande sorpresa di quell’edizione di Church Road: lo spagnolo Roberto Bautista Agut.

Grazie a quel meraviglioso cammino sull’erba britannica, si guadagnò anche il Best Ranking: il 19 agosto 2019, infatti, raggiunse la 20esima piazza mondiale a coronamento di un’ottima carriera che in 18 anni di professionismo lo ha visto alzare al cielo un unico trofeo ATP: il ‘250‘ di San Paolo battendo in finale in un derby sudamericano il cileno Cristian Garin con il punteggio di 7-5 6-3.

Fanno invece da contraltare quatto atti conclusivi persi: nel febbraio del 2016, in quello che rimane l’ultimo atto più prestigioso disputato in carriera, venne sconfitto – altro scontro a complete tinte latino americane – dall’uruguagio Pablo Cuevas 6-4 al terzo nell’ATP 500 di Rio De Janeiro. A questo KO ne seguirono altri tre divisi pariteticamente nelle successive tre stagioni in altrettanti eventi duecentocinquanta: maggio del 2017 soccombette a Sascha Zverev a casa del tedesco a Monaco di Baviera, luglio 2018 ad Umago fu Marco Cecchinato a impedirgli di aggiudicarsi il secondo alloro nel circuito principale.

Infine a febbraio 2019, l’ultima finale della carriera – ironia della sorte – giocata in Argentina a Cordoba: purtroppo anche in questa circostanza niente da fare subendo la rimonta del connazionale Juan Ignacio Londero per 3-6 7-5 6-1. Appende inoltre la racchetta al chiodo potendo vantare quattro successi contro Top 10: oltre a quello già citato con lo struzzo sudafricano a Londra, fra l’altro l’ultimo in ordine temporale, ha avuto la meglio anche sull’allora n. 10 Janko Tipsarevic nel 2013 al 3°T di Dusseldorf – torneo che all’epoca aveva valenza di un 250 -, contro Dominic Thiem (al tempo n. 7 del mondo) al 2°T di Chengdu nel 2017 e dulcis in fundo – o meglio antecedentemente allo scalpo su Kevin – ancora Wimbledon teatro del colpaccio e ancora un finalista del torneo in carica a farne le penne. Probabilmente il più splendente capolavoro dell’arte tennistica espressa da Guido, poiché questo vuol dire rimontare due set di svantaggio – 3-6 1-6 – a Marin Cilic che l’anno prima aveva perso soltanto da Federer in finale, ai trentaduesimi dei Championships 2018 imponendogli la battuta d’arresto con la sequenza di 6-4 7-6(3) 7-5.

Dunque, per ciò che abbiamo raccontato una signora carriera per il classe ’90 argentino: che già da junior aveva mostrato il suo potenziale, ottenendo come migliore classifica Under 18 la n. 42 ma soprattutto trionfando nel Bonfiglio 2008 superando nel match per il titolo David Goffin e spingendosi sino alla semifinale del Roland Garros di categoria dove fu estromesso dalla corsa al trofeo dal polacco Jerzy Janowicz.

Tuttavia, aldilà di tutto quello che ha conquistato a livello individuale, la maggiore soddisfazione Pella se l’è certamente tolta facendo parte del quartetto di Moschettieri che agli ordini di Capitan Daniel Orsanic ha sublimato le rispettive curve sportive con il sigillo più importante e pregno di emozioni che esista per un tennista, in special modo tenendo presente che riscrissero letteralmente la storia dopo quattro finali perse ottenendo la prima Coppa Davis dell’Argentina e diventando di conseguenza immortali: l’Insalatiera del 2016, centrata in trasferta a Zagabria in una finale surreale, dove gli argentini si ritrovarono sotto 2-1 al sabato dopo il doppio – eh già, era ancora la vera Davis – prima di mettere in piedi una Remuntada senza senso.

Nel primo singolare della domenica tra i due numeri uno, in un weekend super colorato grazie agli aficionados albicelesti accorsi numerosi in Croazia per poter guardare con i loro occhi la realizzazione della storia e il tutto sotto l’aura dal tifo infernale e sfegatato di un certo Diego Armando Maradona, l’immarcescibile Juan Martin Del Potro quando ormai sembrava sotto un treno ribaltò lo 0-2 nell’incontro (7-6 6-2 per i padroni di casa) per imporsi 7-5 6-4 6-3 negli ultimi tre set su Marin Cilic.

