Galeazzi, l’urlo che arrivava al cuore (Massimiliano Gallo, Il Corriere dello Sport)
Scudetto è quando Galeazzi ti prende sottobraccio. Negli anni Ottanta era lui a certificare la vittoria del campionato. Ben prima del tricolore sulla maglia. L’arbitro fischiava la fine e Galeazzi aveva già catturato la sua preda. Che fosse Bagnoli, Bianchi, Liedhoim, Trapattoni. Poco importa. […] Con quel tono di voce rauco e quell’enfasi che lo hanno reso un marchio inconfondibile. Giampiero Galeazzi aveva un rapporto fisico con la notizia. La pedinava. Non la lasciava mai. E la confezionava come meglio non si poteva. Dove c’è la notizia, c’è Galeazzi. C’è però una differenza importante rispetto a tanti tallonatori col microfono arrivati negli anni successivi. Galeazzi non appariva mai molesto. Non era un persecutore. Anzi. Gli interlocutori gli sorridevano, lo attendevano. Anche perché sapevano che essere intervistati da lui significava o aver vinto lo scudetto o comunque la certificazione di essere il personaggio della giornata Si finiva alla Domenica Sportiva che era la Cassazione del calcio italiano. Non si poteva fare brutta figura. E i personaggi si prestavano. Tùtti. Dino Vola confezionava perle ermetiche intervallate da pause craxiane. L’Avvocato le solite battute fulminanti. Maradona nello spogliatoio di Napoli gli regalò una straordinaria interpretazione da showman nel giorno del primo scudetto.[…] Non a caso Mara Venier lo volle a Domenica In, creando scandalo nella categoria. Se n’è andato ieri, a 75 anni. E non è retorico dire che simboleggiava un giornalismo e un mondo che non esistono più. Sono dati di fatto. Non c’era Internet. II massimo dell’aggiornamento in tempo reale era Televideo, con i risultati che lampeggiavano per far capire che la partita era in corso. Imperava, di fatto, il monopolio Rai. O apparivi lì, o non eri nessuno. Non c’erano le pay tv. Né i cartelloni zeppi di sponsor per le interviste. Si facevano dove capitava, spesso in corridoi affollati. Galeazzi catturava il personaggio e via. La grande forza di quel giornalismo è che sembrava improvvisato, quasi dilettantesco. Poi, però, ti ritrovavi la dichiarazione di Maradona o Trapattoni che tenevano banco tutta la settimana. . Eppure l’intervista calcistica più impossibile non regge il confronto con quello che è stato l’impareggiabile risultato professionale di Galeazzi: aver reso popolare il canottaggio. Aver inchiodato gli italiani davanti alle tv per uno sport che definire spettacolare è un esercizio spericolato. Non è semplice stabilire se si guardava le gare per i fratelli Abbagnale o per le sue telecronache. Erano un tuttuno. Come per De Zan e il cidismo, Paolo Rosi e l’atletica. Ma col canottaggio è più complesso. Era lui a tenere viva l’attenzione per i duemila metri della gara. Era riuscito a creare un rapporto simbiotico tra la performance dei fratelloni stabiesi e la sua voce. Sembravano che stessero compiendo lo stesso sforzo. «Trentotto colpi al minuto», gridava alla Adriano Pappalardo (altro cantante anni Ottanta). E non sapevi se essere più preoccupato per la sorte sua o degli azzurri. Senza Galeazzi, la leggenda degli Abbagnale non sarebbe stata la stessa. Nonostante la loro straordinaria serie di vittorie. Perché Galeazzi decorava l’evento sportivo, lo arricchiva. Non lo subiva passivamente. Incredibili a dirsi, il suo terzo sport era il tennis. L’Esatto contrario di canottaggio e calcio. La disciplina dei fighetti, per quanto Panatta lo avesse reso popolare. E anche lì Bisteccone – era l’inconfondibile soprannome – non rinunciò al suo stile. Anche perché se non ci pensava lui a rivitalizzare i telespettatori, diventava dura. Canè non era né Berrettini né Sinner I suoi punti erano sensibilmente più rari. E allora Galeazzi si arrangiava come meglio poteva: conia il “turborovescio” e quando il tennista imbroccava un gran colpo, chiosava: «E questo è Cané». Purtroppo, mormoravano da casa. Ma si rimaneva lì incollati ad aspettare quel momento. Galeazzii ha abbattuto barriere, ha reso umani e accessibili i protagonisti dello sport italiano. In fin dei conti, è semplice descriverlo con poche parole: era un grande giornalista
Grazie, Giampiero. Che emozioni con le tue urla (Walter Veltroni, La Gazzetta dello Sport)
