Il derby non si fa (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Stavolta Fritz non fa troppo l’amico. E manda in frantumi íl sogno di un derby tutto italiano agli ottavi tra Berrettini e Sinner, che avrebbe rappresentato l’esaltante punto d’arrivo di una stagione magica per il nostro tennis. Troppo brutto per essere vero, però, il Berretto del deserto californiano, scarico al servizio (63% di punti con la prima, che però non lo ha mai sostenuto nei momenti decisivi) e fallosissimo nell’altra fondamentale risorsa, il dritto, per concedersi qualche chance di opporsi a un Fritz sicuramente centrato ma non certo superlativo. D’altronde, depotenzlato dei colpi migliori, Berrettini si è scoperto per una volta Sansone privato della chioma confortevole del suo gioco abituale. Una sconfitta che priva lui e tutto il movimento tricolore di un affascinante incrocio con Sinner, ma che non complica la corsa quasi completata verso le Finals di Torino, magari da sigillare a Vienna tra due settimane. Matteo è apparso lento nei movimenti e svuotato mentalmente: ha avuto un sussulto al tramonto del primo set, quando con orgoglio ha recuperato due break di svantaggio e ha servito per il 5-5, affondando però in quel game con una serie di quattro gratuiti completata da un doppio fallo. Da li, in pratica, non c’è più stata partita. In mancanza del tanto agognato derby, sarà dunque Fritz a saggiare lo stato di forma di Sinner (terzo match dalle 20 italiane), approdato agli ottavi senza giocare per il forfeit di Isner, accorso in ospedale ad assistere la moglie che sta per partorire il loro terzo figlio. Taylor, solita faccia da attore di Hollywood anni ’50, che a giugno è uscito in sedia a rotelle dal Roland Garros con un menisco fracassato, ormai sembra aver perso il treno per diventare il messia del tennis yankee come gli pronosticavano da junior, ma è un ragazzo intelligente e che si allena bene e il suo gioco offensivo, se sorretto dal servizio come ieri, non dà ritmo e punti di riferimento. Per Jannik si tratterà di un incrocio fondamentale (tra i due non ci sono precedenti), perché i primi rivali verso le Finals, cioè Ruud e Hurkacz, continuano ad avanzare come trattori e sarebbe opportuno non lasciarli allontanare troppo. […]
Berrettini flop, il derby sfuma (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)
Non ci sarà il derby azzurro negli ottavi di finale del Masters 1000 di Indian Wells. Jannik Sinner affronterà oggi Taylor Fritz, mai in difficoltà contro un Matteo Berrettini toppo spento per essere vero. Il 6-4 6-3 finale fotografa solo in parte una partita in cui il romano ha messo in campo l’orgoglio ma è sembrato perdere tutto il resto. In un’ora e venti minuti di partita, il numero 1 azzurro ha ceduto quattro volte il servizio. Non gli succedeva in una sfida al meglio dei tre set dalla finale di Madrid contro Alexander Zverev: ma quell’incontro finì al terzo. «Mi è mancata l’adrenalina, non avevo abbastanza energie nervose – ha detto Berrettini – era un po’ che non mi succedeva». Il numero 7 del mondo non ha fatto cenno al problema al collo e alla schiena per cui ha dovuto rinunciare al doppio proprio con Sinner. «Sto cercando una spiegazione a quello che è successo, ma forse è dovuto semplicemente al fatto che sono umano e un piccolo down ci sta». Fritz, 23 anni, non aveva più sconfitto un Top 10 proprio dal successo su Berrettini in Coppa Davis a Madrid due anni fa. Ieri già dai primi game è apparso chiaro che Berrettini non fosse nella sua versione migliore. Poco incisivo con la seconda di servizio e in risposta, perdeva fin troppo facilmente la misura quando provava ad accelerare con il diritto. Fritz, che ha vinto 43 punti contro 27 negli scambi conclusi entro i quattro colpi, ha preso di mira il rovescio del numero 1 italiano. Così ha allungato da 1-1 a 5-1. II parziale avrebbe potuto segnare la storia del primo set, Berrettini pere si è scosso, rimontando fino al 4-5 e servizio. Ma di nuovo il fragile equilibrio su cui si è retto il suo tennis nei game precedenti è andato in pezzi. Con tre gratuiti e un doppio fallo ha concesso il break che gli costa il set. L’incontro non ha di fatto avuto più storia. «Avevo bisogno di una partita così, in un torneo che adoro – ha detto lo statunitense – la mia strategia era chiara, sapevo cosa avrei dovuto fare per vincere. Volevo servire forte, attaccare la prima palla, sfruttare i miei punti di forza per metterlo in una posizione scomoda quanto più possibile».