Poi tocco a Delbonis completare l’opera contro Karlovic. Anche Guido però diede il suo contributo, mettendo il suo preziosissimo mattoncino nella corsa alla Davis: Glasgow, casa di Sir Andy e della Gran Bretagna, semifinali al cospetto dei campioni in carica, venerdì. Pella viene schierato come numero uno visto che Del Potro non aveva ancora la classifica per poterlo essere in seguito all’ennesimo rientro dopo stop fisici, perde la prima frazione con il n. 2 inglese Kyle Edmund per 7-6(5) ma alla fine vince la partita: 6-4 6-3 6-2 per concludere sul 2-0 la prima giornata di gare dopo il successo epico di Delpo su Murray per 6-4 5-7 5-7 6-4 6-4.

Fa specie, rievocando quella cavalcata argentina, che tre quarti di quella fantastica squadra si siano ormai ritirati. Fa venire un bel po’ di nostalgia.

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Flash

Nel tennis è questione di avere o non avere

I giocatori di livello più alto tendono a ottenere vantaggi, come i campi di pratica migliori. Quelli con una classifica inferiore devono arrangiarsi

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John Millman - Eastburne 2022 (foto: profilo Instagram @johnnyhm)

Di Cindy Shmerler, pubblicato da NY Times il 25 agosto 2023

Eric Butorac ha giocato nel tabellone principale di doppio agli United States Open dal 2007 al 2016. Ricorda vividamente le sue sessioni di riscaldamento sui campi di allenamento che erano più vicini alla stazione della metropolitana che all’Arthur Ashe Stadium nel Queens.

Siamo stati fortunati quando abbiamo potuto allenarci su quei campi per un certo periodo di tempo“, ha detto Butorac, ora direttore delle relazioni con i giocatori presso la United States Tennis Association. “Se volevamo fare una sessione lunga, dovevamo andare completamente fuori sede, a volte fino a Long Island.”

 

Ma Butorac, che ha raggiunto la finale in doppio agli Australian Open 2014, non si è mai sentito offeso.

Vengo da una piccola città del Minnesota ed ero semplicemente felice di essere lì“, ha detto Butorac. “Per me si trattava più di gratitudine che di sentire che agli altri era stato dato di più”.

Esiste da tempo una gerarchia tra i tennisti, una distinzione tra i migliori giocatori di questo sport e tutti gli altri. Se Novak Djokovic, tre volte vincitore degli US Open, vuole allenarsi all’Arthur Ashe per un periodo di tempo prolungato, piuttosto che fuori dai cancelli dell’U.S.T.A. Billie Jean King National Tennis Center, gli viene concesso questo privilegio. Lo stesso vale per i campioni in carica Iga Swiatek e Carlos Alcaraz.

Le teste di serie in genere si allenano e giocano la maggior parte, se non tutte, delle loro partite su uno dei tre campi principali – Ashe, Louis Armstrong o Grandstand – il che offre loro un grande vantaggio. Ashe e Armstrong hanno il tetto retrattile, quindi giocando lì riescono a evitare l’interruzione delle piogge, mentre le teste di serie più basse, giocando altrove, devono adattarsi ai capricci atmosferici. Molti giocatori, di tutti i livelli, si allenano anche sui campi appena fuori Ashe, dove i tifosi possono guardare dalle tribune a bordo campo.

Ma per i giocatori con una classifica bassa, gli specialisti del doppio e i giocatori che sono riusciti a entrare in tabellone passando per le qualificazioni, trovare campi di qualità per prepararsi alle partite può spesso rivelarsi difficile. A volte, i giocatori meno esperti decidono di allenarsi con nomi più grandi solo per poter condividere i campi più ambiti.

Quando giochi gli US Open, è bello allenarsi con Frances lì“, ha scherzato Hubert Hurkacz, 17° giocatore al mondo, riferendosi a Frances Tiafoe, uno dei semifinalisti dello scorso anno.

Molti giocatori concordano sul fatto che nello sport esiste una cultura del “chi ha vs chi non ha”. John Millman, che era al 33° posto nel 2018 ma ora è 326°, ha scritto in un articolo, pubblicato a maggio sul sito australiano news.com.au, che in alcuni tornei ha ricevuto meno palline da tennis con cui allenarsi rispetto ai giocatori di alto livello.