Si, certo, è rimasta nelle orecchie di tutti gli sportivi la sua formula «E ora andiamo a vincere». […] Ma Giampiero Galeazzi è stato in primo luogo, e così voglio ricordarlo, un grande giornalista, uno spettacolare cronista, un carismatico telecronista. Le tre dimensioni non si riassumono in una sola. Sono tre specialismi, difficilmente rintracciabili in un’unica persona. Emozione e competenza Il giornalismo sportivo, considerato spesso una specie di Cenerentola della nobile arte, ha sempre prodotto dei talenti capaci di saldare notizia e passione, approfondimento e partecipazione emotiva, enfasi e senso dell’umorismo. […] Lo sport è un mondo narrativo a parte che richiede di saper dosare, come in un sapiente miscelatore, caldo e freddo, sapere e commozione. Il ricordo che io ho di Galeazzi è il suo sudore, il magnifico sudore di chi fatica, di chi partecipa. Il sudore che gli imperlava volto e abiti quando, inesorabilmente per primo, intervistava, beccandolo «a caldo» – definizione non casuale il vincitore di uno scudetto o di una medaglia. O anche quando, bagnato d’acqua lanciata da altri, lo si trovava in uno spogliatoio festante, magari con l’idea di passare al Maradona di turno il microfono che cattura le voci e l’esplosione di gioia di un momento. Il giornalista Galeazzi, come il cronista Galeazzi, come il telecronista Galeazzi credo potrebbe far scrivere come suo epitaffio: «Non fu mai banale». Gigante Per questo, non certo perché era alto e grande come Bud Spencer, si è stagliato nel panorama dell’informazione televisiva. [..]. Ha partecipato a trasmissioni di successo anche non sportive come Domenica In, senza rinunciare ad essere personaggio ma sempre salvaguardando la sua identità e dignità di giornalista. Ha, come Mike Bongiorno, giocato con le parole. Una volta a Giancarlo Dotto, che gli ricordava come in una telecronaca di tennis avesse detto: «questo rovescio di Lendl è una bomba al nepal», rispose: «Un’altra volta me scappò “roulotte russa”, ma sai che per anni ho trasmesso otto ore di tennis al giorno». Ha vissuto con ironia le imitazioni che la sua simpatia alimentava, Nicola Savino ne sa qualcosa. Talvolta era eccessivo, tonitruante, e sembrava voler inseguire, anche con il tono e le parole, il suo aspetto. Aveva poi quel distacco, diverso dal cinismo, che è parte del Dna di chi è nato, cresciuto ed ha vissuto nella capitale d’Italia. La sua generazione è stata una fucina di grandi raccontatori dello sport radiofonico e televisivo. Noi abbiamo nella memoria, indelebili, delle voci, senza le quali gli eventi non erano riconoscibili: una corsa ciclistica senza Adriano De Zan, l’atletica senza Paolo Rosi, il tennis senza Bellani e poi Oddo, l’ippica senza Giubilo, Benvenuti-Griffith senza Paolo Valenti. E il canottaggio senza Galeazzi? Potrei continuare, nessuno si senta offeso. Maestri Era il tempo di Martellini, di Ciotti, di Ameri, di quel genio di Beppe Viola, del meraviglioso giornalismo, un giorno gli verrà pienamente riconosciuto, di Gianni Minà. Era il tempo di Novantesimo minuto, con la galleria di cronisti che in qualche modo erano fortemente caratterizzati. Gli spettatori si affezionavano a Tonino Carino, Cesare Castellotti, Marcello Giannini, Ferruccio Gard, Giorgio Bubba, Piero Pasini, Emanuele Giacoia, Luigi Necco. Provate a chiedere ad un coevo di quella mitica trasmissione di abbinare squadra e città a questi nomi e agli altri, non men degni; vedrete che nessuno sbaglierà. Durante uno dei collegamenti di quel programma fu proprio Galeazzi a dare per primo, da cronista di vaglia, la notizia sconvolgente degli arresti per il calcioscommesse del 1980. La raccontò agli sportivi atterriti dalla vista delle macchine della polizia in campo negli stadi usando la necessaria, deontologica, prudenza ma senza risparmiare nessuna informazione. Simpatia Galeazzi ha combattuto negli ultimi anni con un fisico che lo torturava. E credo abbia sofferto molto. Gli italiani gli hanno voluto bene. Lo ricordano con il rispetto che si deve a un vero giornalista, cronista, telecronista. E lo ricordano con un sentimento che forse lui non si sarebbe aspettato, grande e grosso com’era. Lo ricordano con dolcezza, come una voce emozionante e simpatica del proprio vissuto
“Da Diego a Jacobs, tutti i miei mitici” (Giancarlo Dotto, Il Corriere dello Sport)
Immenso Giampiero, in tutti i sensi possibili. Amavo quest’uomo. I suoi racconti. Le sue sintesi folgoranti. ..Dovevo anda’ alla Doxa, invece finii alla Fiat, a Torino, come atleta. Qualche mese, poi er ghiaccio, er gelo, scappai a Roma. Me volevano manna’ in Sudamerica. Me sarvò che i tupamaros ammaazzarono dodici dirigenti della Fiat. Lo dissi a mio madre: vedi che succede da quelle parti? E così rimasi a Roma a fa’ er vitellone». Ho cominciato ad amarlo quel giorno, 14 anni fa, il Vitellone, nel frattempo diventato Bisteccone. Canottieri Roma, la sua seconda casa di sempre. Lui, al tramonto, incastrato in una poltrona di vimini, la voce inconfondibile, appena ammorbidita dai languori che salivano dal presentimento della cena, un’immagine lirica come poche. Nessuno mi dava pace e nessuno mi faceva ridere come lui. La penultima volta, lo scorso agosto al telefono, lui steso sul divano a non perdersi un frammento di Tokyo: «Piovono medaglie. Qui ce vo’ l’elmetto!». L’ultima volta, nemmeno due mesi fa, a casa sua. Lui, enorme, nudo, come un imperatore bambino, che tramava e tremava sotto un lenzuolo bianco per via del Parkinson. Mi aveva chiamato. «Dobbiamo scrivere un libro insieme». Non era tanto la sua vita che voleva raccontare, ma il mondo, di quanto era cambiato e di come non sarebbe mai più tornato lo stesso, quel suo piccolo mondo antico che gli era rimasto nelle vene e nei forzieri di una memoria lucidissima. Aveva già il titolo in testa. «Quando giocavo a piazza di Spagna». Della vecchina a via Vittoria che vendeva i pennini del calamaio, tre pennini cinque lire». Lo ascoltavo e sentivo di volergli bene. Quel delicato omone. 