Sinner, doppio “aiutino” (Roberto Bertellino, Tuttosport)
Jannik Sinner è volato negli ottavi del Masters 1000 di Indian Wells senza faticare incassando il ritiro di John lsner, 36enne americano tornato in famiglia per vivere in prima persona la terza paternità. Un forfait che ha favorito anche i doppisti Lorenzo Sonego e Fabio Fognini, saliti nei quarti con la stessa dinamica e ora chiamati al confronto con una delle coppie leader del circuito di specialità composta da Dodig e Melo. Con Jannik già tra i migliori sedici, tutti a pregustare il derby tra lui e Matteo Berrettini, chiamato alla sfida con Taylor Fritz, tennista di casa. Partita strana la loro. Nel primo set dall’ 1-1 l’arnericano ha piazzato un parziale positivo di 9 punti a 1 salendo 4-1. Ha bissato il break, con il romano in evidente difficoltà dal punto di vista del movimento. Poi l’azzurro si è ridestato e ha recuperato i due break di svantaggio, dando l’impressione di essersi rimesso nella giusta direrione. Brutto il game numero 10 nel quale Berrettini ha commesso errori assortiti vedendosi nuovamente superato dal rivale che ha fatto sua la prima frazione. Andamento analogo nella seconda, con Matteo poco efficace con i classici colpi di cui dispone, il servizio e il diritto. Tre doppi falli e due ace, bilancio negativo e fotografia di una serata storta, con le difficoltà rese ancora più palesi dalla condotta giustamente aggressiva del 23enne californiano che aveva già superato il nostro nell’unico precedente di carriera, a livello di Coppa Davis nel 2019. «Ho avuto una strategia chiara usando le mie armi e soprattutto l’aggressività – ha detto al termine Fritz -. E’ un torneo che sento mio perché è vicino a casa. Credo di esserci venuto per la prima volta con gli amici, da spettatore, quando avevo 12 mini Poi sono tomato da giocatore a quindici nel tabellone di qualificazione». Non ci sarà dunque il derby azzurro con Sinner.
Federer, addio Top Ten. E questa volta rischia di non ritrovarla più (Luca Marianantoni, La Gazzetta dello Sport)
C’è ancora Hubert Hurkacz nel destino di Roger Federer. Tre mesi fa il polacco aveva fermato il Maestro ai quarti di finale di Wimbledon e ora, superando lo statunitense Tiafoe al terzo turno di Indian Wells, lo ha aritmeticamente estromesso dal club dei primi 10 giocatori nel mondo. Lunedì lo svizzero sarà al massimo numero 11 del ranking, o addirittura più in basso. Per Roger questa era la settimana numero 968 in top ten, ma la notizia ha un peso specifico enorme perché esiste la decisa possibilità che il Divino di Basilea, fermo da Londra per i postumi dell’intervento al ginocchio destro, non ci rientri più. Dallo scoppio della pandemia, Federer ha ovviamente beneficiato della classifica congelata (non senza qualche polemica di alcuni colleghi), e al momento, in condizioni normali, sarebbe numero 71 del mondo. Significa che se anche ritornasse a pieno regime l’anno prossimo, dovrebbe compilare una serie di grandi risultati per riavvicinarsi al gotha. Eppure dalla convalescenza si professa fiducioso: «Tornare a competere rappresenta una grossa sfida, ma vorrei rientrare il più velocemente possibile. Però devo essere paziente. Un passo alla volta. Per ora sta andando tutto bene, qúindi sono felice». Federer ha trascorso quattro periodi distinti in top ten. La prima volta ci era entrato il 20 maggio 2002 all’indomani dei primo successo in un Masters 1000, ad Amburgo, in finale su Safin. In quel ranking al primo posto svettava Hewitt, e Federer rimase tra i primi 10 per 7 settimane fino al 7 luglio 2002 quando sostituì lo storico quarto di finale di Wimbledon 2001 (quello della vittoria agli ottavi in cinque set su Sampras) con la cocente eliminazione all’esordio 2002 con Ancic. Poi ci tornò per 3 settimane dal 15 luglio al 4 agosto prima della serie interminabile di 734 settimane di fila che iniziò il 14 ottobre 2002 per finire il 16 novembre 2016: questa di Federer è la seconda serie più lunga di sempre dopo le 789 settimane consecutive di Jimmy Connors (dal 23 agosto 1973 al 2 ottobre 1988). L’ultima serie di Roger invece era iniziata il 30 gennaio 2017 dopo la vittoria all’Open d’Australia con l’epica finale contro Nadal. Con 968 settimane nei top 10, Roger Federer è il tennista uomo più presente di sempre. Al secondo posto c’è Nadal che galoppa a quota 838 settimane. Il record assoluto appartiene a Martina Navratilova che è stata ininierroiiamente nella Top 10 per 1000 settimane consecutive, dal primo ranking Wta del novembre 1975 al 1′ gennaio 1995.