Queste nuove palline vengono inseguite e sequestrate dai team di supporto che hanno ricevuto accrediti extra dal torneo“, ha detto Millman, il quale ha anche scritto che, oltre a poter portare più personale per aiutarli durante gli allenamenti, ai nomi più di primo piano è data la possibilità di prenotare prima i campi su cui allenarsi. Quindi scelgono le fasce orarie più ambite della prima parte della mattina, in modo da poter finire presto.

Alizé Cornet numero 11 nel 2009 ma ora numero 65, si è lamentata a Wimbledon del fatto che quando ha giocato su un campo principale in uno slam rispetto a un campo esterno, le sono stati assegnati molti più biglietti da regalare a parenti e amici.

Sono stata quasi tra i primi 10, sono stata 30 e sono stata 90″, ha detto Cornet, 33 anni. “Mi sono sentita sicuramente trattata diversamente quando ero testa di serie allo Slam, ma è così che funziona la società. Quanto più sei bravo, tanti più vantaggi ottieni

Taylor Fritz, l’americano meglio classificato e n. 9 al mondo, vede differenze maggiori nei piccoli tornei dove è consuetudine che le teste di serie migliori ricevano sistemazioni in hotel di lusso e orari di gioco più favorevoli.

Sì, penso che ci siano lievi vantaggi, ma credo anche che i giocatori che ottengono i vantaggi li abbiano guadagnati“, ha detto Fritz.

Secondo John Tobias, vicepresidente esecutivo di GSE Worldwide, una società di marketing e gestione che rappresenta tennisti di vertice, a molti di loro vengono fornite auto per il loro entourage, mentre altri giocatori e i loro amici, familiari e fan vengono relegati sulle navette dei tornei.

Alcuni giocatori fanno affidamento sull’alloggio fornito negli hotel dei tornei, mentre Tobias è spesso in grado di negoziare accordi per i suoi atleti di punta con hotel di lusso che forniscono suite gratuite in cambio di apparizioni promozionali o menzioni sui social media.

Cameron Norrie, il numero 1 della Gran Bretagna, trova divertente il fatto che meglio gioca, meno deve pagare. Dopo aver raggiunto le semifinali a Wimbledon l’anno scorso, Norrie ha detto che gli è stato offerto un caffè gratis dal suo barista locale e che gli è stato persino perdonato il conto della lavanderia, anche se ha guadagnato più di $ 600.000 solo per quel Wimbledon.

Molti giocatori concordano sul fatto che i vantaggi concessi per le prestazioni sono uno scambio equo. È quando ai giocatori vengono negate le pari opportunità di prepararsi per i tornei che la situazione diventa complicata.

Questo è un argomento che circola da molto tempo“, ha detto Daniel Vallverdu, allenatore di Grigor Dimitrov ed ex rappresentante degli allenatori nel Consiglio dei giocatori dell’ATP. “La mia sensazione è che per arrivare al top devi passare attraverso quello che hanno passato gli altri ragazzi. Tutti hanno la possibilità di percorrere la stessa strada, di cominciare dal basso, di arrivare in cima oppure di non farcela. E quei giocatori di punta stanno facendo molto di più per gli eventi rispetto ai ragazzi di livello inferiore in termini di impegno con i media, impegni di sponsorizzazione e vendita di biglietti, quindi devi incentivarli a venire.

Ma quando si tratta dell’opportunità di prepararsi, come l’accesso alla palestra giusta, facendo abbastanza ore di allenamento, è lì che dovrebbe esserci un trattamento più equo possibile“, ha aggiunto Vallverdu. “Tutto ciò che influenza la preparazione e la prestazione dovrebbe essere molto equo”.