75 anni e non un solo giorno sprecato a contemplare ciò che era possibile vivere. Quel libro. Non c’è stato tempo. […] Come te Ia passi Giampiero? «Sto a pezzi, sto qui piegato in due sul divano, dopo la fisioterapia…». Vuoi che rinviamo? «Ma no, famola adesso, che poi devo stare con mio figlio…». Li stai seguendo questi Giochi? Sai stare a letto tutto questo tempo. Ho difficoltà serie di deambulazione. Cammino a fatica. A giorni vado, altri no». Come li stai vivendo? «Sono partiti a fari spenti con questo Covid. Mettiamoci al posto degli ‘atleti. L’incertezza. Li fanno o no? Molto duro, dal punto di vista psicologico e della preparazione. Pensavo che’ li rimandassero. I giapponesi non li volevano». Giusto non rimandarli? «Sarebbe stato meglio evitare tutto questo gigantismo. Se ne poteva fare a meno di tutte queste discipline da esibizione, lo skateboard, il surf, l’arrampicata. Hanno portato 340 persone. Sai quanti eravamo noi in Messico?» No. «Quasi la metà, 180. No, non mi sarei allargato così, viste le circostanze…». Sei andato come riserva del canottaggio. «Amo lo sport e lo odio per questo motivo. E stata la più grande delusione della mia vita. Meritavo di essere titolare». Ti brucia ancora? «Mi brucia più di prima. Se ci penso divento idrofobo. Una delle più grandi ingiustizie sportive di sempre. Fosse stato oggi sarei andato in automatico e m’avrebbero portato le valigie. C’era un discorso politico sotto, il rapporto tra società e Coni. Se fossi stato dell’Aniene sarei andato con la tromba». Tanti, forse troppi, a Tokyo, ma vincenti. E che vittorie! «La vittoria di Jacobs sui 100 metri è tecnicamente la sorpresa maggiore. Un italiano sul podio più alto. Inimmaginabile. M’ha emozionato Tamberi. S’è portato il gambale dell’operazione come un totem e se l’è messo vicino all’asticella. Roba da pazzi. Solo l’assurdità dello sport può questo. Recuperi e vittorie miracolistiche». Mai visto Giovanni Malagò così commosso. «È un combattente, un uomo che non s’è mai tirato indietro. S’è messo sulle spalle tutto il mondo sportivo, contro i politici che non lo possono vedere». Malagò, bravo e fortunato. «C’ha un culo grande così, ma se lo merita tutto». Vuole vincere ancora, è insaziabile. «Ha imparato da Agnelli e da Montezemolo». Che altro ti ha emozionato? «Le medaglie di Paltrinieri e l’oro delle ragazze del canottaggio femminile. Queste due ragazzine di Varese hanno sfondato ogni pronostico. Hanno fatto una cosa straordinaria. Erano quarte ai 200 metri…». Giampiero telecronista a Tokyo: Cosa ti sarebbe piaciuto raccontare, canottaggio a parte? «Famme pensa’…Io ho cambiato lo stile d’interpretare il racconto dello sport. l’atletica leggera non è nelle mie tonde. Mi sarebbe piaciuto raccontare i tornei oscuri che nessuno guarda, quelli sulle pedane, i tappeti, la lotta, queste cose qua». Il tennis? «Il tennis non fa parte delle Olimpiadi Iasciatelo a Wimbledon, Roland Garros. Quello è il suo mondo, la sua liturgia. Il tennis all’Olimpiade è uno sport clandestino. Più emozionato per i due ori in sequenza dell’atletica o la vittoria della Nazionale agli Europei? «I due ori dell’atletica, senza dubbio alcuno». Insinuazioni malevoli sulla vittoria di Jacobs. «Quello che ci hanno fatto gli inglesi dopo il calcio era roba da chiudere le ambasciate. Hanno rifiutato le medaglie, ci hanno sputato in faccia. Noi italiani non siamo molto amati all’estero per la brutta nomea. Hai visto Cuomo?». Cuomo, il sindaco di New York? «Lo stanno massacrando solo perché è italiano. Non contano nulla tutte le cose grandiose che ha fatto, prima da governatore, poi da sindaco’. Insomma, solo invidia e maldicenza su Jacobs? «Non credo proprio che sia dopato. Questi poi stanno sempre sotto osservazione. Stiamo parlando di un italo-americano, un Dna speciale. Ha vinto con una spontaneità impressionante. Noi, se togli Berruti e Mennea, certi ori dell’atletica li abbiamo sempre visti dal buco della serratura». Come ti sembra la copertura Rai dei Giochi? «Abbiamo una buona scuola di base. Abbiamo sempre fatto bene alle Olimpiadi. ll Migliore? Bragagna con l’atletica. Bene anche il nuoto. In altri sport ci siamo arrangiati con i tecnici, cui manca però il senso del racconto, cioè tutto. Mi sono piaciute le donne a Tokyo, nei commenti e nelle cronache». Guardi al passato? «Mai guardato al passato. Non ero mai stanco. Una furia. Adesso mi sono fermato. Tomo indietro con la mente». E? «Mi pesa il distacco dall’ambiente lavorativo. Mi manca quella cosa lì. Prima sei un ufficiale a cavallo, poi non sei nemmeno un fante pedestre». Maradona era un tuo amico. La sua morte? «Era finito in brutte mani. Sfruttato da tutto l’ambiente, parenti e amici. Anche i medici. Si sono buttati addosso come le cavallette per aiutarlo, invece l’hanno