Nel segno di Alcaraz (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Diavolo d’un Baez, clone più giovane di Schwartzman con cui condivide nazionalità (argentina), altezza (1.70) e gambe di caucciù in grado di arrivare dappertutto, insieme a una spiccata intelligenza tattica che ad esempio lo porta spesso a rete a chiudere punti facili. Per due set, l’ex numero uno del mondo juniores è un rebus irrisolvibile per un Musetti troppo passivo e ancora prigioniero dei demoni tecnici degli ultimi sei mesi, oltreché bloccato dalla comprensibile tensione dell’atteso padrone di casa. Poi finalmente si scioglie, ritrova il braccio e la fantasia, ma nel tie break del quarto set che lo riporterebbe perfettamente dentro il match, dopo una minirimonta da 4-1, subisce un paio di prodezze del piccolo gaucho. E così, malgrado il calore del pubblico, le sue Next Gen iniziano in salita. Lascia subito l’impronta di una classe innata, invece, Carlos Alcaraz, per cui coach Juan Carlos Ferrero, detto Mosquito, ex numero uno del mondo, sta dando i numeri da inizio anno. Prima 100, poi 65, poi 50: nel senso di posizioni in classifica da raggiungere. Missione compiuta, ma quel 32 che oggi spicca nel ranking è forse l’aspetto meno appariscente dell’imperiosa crescita di Carlito, il ragazzo che può prolungare per la Spagna l’epopea quasi ventennale di Rafa Nadal. Perché la personalità, il talento, la capacità di lettura dei match sono già da campione consumato, e stiamo parlando di un fresco diciottenne. Per l’estasi del coach: «Dal momento in cui ho iniziato a lavorare con lui, ho subito capito il suo potenziale. Ogni settimana mi aspetto che possa ottenere qualcosa di importante, perché conosco il suo potenziale». Alcaraz si è già preso tutta tutta la scena. Il match contro l’altro diciottenne d’assalto Rune regala un primo set ad alta densità spettacolare, perché il danese che è convinto di vincere gli stessi Roland Garros di Nadal tiene il ritmo infernale dell’allievo di Ferrero e regge i pesantissimi scambi da fondo, prima di spegnersi inesorabilmente davanti alla pesantezza di palla e alla profondità delle mazzate di Carlito, decisamente più giocatore nel tennis, nel fisico e nella testa, anche se Holger si farà senz’altro. Dunque, il protagonista più atteso non tradisce le aspettative: «Ho giocato un match molto aggressivo, in campo mi sono sentito bene da subito e del resto con questo format non puoi mai permetterti cali di tensione. Essere qui era un obiettivo di inizio stagione. Sono felice di essere a Milano e di giocare questo torneo». […]
Tensione e Baez. Musetti in salita (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)
Lorenzo Musetti regala due set, troppi per pensare di ribaltare la partita. All’esordio alle Intesa Next Gen ATP Finals, l’azzurro cede 4-1 4-1 3-4(3) 4-3(5) contro l’argentino Sebastian Baez. Il carrarino non vince un punto in risposta nel primo set; non tira nemmeno un vincente nel secondo. Per la prima metà del match, continua a scuotere la testa, preda di un’insoddisfazione che spesso nel suo caso diventa paralizzante. Invece di provare un big point, si limita a giocare alto e al centro. Nella seconda si scuote, si libera dalle voci di dentro, e gli effetti sul punteggio si vedono. Ma non basta a invertire la rotta. La sfida non è affatto banale. L’argentino ricorda molto Schwartzman per fisico e movenze. Contro un Musetti fin troppo passivo, che si limita a palleggiare e rimandare la palla dall’altra parte della rete, Baez ha gioco facile nell’aggredire colpendo in avanti. Veloce di gambe e di braccio, gioca sulle righe mentre il campo per il carrarino diventa sempre più lungo e più largo. Alla fine del secondo set, l’azzurro si porta la racchetta al petto e chiede l’intervento dei medici. Gli mettono una mano sul petto, gli massaggiano l’addome. Baez, intanto saltella a bordo campo. Nel terzo, almeno la partita è più equilibrata. Musetti guadagna un più di campo, è più incisivo al servizio e trascina il parziale al tiebreak. La tensione continua a dominarlo, anche sul 4-1 in suo favore, ma riesce comunque ad andare al quarto. Ha lo sguardo diverso, risponde ancora tanto indietro, e non aiuta, ma è più rapido quando c’è da riguadagnare il campo. Il tiebreak del quarto set, però, riassume tutti i precedenti errori e complica la strada dell’azzurro verso le semifinali.