L’USTA sta lavorando per offrire miglioramenti equi a tutti i giocatori agli US Open. Oltre a fornire comfort come stanze di recupero e stanze per il pisolino, rilassanti terapie a luce rossa e giochi di realtà virtuale, quest’anno l’associazione offre nuove iniziative per i giocatori, tra cui una camera d’albergo gratuita aggiuntiva per l’allenatore o un familiare dei giocatori o $ 600 al giorno se i giocatori scelgono di trovare il proprio alloggio. Anche tutti i pasti dei giocatori e degli allenatori in loco sono coperti dall’USTA

L’USTA offre inoltre a tutti i giocatori che gareggiano allo US Open un’indennità di 1.000 dollari per il viaggio aereo e 150 dollari per coprire le spese aeroportuali, oltre a cinque incordature gratuite per ogni giorno in cui un giocatore gioca una partita. C’è anche una nuova app che consente di assicurarsi il trasporto, i campi di allenamento, le indennità per i pasti e i biglietti per le partite. Agli allenatori, a cui ora è consentito dare consigli durante le partite, vengono forniti tablet che tengono traccia delle statistiche delle partite.

Non c’è gerarchia in questa situazione“, ha detto Butorac, che, in qualità di direttore delle relazioni con i giocatori dell’USTA, offre anche una suite a tutti i giocatori dove possono scegliere abiti con il logo Open, cuffie o persino un braccialetto Tiffany.

Questo programma è proprio rivolto ai giocatori classificati dal n.70 all’80“, ha detto. “L’idea è che non dovranno spendere soldi qui e potranno portare a casa tutto il loro premio in denaro.”

Anche il premio in denaro quest’anno è stato aumentato di oltre l’8% rispetto allo scorso anno, con i campioni maschili e femminili che guadagneranno 3 milioni di dollari ciascuno e i perdenti al primo turno del torneo di singolo che hanno portato a casa 81.500 dollari. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della parità dei premi assegnati assegnata a uomini e donne agli US Open.

Stan Wawrinka, ex campione degli Open di Stati Uniti, Australia e Francia, una volta classificato n.3 al mondo prima che gli infortuni lo facessero scendere oltre il 300° posto, conosce gli imprevisti che sono all’ordine del giorno quando la classifica è più bassa..

Naturalmente, le cose vanno diversamente quando sei in testa alla classifica e quando sei in fondo alla classifica”, ha detto Wawrinka, ora numero 49. “È normale, ed è così. E sarà sempre così.

“Credo sempre che non abbia importanza la mia posizione in classifica“, ha aggiunto Wawrinka. “Non importa su quale campo gioco. Non importa dove devo stare. Sarà sempre speciale essere in uno Slam”.

Traduzione di Massimo Volpati

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evidenza

US Open: storia di un luogo

Un viaggio in due puntate alla scoperta della storia e dei luoghi del primo Slam a disputarsi sul DecoTurf. Si inizia dalle origini, perché è sempre lì che nascono i miti

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Flushing Meadows, US Open 2014 (foto ART SEITZ)
Flushing Meadows, US Open 2014 (foto ART SEITZ)

di Luca Filidei

Ci siamo. L’ultimo grande torneo della stagione sta infiammando il mondo del tennis. L’US Open Tennis Championships, più conosciuto semplicemente come US Open, sta illuminando il Queens, con il suo glamour inimitabile ma anche con la sua spiccata americanità, una specie di “sequel” di quella espressa dal Western & Southern Open appena concluso (trovate un approfondimento qui).

Del resto, se il Cincinnati Open rappresenta una parte fondamentale della storia di questo sport, l’US Open è l’insieme che contiene tutto, come – permettetemi questo paragone motoristico – la leggendaria Indy 500 per il campionato IndyCar Series. Chi vince questo torneo ottiene il passe-partout per accedere all’immaginario collettivo, rendere iconica la propria essenza, dalle virtù alle debolezze. E poi avere il privilegio (rarissimo) di entrare nella Storia, affiancandosi ai grandi nomi che oggi impreziosiscono l’ammirata Court of Champions: Steffi Graf, John McEnroe, Chris Evert, Rod Laver, Arthur Ashe, Billie Jean King… solo per citarne alcuni.

 

Un torneo iconico che comincia da un hamlet

Leggendario a dir poco verrebbe da dire. Ma quali sono le origini dell’US Open? O meglio, visto il fil rouge di questo focus, quali sono le infrastrutture sportive che lo hanno ospitato diventando un tutt’uno con la sua storia? Inutile scrivere che prima del USTA Billie Jean King National Tennis Center, il distretto sportivo in cui viene organizzato ininterrottamente dal 1978, ci sono stati altri impianti. E quindi eccoci qui ad iniziare un (breve) viaggio nel passato di questo torneo, per conoscere quei “parterre” che lo hanno reso così indimenticabile, unico, persino riconoscibile a livello glocale.