ammazzato». Hai avuto dalla Rai quello che meritavi? «Mamma Rai ti dà e ti leva. Io sono stato fortunato perché a un certo punto ero come Baudo e Martellini messi insieme. Spettacolo e sport. Ho spinto troppo. Dovevo fermarmi prima e pensare un po’ alla carriera». Invidia suscitata? M’hanno fatto veramente di tutto. Puoi immaginare…». La più difficile da sopportare? «M’hanno tolto il canottaggio due anni prima di andare in pensione. Un dispiacere enorme. Diceva Lello Bersani: tutto è permesso in Rai fuor che il successo. Ho pagato questo. Andavo tra la gente e sembravo l’apostolo. Sempre dritto come un treno, mai fregato niente dei detrattori. Trovo solo ingiusto che alcuni devono andare in pensione a una certa età e altri invece…». Un esempio? «Bruno Vespa. Direttore megagalattico, per carità, ma non c’entra. Lo stesso Marzullo». Ha annunciato l’addio anche Paola Ferrari. Ne sentirai la mancanza? «Non molto. Ci ho lavorato parecchio insieme. Ultimamente era molto migliorata. È sempre stata troppo invadente, Monopolizza lo spazio, ha prevaricato íÍ suo ruolo. Prima non si preparava, ora aveva imparato a farlo. Il tuo erede? «Mah, dicono tutti questo Pardo. È intelligente, bravo, ma fa troppe cose, lo vedo ovunque, così si perde… Sentiamoci domani, respiro male». Come va la gamba? «Sto cercando di recuperare dopo l’operazione a Bologna di cinque anni fa. La protesi al ginocchio ha portato a mille tutte le mie problematiche, la pressione sanguigna alta, la glicemia-alta, il diabete, l’aritmia cardiaca». Hai vissuto troppo generosamente. «Il ginocchio è la mia croce, me lo so’ rotto a 25 anni. Me l’aveva detto Greco, il mitico massaggiatore del Coni: “Non te fa’ tocca mai… sfiammi, fai ginnastica, creme, massaggi”». Tornassi indietro? «Non mi opererei di certo. Non mi fossi operato, oggi sarei salvo, pigliavo il bastone e chi se ne frega. M’ha dato più problemi che vantaggi questa protesi. E poi, ho fatto troppo sport…». Lo sport fa male a certi livelli. «Non c’è dubbio. Pensavo che facendo più sport avrei tenuto al riparo la muscolatura, la circolazione. Sbagliavo. Devi preservare il tuo equilibrio interno». Esempio? «Se fai il tennis non puoi fare il sollevamento pesi. Fa male assommare le cose. Io giocavo a pallone, a tennis, remavo, facevo la pallavolo, adesso il risultato è che sto piegato in due e sto respirando male». Eccessi dl cibo. «Tu sai benissimo com’era la nostra vita in giro per il mondo. Tornando indietro, starei più attento non tanto al mangiare, ma a prendere più spazio perla mia vita privata. per me e per la mia famiglia. Facevo tutto, andavo dovunque, mondiali calcio, tennis, motonautica, ciclismo’. Sei migliorato con II peso? «Un po’ so’ sceso. Oggi sto sui 150 chili. Questo non m’aiuta». La vita merita di essere vissuta? «Assolutamente sì, sempre». Spiegandoia a un ragazzo che non la pensa cosi? «Dietro ogni ostacolo che affronti, scopri cose nuove di te, nuove energie, nuova vita, senza mai spegnerti, sempre all’attacco». Campioni che si ostinano. Ha annunciato l’addio Valentino Rossi. «I grandi campiono sono immortali. Alcuni soffrono la mancanza di cultura, la scarsa capacità di adattamento. Guarda Totti, immenso in campo, il più grande calciatore italiano, ma fuori dal campo lo vedo in difficoltà». Il più grande sportivo mai raccontato? ‘Maradona, senza dubbio. Di Federer ho fatto in tempo a raccontare solo gli inizi». Il più grande telecronista Italiano di sempre? «Paolo Rosi è stato il primo telecronista moderno. Ma il più grande di tutti è stato quello della televisione svizzera… adesso m’è passato di mente il nome». Quando sei solo, il tempo che passa, gli acciacchi che aumentano e, hai paura di quello che ci sarà o non ci sarà dopo? «Non ancora. M’affaccio al balcone tranquillamente. Non mi butto di sotto». Quando devi dire grazie a qualcuno. «A mia moglie Laura che per trent’anni ho visto poco per la mia vita esagerata, ma ha tenuto da sola in piedi la famiglia». ATTO SECONDO Mi parla questa volta dalla terrazza di casa. Su una sedia di legno. In bermuda e dentro una canotta extralarge. Tre x. Prende il sole. Di ottimo umore. La voce è tornata bella e potente. Quella di sempre. Mi chiama. «Aho’, qui dovemo cambia’ tutta l’intervista». Perché, che è successo? «Ma come, non lo sai? Ma che stavi su Marte? Avemo appena vinto anche l’oro nella 4×100 uomini. Una pazzia. È come ave’ vinto la guerra». Tornavo da Marte. Dici sul serio? Non ci credo. «Incredibile. Qui piovono medaglie da tutte le parti. Tocca mettese l’elmetto… Richiamami domattina alle 10 che dovemo cambia’ tutto». ATTO TERZO La voce è tornata debole. Parla a fatica dl prima mattina dal letto dl casa. «Ho dormito male. Non riuscivo a respirare bene». Sono le notti difficili di ‘chi ha troppa vita alle spalle e troppa carne addosso. (qualcosa tra un grugnito e un sospiro) Tomando all’ultima follia di questi Giochi, l’oro della 4×100. «Ci ho ripensato. l’immnagine più bella dei Giochi? La corsa in ottava corsia di Filippo Tortu. Lui li era al