[1] N. Djokovic b. [7] M. Berrettini 6-7(4) 6-4 6-4 6-3
Sesto trionfo a Wimbledon, ventesimo trofeo dello Slam (alla trentesima finale) e aggancio agli altri due fenomeni completato: Novak Djokovic lascia un solo set di speranza a Matteo Berrettini, encomiabile nell’atteggiamento e nella puntuale reazione dopo ogni break subito, poi si prende la scena e affonda un altro passo nella Storia del tennis e di questo torneo. 85° titolo, il quarto nel 2021.
WARM-UP – Difficile non percepire qualcosa di (emotivamente) diverso al momento dell’ingresso in campo, seguendo con lo sguardo della telecamera la lunga passeggiata tra i corridoi dell’All England Club a cui i finalisti sono costretti prima del loro ingresso sul campo centrale – tenuemente riscaldato dai 21 gradi di Londra. Matteo Berrettini beve un po’ d’acqua prima di sbucare e farsi vedere dal pubblico, Novak Djokovic è la solita sfinge e abbozza un lieve sorriso rivolgendosi a un pubblico con il quale non è mai scattato l’amore. Piccolo campanello d’allarme: dal pantaloncino di Matteo sbuca una fasciatura attorno alla coscia sinistra.
I precedenti recitano 2-0 in favore di Djokovic: un 6-2 6-1 piuttosto perentorio alle Finals 2019 e il 6-3 6-2 6-7 7-5 dei recenti quarti al Roland Garros, partita iniziata un po’ come quella londinese e diventata via via più equilibrata. Arbitra Marija Cicak, prima donna a ricevere quest’onore per la finale maschile di Wimbledon: e caspita se lo merita, lei che forse è la più brava di tutte.
IL MATCH – Le facce sono entrambe tesissime, e in qualche modo questo è un buon segnale per Berrettini: la sua tensione era infatti da mettere in conto, quella di Djokovic sorprende e in qualche modo incoraggia. Come i tre doppi falli inanellati dal serbo nei primi due game di servizio, il secondo dei quali gli costa anche una palla break ben annullata col servizio. Nel quarto game è Berrettini a offrire il fianco in due occasioni e Djokovic se le fa bastare, convertendo la seconda palla break a seguito di un rovescio profondo che induce Berrettini all’errore con il dritto (contribuisce anche un cattivo rimbalzo).
Dal 3-1 al set point fallito da Nole in risposta sul 5-2 il divario sembra evidente. Matteo commette errori davvero banali ma ha il grosso merito di difendere il servizio e portare avanti il set, confidando in un cambio di rotta che alla fine arriva. Due game più tardi infatti Djokovic torna a concedere palle break, e se annulla la prima con classe (prima e dritto sulla riga) sulla seconda perde lo scontro a rete e Berrettini ricuce lo svantaggio. Un set che sembrava segnato, dopo tre turni di servizio relativamente tranquilli (trema un pizzico Matteo sul 5-6 senza offrire altre palle break), si decide al tie-break. Matteo brucia Nole ai blocchi di partenza e va sul 3-0, si fa riprendere sul 3-3 ma un altro dritto al fulmicotone lo manda avanti di un mini-break: chiamato a chiudere sul 6-4, Matteo non si fa intimidire dal net, ripete la prima e scaraventa nei pressi della T l’ace che vale il primo set. Un set vinto col 56% di prime in campo contro il numero uno del mondo, pur non al meglio. Not too bad.
Il 40-15 in favore di Berrettini con cui si apre il secondo set fa ben sperare, ma Djokovic inserisce il pilota automatico sulla diagonale di rovescio e vince diciotto dei successivi ventitré punti (!) breakkando due volte: in un baleno è 4-0, che diventa 5-1 qualche minuto più tardi. Matteo non si perde d’animo e tiene a zero il turno di servizio successivo, con tanto di punto spettacolare a chiusura del game (tweener italiano, tentativo fallito di colpo spalle alla rete del serbo). I due sorridono, il pubblico applaude, Nole si distrae e cede uno dei due break di vantaggio – bravo Matteo a concludere di polso nei pressi della rete – ma un attimo dopo è Berrettini a trovarsi con le spalle al muro, sotto 3-5 0-40. Uno strano attacco d’imperizia di Nole (che aveva iniziato il game con un maestoso rovescio lungolinea) e il servizio di Berrettini cancellano i tre set point. Poco male per Nole, che ne raccatta altri tre col servizio a disposizione e converte il primo: 6-4, comincia adesso una finale ‘normale’ al meglio dei tre set.