Odiavo Riggs, denigrava le donne (Billie Jean King)
Dall’autobiografia di Billie Jean King – Corriere della Sera
All’inizio fu in qualche modo divertente vedere quanta straripante energia Bobby profondesse per promuovere la nostra sfida. Alcune cose erano una messinscena, e mi disse che faceva tutto parte della promozione. Continuava a ripetere le solite battute irritanti di sempre: «Vi dirò perché vincerò. Lei è una donna e non hanno stabilità emotiva! Rimarrà senza fiato, proprio come è successo a Margaret Court… L’uomo è superiore!». Altre cose che Bobby fece furono più difficili da ignorare. Il giorno prima della nostra conferenza stampa finale, si presentò all’allenamento indossando una maglietta con due buchi sul petto per mostrare i suoi capezzoli e poi scherzò con i giornalisti dicendo che a suo parere la maglietta sarebbe stata meglio addosso a me. Con questa superò il segno. Sapevo che alcune persone credevano realmente in certe battute sessiste che lui andava blaterando e io volli essere convincente e chiara: non era accettabile. Il giorno prima della partita, quando uno dei giornalisti durante la nostra conferenza stampa congiunta domandò che cosa pensassi di Bobby, dissi la verità: «Quel buffone denigra le donne… Lui mi piace per molti aspetti, ma lo odio perché denigra le donne, non degnandoci di credibilità come avversarie». (…) La gente era divisa su chi avrebbe vinto e ne discuteva a tavola, davanti ai distributori automatici nei posti di lavoro, nei saloni di bellezza e nei bar. Furono piazzate moltissime scommesse. I mariti promisero che se avessi vinto io si sarebbero occupati per una settimana di stirare; i capi promisero che avrebbero preparato il caffè per le loro segretarie. Furono organizzate visioni comunitarie e le persone si divertirono. I media continuarono a interpellare esperti per i pronostici. Quando incontrai Bud Collins, disse: «Ho scommesso su Riggs». Mi fece male, ma mi ferì ancora di più quando nel bagno del nostro torneo di Houston sentii alcune giocatrici dello Slims dirsi a vicenda di volere che io vincessi ma che pensavano che Riggs mi avrebbe battuto. Non si erano rese conto che fossi anche io lì fino a quando non uscii da uno dei cubicoli, le guardai senza dire una parola e uscii dopo essermi lavata le mani. Nel corso degli anni Bobby aveva dato lustro alla sua fama di spaccone organizzando trucchetti come piazzare trentadue sedie sul campo, giocare con le galosce, tenere al guinzaglio un cane mentre giocava. E tuttavia vinceva. A Houston vendeva spille con lo slogan «Pigs for Riggs». Eravamo totalmente diversi. Una buona fetta della mia preparazione a una partita — o a un discorso o a qualsiasi evento, in realtà — è stata sempre analizzare in anticipo tutto quello che sarebbe potuto accadere. Ogni dettaglio è per me importante, dall’avere un paio di scarpe di riserva al prendere confidenza con il luogo. Per la Battaglia dei Sessi specialmente non lasciai nulla al caso. Mi misi d’accordo con un custode perché mi facesse entrare nell’Astrodome il giorno prima della partita e mi facesse fare un giro. Lo stadio da fuori sembrava un enorme disco volante. Dentro era uno spazio cavernoso, pieno di eco. Sapevo che mi sarei dovuta abituare all’illuminazione, al senso della profondità e a individuare velocemente la palla tra le travi di ferro che componevano il soffitto alto 63 metri. D’altronde, lo stesso avrebbe dovuto fare Bobby. Ricordai a me stessa che non avrei avuto il lusso di potermi abituare al campo perché sarebbe stato preparato il giorno stesso della nostra partita. Ma sarebbe stata la stessa cosa anche per Bobby. Prima di altre partite di solito pregavo: «Ti prego, Signore, permetti a entrambi di giocare al massimo delle nostre possibilità». Questa volta, tagliai corto e dissi: «Ti prego, Signore, fai che io vinca».