bivio della sua storia di atleta: se perdeva era la fine per lui. Ha vinto contro tutti, ha vinto pure contro Jacobs… Ho rivisto il Mennea di Mosca, la corsia era la stessa». Ha vinto contro Jacobs? «Jacobs l’aveva cancellato, l’aveva sportivamente ammazzato. E mi sa che tra i due c’è pure un po’ di freddo, non si prendono tanto. L’ho capito dalle interviste dopo l’oro. Filippo era un po’ sulle sue quando gli chiedevano di Jacobs…». C’è stata poi la rosicante replica della vittoria sugli inglesi. «Lì per lì non c’ho pensato. Era un’impresa di portata mondiale. Poi ch’ho pensato e ho concluso che noi siamo veramente superiori agli inglesi… E comunque, mi raccomando, scrivi della frazione di Filippo lbrtu. Tutto il resto è noia». Il tuo podio finale? «Sul gradino più alto ci metto l’oro sui centri metri, al secondo la staffetta 4×100, al terzo ex aequo Tamberi e le due ragazze del canottaggio. Se resta uno strapuntino, gli ori della marcia». Chi t’ha messo il nome “Bisteccone”? «Gilberto Evangelisti. Al nord sarebbe considerata un’offesa, ma da noi è affettuoso». Tornerai in tivù? «La mia amica Mara m’aveva proposto una rubrica tipo “La posta degli innamorati”, ma le ho detto di no, non c’ho più lo spirito pe fa’ ‘ste cose. Io e lei eravamo una bomba in tivù. Funzionavamo sul piano fisico…». S’è fatta pienotta anche lei. «A Mara je piace magna’, cucina bene, io ne so qualcosa. Sai, il fatto di abitare da tanti anni a Campo de Fiori aiuta, la pasta la fa bene». Stavolta ci salutiamo davvero… «Ah no, aspetta, me so’ ricordato il nome del telecronista più grande di sempre. Giuseppe Albertini, quello della televisione svizzera. Nessuno come lui»
“Il mio Giampiero, tra partite, scherzi e cene avventurose” (Andrea Sorrentino, Il Messaggero)
C’è ancora la tv in bianco e nero quando Giampiero Galeazzi inizia a diventare il Bisteccone nazionale. E’ il 30 maggio 1976, Adriano Panatta ha appena battuto Guillermo Vilas nella finale degli Internazionali d’italia e in campo è soffocato dagli abbracci di Mario Belardinelli e di un nugolo di affezionati. Galeazzi piomba lì nel mucchio, telecamera al seguito, e tagliando fuori anche Gianni Minà, che sta cercando di parlare con Panatta, si prende il vincitore tutto per lui, gli rivolge le classiche domande a caldo a cui il protagonista risponde confusamente, ancora provato, ma sono emozioni autentiche, le più spontanee. […] SODALIZIO Ma quello con Panatta sarà un sodalizio che andrà oltre, perché oltre a seguire la squadra azzurra in Coppa Davis (ma non nella vittoria in Cile: all’epoca la Rai inviò solo giornalisti della radio, nessuno della tv) anche quando Adriano ne sarà il capitano non giocatore, Galeazzi formerà con lui una coppia affiatatissima di telecronisti, agli Internazionali d’Italia come a Wimbledon, per molti anni. […] Panatta ora ricorda: «Erano telecronache forse meno tecniche e schematiche di quelle di oggi, sicuramente molto più umane, come era lui. Giampiero era la parte professionale della coppia, perché si documentava in modo pazzesco, era preparatissimo e sapeva tutto già prima di arrivare in postazione. Io a volte lo facevo sbagliare apposta: quando si avventurava in qualche disquisizione tecnica, lo contraddicevo per vedere come andava a finire, lui allora cambiava versione perché era bravissimo a parlare… poi quando non ci sentiva nessuno gli spiegavo lo scherzo, e giù risate. Eravamo molto amici. Con lui ho soltanto ricordi allegri e divertenti. Trasferte in tutto il mondo, mangiate avventurose, risate, tanto tennis visto e vissuto insieme, un sacco di prese in giro tra noi. Gli volevo bene. Sapevo che negli ultimi tempi la sua salute andava declinando, ci sentivamo spesso». VITA INSIEME Anche Nicola Pietrangeli era legatissimo a Giampiero Galeazzi. Uniti dal tennis, certo, per via delle imprese dell’Italia in Coppa Davis, ma anche dalla comune passione per la Lazio, e per l’appartenenza al Circolo Canottieri Roma, che ieri ha tributato a Galeazzi un saluto con i suoi canottieri, a remo alzato nell’acqua e al grido di “Galeazzi, hip hip hurrà”. Pietrangeli si trova in questi giorni a Milano per assistere alle Next Gen Finals. E’ molto scosso per la notizia della morte dell’amico, non ha voglia di lanciarsi in discorsi particolari: «Lo conoscevo da quando era ragazzino, capitemi… l’ho seguito fin dai suoi primi passi nel mondo del giornalismo, poi ci siamo visti per una vita. In casi simili, scusatemi, ma c’è veramente poco da aggiungere, da dire. In certi casi resta solo il silenzio, l’assenza di parole, perché non servirebbero a niente. Abbiate pazienza». Due anni e mezzo fa, il 18 maggio del 2019, nel giorno del compleanno di Giampiero Galeazzi e nell’anno del centenario del Canottieri Roma, il Circolo aveva intitolato a Giampiero e a suo padre Rino (che era stato allenatore dei canottieri), il galleggiante, ossia il quartier generale. Alla cerimonia aveva assistito anche Nicola Pietrangeli, e Galeazzi aveva partecipato da par suo, arrivando a bordo di un battello.