Il problema della normalità è che Djokovic, il più grande tennista della storia quando si tratta di far sembrare normale l’eccezionale (e non è detto che non sia il più grande e basta, di qui a poco), può modellarla a suo piacimento. Così toglie a Berrettini il servizio per la quarta volta nell’incontro – Matteo lo aveva perso cinque volte in totale tra primo turno e semifinale – e fa buona guardia sulla parità del quarto gioco, chiudendo bene a rete dopo un attacco silenzioso che richiama le movenze di un ninja. Tutto però si può dire a Berrettini tranne che non abbia l’animo per reagire ogni volta che si trova in svantaggio, e anche con l’aiuto del pubblico che lo incoraggia e al contempo spazientisce Djokovic (le finali per lui sono sempre così, da queste parti) si guadagna due palle del contro-break nel sesto game. Niente da fare, il cannibale le fa sparire dal piatto e un paio di giochi più tardi si assicura la possibilità di servire per il set. Lascia per strada il primo set point – oggi il primo non è mai quello buono – ma trasforma il secondo al termine di un punto mal giocato da entrambi. Dueauno Djokovic, come purtroppo si temeva dopo la coraggiosa rimonta di Matteo nel primo set.
Fermiamo un attimo il flusso dei punti per descrivere il tema tattico dell’incontro. Nole ha un paio di marce in più nella copertura del campo e in tutte le categorie degli spostamenti, oltre a poter vantare un margine rassicurante quando tiene i piedi sulla riga e colpisce dal lato sinistro. Lo slice di Berrettini però funziona, gli consente di recuperare campo e impedisce al serbo di attaccare; l’optimum sarebbe riuscire a sorprendere l’avversario in lungolinea, ma finora Matteo ci è riuscito poche volte. Considerando però l’aggressione costante a cui è sottoposto, i 12 gratuiti di rovescio (solo sei in più di Nole) sono un dato accettabile. Nella totale profanità delle chiacchiere di redazione si suggerisce a Matteo di utilizzare maggiormente il lob dacché Djokovic, giunto a rete ben 35 volte, ha dovuto colpire lo smash in appena un paio di occasioni. E che non gli piaccia farlo è questione nota ai più.
Nel quarto set succede una cosa non così inusuale per chi ha visto giocare Djokovic più di una decina di volte negli Slam. La partita è nelle sue mani, tecnicamente e mentalmente, e lui decide di procurarsi un altro avversario. Prima va a chiedere udienza (in serbo) a Marija Cicak, infastidito dai rumori provenienti dagli spalti, ma la giudice di sedia lo rimanda a posto; poi sbaglia una palla e tira un calcione ai fili d’erba – rimediando anche qualche fischio. Compattato ulteriormente il pubblico del centrale contro di lui, Djokovic riparte sotto 3-2. Non si sono ancora viste palle break e allora prova a farsi avanti Berrettini. Sul 15-30 Matteo piazza lo slice lungolinea di cui sopra, prende il comando dello scambio e chiama Nole a rete lasciandogli però il margine per recuperare. E Djokovic ovviamente piazza la contro-smorzata sulla riga, tirando su il pugno e buttando giù le residue speranze di Berrettini.
Poteva arrivare una palla break utile a riaprire il set, e invece il break lo centra Djokovic nel game successivo, smistando lo scambio con il dritto con una facilità che tende a smentire un po’ i tre punti di differenza assegnati dal direttore nelle pagelle dei colpi. Chirurgico al punto da risultare crudele per l’avversario, dopo tre ore e 17 minuti di partita il numero uno del mondo è sicuro di poter servire per il suo sesto Wimbledon, nonché ventesimo Slam. E dopo sette minuti può alzare le braccia al cielo, sul servizio di Berrettini, nonostante il coraggio di Matteo che annulla i primi due championship point (il secondo con un drittone a 163 km/h). Djokovic passa alla terza occasione, dopo un rovescio italiano che si ferma sul nastro. Tre Slam su tre, con le Olimpiadi tra meno di un mese e lo US Open tra meno di due mesi: Novak Djokovic ha tutte le carte in regola per emulare Steffi Graf, capace di completare il Golden Slam nel 1988.