I primi passi dell’US Open, però, non sono una sorpresa, poiché iniziano nelle vicinanze di New York – no, non a Flushing Meadows –, ma pur sempre nell’infinito sprawl urbano della Grande Mela, che poi comprende anche la città di Purchase. Esatto, l’hamlet, la frazione della ben più nota Harrison, conosciuta per il memoriale dedicato all’aviatrice Amelia Earhart.

Dalla nascita della USTA all’èureka di Jim Dwight

È proprio qui che, nel maggio del 1881 (un anno particolare per il Paese, con l’alternanza di ben tre presidenti), viene siglato l’accordo tra un piccolo gruppo di persone riunite per fondare la United States National Lawn Tennis Association, quella che oggi viene chiamata USTA.

Tra di loro figurava anche James “Jim” Dwight, alias “Father of American Tennis”. Inserito nella Hall of Fame nel 1955, ha dominato il doppio agli US Nationals vincendo cinque edizioni dal 1882 al 1887. Il suo compagno era un certo Richard “Dick” Sears, non c’è bisogno di aggiungere altro. No, forse solo qualcosa. Perché è Dwight, nominato presidente nel 1882, a decidere insieme agli altri soci la prima sede dello US Open. In questo caso niente New York. Si va dritti in Rhode Island, dove ad aspettare i primi campioni di tennis c’è il Newport Casino.

Nell’Ocean State a ritmo di tennis

Raffinato. Di una bellezza mai ostentata. Anzi, persino introversa. Dotato di uno charme unico. È questo che caratterizza l’attuale sede dell’International Tennis Hall of Fame. Ci sono troppe storie da raccontare in un edificio così, a partire da chi decise di costruirlo, tale James Gordon Bennett, personaggio eccentrico quanto determinato, fondatore del New York Herald, il penny press che poi pubblicherà l’immagine simbolo Lunch atop a skyscraper.

Tuttavia, facciamo un passo indietro, riordiniamo le idee, perché ora il Newport Casino è una specie di museo attivo – tanto da essere il palcoscenico dell’Hall of Fame Open – ma prima, alla fine dell’Ottocento, quando circolavano ancora carrozze e strilloni, rappresentava un modello decisamente innovativo. Già, perché il “casino” non era la “casa da gioco” che conosciamo oggi, bensì una tipologia architettonica che riuniva spazi per trascorrere il tempo libero, dalla ristorazione allo sport, praticamente il moderno “country club”.

Nel 1880 ci troviamo nel bel mezzo di quella che Mark Twain definì la Gilded Age, un’epoca di eccessi alla Jay Gatsby per intenderci, o se volete affine alla ruggente Babylon dipinta da quel visionario che porta il nome di Damien Chazelle.

Un “Wimbledon” made in USA

Ad essere incaricato da James Bennett per il progetto è uno studio di architettura ancora poco conosciuto: McKim, Mead & White, che poi avrebbe firmato decine di edifici a Manhattan, tra cui il Madison Square Garden II, quello in cui si disputò il match Willard-Moran nel 1916.

Ma è in Rhode Island che quel terzetto trova l’ambito passaggio per il successo, disegnando un gioiello architettonico in un elegante stile Shingle, talmente ben disegnato da venire acclamato dalla critica di quel periodo. Sì, perché nel Newport Casino si trova un sapiente mix di conoscenze, dallo stile Queen Anne a quello coloniale, fino al design francese che McKim fece suo mentre frequentava la prestigiosa École des Beaux-Arts di Parigi: praticamente il connubio perfetto per replicare in America ciò che stava avvenendo dall’altra parte dell’oceano.

Wimbledon, almeno a livello architettonico, aveva trovato un suo “contender”. Ora mancava soltanto il torneo, l’U.S. National Championships. Che arrivò sui prati del Newport Casino appena un anno dopo.

Chi vinse il titolo del singolare? Quasi un’ovvietà: Dick Sears, ma questa, in fondo, è un’altra storia.

Nella seconda e ultima parte ci allontaniamo dal Rhode Island per trasferirci nello Stato di New York. Una sosta al West Side Tennis Club e poi via verso Flushing Meadows…

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