Berrettini: “Vedrete un giocatore diverso” (Filippo Bonsignore, Il Corriere dello Sport)
[…] Matteo Berrettini ci ha preso gusto e non vuole fermarsi. La finale di Wimbledon ormai è storia, e che storia. È la vetta più alta (finora) della sua carriera, mai raggiunta da nessun tennista italiano. Ora c’è un’altra sfida da vincere, una sfida che, grazie alla sua straordinaria ascesa, sta diventando una consuetudine: si chiama Atp Finals, il torneo che elegge il Maestro tra i migliori otto del circuito. il numero uno azzurro è alla seconda partecipazione in tre anni (Io scorso era prima riserva) ma stavolta è molto diverso. Perché è un altro Matteo, quello che sbarcato sotto la Mole a caccia del colpo grosso: un giocatore cresciuto in risultati, costanza di rendimento, tecnica, mentalità, consapevolezza. […] «Significa molto per me essere a Torino, poter giocare questo torneo così importante in Italia è incredibile. Me lo sono guadagnato e sono molto felice. So che avrò il pubblicò dalla mia parte». MONTAGNA. Berrettini vuole sfruttare tutta l’energia dei fan per scalare la montagna di un girone tutt’altro che semplice. Certo, essendo un torneo che mette di fronte l’élite mondiale, non sarebbe stato in ogni caso agevole, ma il sorteggio non è stato particolarmente favorevole. L’incrocioo immediato con Djokovic (il serbo si è allenato ieri proprio con il romano) è stato evitato, però il gruppo Rosso comprende comunque il numero due al mondo, Daniil Medvedev, che lui definisce sorridendo «gommoso»; «l’imprevedibile» Hubert Hurkacz, «il solido» Alexander Zverev. Sarà il tedesco, numero due del ranking, il primo ostacolo domani sera. Nei precedenti quattro incroci l’azzurro ha vinto una sola volta, agli Internazionali di Roma. «Sarà dura, ma non è che contro Medvedev o Hurkacz sia meno complicato. Tutti sono forti a questo livello. Zverev quest’anno ha vinto tantissimo, su tutte le superfici, ha già vinto le Finals, nonostante sia più giovane di me, e sa già cosa aspettarsi. Sarà una bella lotta; l’importante è essere carichi e pronti». NUOVO MATTEO. Berrettini è carico. Eppure, rispetto a due anni fa, è anche un uomo più consapevole dei propri mezzi e delle proprie qualità, forte del percorso compiuto. «Rispetto al 2019, sono un giocatore e una persona diversa, con tanta esperienza in più nel Tour Anche la qualificazione è arrivata in maniera diversa: due anni la centrai per poco, quasi non me l’aspettavo. Andare a Londra è stata quasi una festa. Ora invece arrivo a Torino con tante aspettative, dunque l’approccio ai match e al torneo sarà diverso. Le partire saranno tutte dure, si giocheranno su pochi punti, per questo spero che la spinta della gente di casa faccia la differenza». Pressione? Si, ma con modera zione. «La sento, certo, ma è una pressione positiva. Non vedo l’ora di giocare, anche se dall’altra parte troverò i migliori del mondo. Del resto, pure io sono uno di loro…». Consapevolezza, appunto. Per pochissimo, gli italiani avrebbero potuto anche essere due, visto che Sinner è rimasto fuori dai “magnifici 8” per una manciata di punti, anche se sarà comunque a Torino come prima riserva. «Ho sperato tanto che ci fosse anche lui. Con Jannik ho un ottimo rapporto, ci stimoliamo a vicenda a fare meglio. Ha cinque anni in meno di me, ha vissuto un anno straordinario e sono sicuro che avrà molto presto l’occasione di giocare le Finals. Mi farà da sparring? Potremmo allenarci insieme: non voglio usarlo, sia chiaro (ride, ndr)! Io l’ho fatto l’anno scorso a Londra e, se presa nel modo giusto, è un’esperienza formativa». Berrettini applaude anche Torino: «Provo buone sensazioni stando qui: l’Italia meritava questo evento e l’organizzazione è perfetta. L’energia che mi arriva è ancora più alta rispetto a quella che sentono gli altri»
I magnifici 8 (Piero Guerrini, Tuttosport)
Chissà se Matteo Berrettini ha pensato a Dickens e al suo romanzo “Great Expections’ Anche se iltema era diverso, Matteo lo dice chiaramente, «Le aspettative sono alte». Come le speranze. Le sue, quelle di una cittä in piena frenesia per la prima volta delle Nitto Atp Finals. Le foto della passeggiata per i portici di via Roma degli otto finalisti è il miglior spot per Torino nel mondo. Forse più dei Giochi 2006, visto che il tennis è fenomeno planetario. E l’attesa è così febbrile, quasi ansiosa, proprio perché c’è anche Matteo tra i magnifici otto. Lo dice persino Novak Djokovic uno che se ne intende e che qui punta a un altro record: agganciare sua meraviglia Roger Federer in vetta con sei titoli: «Il tennis italiano sta esplodendo a livello maschile, con Berrettini, Sinner Fognini vive un momento magico. Torino mi piace, tutto è organizzato bene e si avvertono vibrazioni positive. Tùttovogliono vedere Matteo, è importante, ancor più al primo anno, avereuno di casa alle Finals». Fatto è che i due si ritrovano ad allenarsi assieme nel pomeriggio, assaggiando il campo di riscaldamento e poi il campo di gioco al Pala Alpitour Abbracci, sorrisi, Djokovic che già si era espresso: «Un’altra finale con Berrettini? Perché no? lo comunque mi sento bene. È stato un buon allenamento, siamo amici, sono contento per lui che si giochi in Italia». ll serbo avrà un giorno in più per ambientarsi, il suo debutto contro