A Milano brilla Alcaraz (Roberto Bertellino, Tuttosport)
Il più atteso e favorito n. 1 per la vittoria finale, lo spagnolo Carlos Alcaraz Garfia, n° 32 ATP, ha esordito con una rotonda affermazione alle Intesa San Paolo Next Gen ATP Finals di Milano. In un’ora e 15 minuti ha superato l’ambizioso danese Holger Rune, fresco di quarto titolo Challenger stagionale, chiudendo in tre set secchi. Grande personalità e tennis completo per l’allievo dell’ex n° 1 del mondo Juan Carlos Ferrero, regolarmente in tribuna, con un crescendo di rendimento. Dopo un primo set lottato e vinto al tiebreak per 8 punti a 6, Alcaraz ha rotto gli indugi nel secondo e nel terzo, con 7 game di fila messi in tasca nella volata finale. «Sono molto felice di essere qui. Sapevo che avrei dovuto dare il meglio contro Rune, in fiducia per la vittoria a Bergamo e l’ho fatto». Nel confronto che ha aperto il programma. invece, successo dell’americano Brandon Nakashima sull’argentino Juan Manuel Cerundolo. Pronostici rispettati con il tennista USA che è partito in bello stile, si è visto ripreso dal rivale nella 2° frazione, ma nella 3° e nella 4° ha alzato il ritmo senza concedere ulteriori chance al sudamericano, apparso in molti frangenti poco avvezzo al tennis sul veloce: «Molto divertente e grande atmosfera – ha detto l’americano al termine – spero di ripetermi nelle prossime giornate. Bisogna rimanere concentrati su tutti i punti con questa forrmula, senza vantaggi». […]
Medvedev, Rublev e gli altri. Le Finals hanno cuore russo (Stefano Semeraro, La Stampa)
Le Atp Finals sono italiane, ma con un grande cuore russo. Degli otto maestri in gara due, Daniil Medvedev e Andrey Rublev, vengono da Mosca, e la russitudine è comunque forte in Sascha Zverev – nato ad Amburgo da genitori entrambi ex sovietici e in Stefanos Tsitsipas: anche sua madre Julia Salnikova, discreta tennista da ragazza, viene da laggiù. Una piccola orda di Cosacchi, integrali o occulti, che deve molto del proprio successo alle donne. Spesso alle mamme. Rublev ad esempio ha impugnato per la la prima volta la racchetta a tre anni. A mettergliela in mano è stata Marina Marenko, poi signora Rubleva, che fra gli anni 80 e 90 ha allenato Anna Kournikova e ha poi seguito la ex n.20 Wta Daria Gavrilova e la vincitrice di Wimbledon U.18 Irina Khromacheva. Anche la prima coach di Medvedev, il n. 2 Atp, è stata una donna, Irina Krychova, allenatrice prima di lui di un’altra n.2 del mondo, Vera Zvonareva. Che mamma Rauza sia stata la prima maestra di Safin e di sua sorella Dinara è cosa nota a tutti gli appassionati. Meno che senza la generosità di zia Alla il futuro di Tsitsipas sarebbe stato a rischio: «Il tennis costava molto – dice Julia – mio marito aveva lasciato il lavoro per seguire Stefanos, se non fosse stato per l’aiuto economico di mia sorella non so cosa sarebbe successo». Ex tennista e allenatrice è anche Tessa Shapovalova, la mamma di Denis Shapovalov, che a Torino potrebbe approdare in futuro. Ore e ore passate a palleggiare all’alba o a sera tarda con il pupo, sotto palloni poco riscaldati negli inverni del grande Nord, e trovando di persona i fondi per alimentare la speranza di un futuro da campione. «Se si vogliono ottenere risultati, bisogna far rigare diritto anche i più motivati», dice mamma Rublev. Eccolo, il segreto della fabbrica russa dei tennisti: la disciplina. Avvolta nell’amore inesauribile e inflessibile di mammà.