CasperRuud è lunedì .Matteo invece va in scena già domani sera, con le telecameredi Sky e Rai accese. […] «La pressione c’è, ma è pressione buona. Giocare qui sarà bellissimo, il campo mi piace e so che avrò il pubblico dalla mia parte. Giocare qui significa tanto, all’inizio dell’anno era un obiettivo, ma era presto per pensarci. Ma partita dopo partita penso proprio di essermelo meritato» Ecco, c’è una consapevolezza diversa, rispetto al passato, per Berrettini. Ne12019 atterrò a Londra prendendo l’ultimo aereo, una rincorsa trionfale e faticosa. Adesso diverso e non soltanto per la clamorosa, storica finale raggiunta a Wimbledon. La sula spiegazione è precisa come di consueto: «So che sarà difficile, dall’altro lato della rete ci sono i migìiori del mondo. Io però sono tra questi, sono uno di loro». li martello adesso ha25 anni, nel 2019 di fatto era parte del del circuito maggiare da un anno o poco più. «Sono sicuramente un giocatore e un uomo diverso. La qualificazione a Londra era arrivata all’ultimo, inaspettata. Adesso ci pensavo a inizio anno. Anche l’approccio sarà differente». Matteo trova modo di definire con un aggettivo i tre rivali di un gruppo certamente più tosto dell’anno, non fosse altro che per le condizioni ancora dubbie di Stefanos Tsitsipas.«La cosa più importante è essere carichi e determinati». E non gli spiace cominciare con uno davvero forte come Sascha Zverev. Uno che ha già vinto le Finals esattamente come Daniil Medvedev, , il detentore che ieri per via Roma portava a spasso la coppa del maestri. «Zverev quest’anno ha vinto tantissimi tornei, ha già vinto questo torneo e sa cosa aspettarsi. Nella nostra storia le partite sona state sempre delle battaglie. Le Finals sono state belle a Londra, ma sono certo che qui diventeranno speciali. Tutto è organizzato bene e la città mi piace». Ecco allora gli aggettivi per i tre avversari: «Zverev solido, Hurkacz imprevedibile, Medvedev gommoso». Già, nel suo essere sgraziato, una sorta di serpente che si muove in modo sinuoso ma anche velocissimo. Matteo aspettava intanto Sinner, per allenarsi con lui «Lo userò un pò da sparring. L’esperienza lo aiuterà. Con Jannick ho un ottimo rapporto, è più giovane di me cinque anni, ci spingiamo l’un l’altro a fare sempre meglio. Quest’anno gli sono mancati pochi punti, ma ha avuto una stagione incredibile. E quanto appreso lo aiuterà nelle prossime. Sii qualificherà nei prossimi anni». PUBBLICO RIDOTTO la brutta notizia arriva però al capitolo covid. Il Comitato Tecnico Scientifico (Cts) ha cambiato idea. Non ha confermato né il giudizio sulle differenze di comportamento del pubblico del tennis rispetto a quello di altri sport, né l’intenzione espressa ufficialmente, di concedere una deroga che avrebbe consentito di riempire il Pala Alpitour al 75% della sua capienza massima. Resterà al 60%. La Fit comunica: «e davvero sorprendente come, dopo la reiterata presa d’atto di tale differenza e l’attenzione prestata alle sollecitazioni del sottosegretario Vezzali e del Dipartimento per lo Sport, il Cts abbia disconosciuto la somiglianza tra i comportamenti del pubblico del tennis e quello di cinema e teatri. E l’ inattesa retromarcia avrà purtroppo conseguenze negative per quanti avevano di recente acquistato biglietti, i posti a loro riservati sono diventati indisponibili. La Fit rimborserà integralmente, subito dopo la fine del torneo, coloro che non sono rientrati nel primo 60% di acquirenti«. E il presidente Binaghi aggiunge: «Come uomo delle istituzioni non posso che comprendere e accettare la decisione del Cts. In un momento in cui i contagi da coronavirus stanno risalendo ogni forma di prudenza è giustificata. Proprio per questo, però, mi aspetto che adesso il Cts rispetti quanta pensava in tema di equiparazione fra appassionati di tennis e spettatori di cinema e teatri e riduca immediatamente anche la loro capienza al 60%».
ATP Finals, ritorno al futuro? (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)
Benvenuti a Torino, benvenuti al Pala Alpitour delle Nitto ATP Finals coi primi 8 del mondo: da domani sarà conferma del passo avanti dei giovani o sarà nuovo record, il sesto trionfo al Super8 del numero 1 Novak Djokovic, l’aggancio di un altro primato di Roger Federer come coi 20 Slam, in coabitazione anche con Rafa Nadal? Nole I di Serbia di certo non s’accontenta dopo aver superato il Magnifico nelle settimane-record in testa alla classifica (345), dopo averlo surclassato al comando del ranking a fine anno (7, anche più del sestetto consecutivo di Pete Sampras), dopo aver sprintato nei Masters 1000 vinti (37 contro i 36 di Rafa) e dopo aver mancato il Grande Slam solo nella finale dell’ultimo Major. […] QUALITÀ I rivali, i giovani leoni Zverev, Tsitsipas e Medvedev, campioni delle ultime tre puntate delle Atp Finals riconoscono a Djokovic una qualità extra: la supremazia tecnico-tattica del tennis moderno, la capacità di chiudere tutti gli spazi, di annichilire, soffocare, dominare, cui ultimamente unisce anche una capacità offensiva per servizio e volée imparati dai coach Boris Becker e Goran Ivanisevic. Persino Sascha Zverev, il 24enne tedesco dalla arrogante potenza, che vuole tagliare il cordone ombelicale coi NextGen («Giovane è Alcaraz, non lo è più nemmeno Sinner») si inchina a super-Nole. Lo ha beffato all’Olimpiade ma ci ha perso nelle semifinali degli US Open e ora è 3-7 nei testa a testa: «Quando occorre, gioca il miglior tennis e dimostra perché è il numero 1: ha battuto tutti i record, è il più forte, nessuno può competere con lui, è il GOAT. Mentalmente è il più forte di sempre: ti tiene inchiodato per 35 scambi e non sbaglia più». PROCLAMA Il dio greco, Stefanos Tsitsipas, pur con tante frecce al proprio arco proclama: «Oggi esiste un solo Big 1: Djokovic. Ma Daniil, Alexander ed io gli stiamo subito dietro. E possiamo diventare i prossimi Big 3». Ha 23 anni, è 4 Atp, ma è sotto 6-2 nei testa a testa con Nole (0-5 gli ultimi) e piange ancora sui due ultimi Roland Garros. Potrebbe alzare di più la cresta il 25enne Daniil Medvedev che con Nole è 4-6 e l’ha sgambettato a settembre a New York, salendo al numero 2, ma ci ha appena perso in finale a Bercy. Invece? «Non puoi avere un’influenza mentale su Novak. Che onore, a Bercy ho perso bene, contro uno dei più forti della storia». SETTE ANNI DA NUMERO 1 Filosofia Djokovic: «Numero 1 per 7 anni, che sensazione incredibile superare il mio idolo da ragazzo, Pete Sampras, ne vado fiero. Essere numero 1 per tanto tempo è il massimo che un atleta possa sperare, ma non riesco a gustarmi i successi perché domani c’è già un altro obiettivo. E io amo battere i record. Voglio dimostrare che posso batterli tutti, è quello che mi anima. Anche se alle ATP Finals arrivo spesso un po’ usurato e non vinco dal 2015». Domani sarà? «Mi vedo allenatore: amo davvero lo sport, quando vinco, quando lo gioco coi miei bambini, quando lo guardo alla tv e quando cerco di trasmettere la esperienza e conoscenze ai futuri giocatori del Novak Tennis Centre. Sennò, a che servono? Me le porto nella tomba per dire: Ero il migliore?». I GRUPPI Novak guida il gruppo verde delle Finals con Tsitsipas, Rublev e *** Ruud, ma domani apre il gruppo rosso, alle 14 Medvedev-Hurkacz, alle 19 Zverev-Berrettini. «Quella del 2019 è stata un’esperienza formativa ma ci sono arrivato per il rotto della cuffia, ora sono una persona e un giocatore diverso. I miei compagni? Sasha: solido, Hubert imprevedibile, Daniil: gommoso». Benvenuti, dopo 51 anni, alle prime Atp Finals italiane solo col 60% di pubblico al Pala Alpitour: il comitato tecnico scientifico che indirizza l’azione del Governo sul Covid ha bocciato la deroga al 75%. La Fit rimborserà chi non rientra nel 60%.
Zverev lancia la sfida a Djokovic. “E non chiamateci più giovani” (Stefano Semeraro, La Stampa)
[…] Le Atp Finals più giovani degli ultimi 12 anni hanno un Patriarca che vuole tornare padrone: il 34enne numero 1 del mondo Novak Djokovic. Ma guai se a Sascha Zverev, che insieme a Daniil Medvedv, Stefanos Tsitsipas e Matteo Berrettini del Djoker è il più accreditato rivale, parlate di età. «Non sono giovane – dice Sasha, che le Finals le ha vinte quando era davvero implume, tre anni fa – Ho 24 anni, che non sono il mio concetto di gioventù. Giovane è uno come Alcaraz, che ne ha 18. Quest’anno ho vinto le Olimpiadi, Medvedev gli Us Open, due grandi tornei. Djokovic si è preso tre Slam, quindi è giusto che sia lui il numero 1, ma l’età dei top ten si sta abbassando e questo è un bene per il tennis». Sascha, numero 3 del mondo, è anche il primo avversario di Berrettini nel match serale di domani. «Matteo qui è il supereroe, ed è normale. Il nostro è il girone più difficile, perché Medvedev è il campione in carica e anche Hurkacz gioca bene sul veloce, alle Finals del resto non ci sono match facili. Io però ho giocato molto bene per tutta la stagione e non vedo l’ora di scendere in campo». Medvedev, anche lui, dopo essersi allenato con Djokovic ostenta sicurezza («devi allenarti con i migliori, se hai paura che palleggiando scoprano qualche tuo segreto, allora la vita diventa difficile… »), e ammette che l’unico soprannome che gradisce è “L’Orso”, «perché è il significato del mio cognome in russo». Tsitsipas invece confessa di avere male alla spalla («a Parigi era insopportabile, ora va meglio») e di essersi appassionato al minimalismo: «ho letto vari libri, e ho capito che a volte davvero less is more, meno è di più». Chissà se maturo è meglio
“Le Finals? La tempesta perfetta” (Xavier Jacobelli, Corriere dello Sport Speciale ATP Finals)
Le Atp Finals a Torino? «Una cosa mai vista. E a Torino la vedremo per cinque anni: pensi che soddisfazione!». Sorride Angelo Binaghi, 61 anni, cagliaritano, laureato in ingegneria, presidente federale dal 2001, il Re Mida del tennis italiana e del padel. […] Ne ha ben donde. Definisce con tre parole lo straordinario evento che trasforma Torino nella capitale mondiale della racchetta: «La Tempesta Perfetta. Le Finals sono la degna consacrazione tennistica di questo 2021, l’anno fra i più memorabili nell’intera storia dello sport italiano, scandito da risultati straordinari: dal calcio alle Olimpiadi, alle Paralimpiadi, al volley al nuoto e a tutti gli altri sport che si sono colorati d’azzurro. E, sopra ogni altra cosa, per noi della FIT, l’irresistibile progressione nella classifica ATP degli atleti italiani». Binaghi coniuga l’orgoglio dei dirigente sportivo per l’impresa che si è compiuta all’entusiasmo per il modo in cui è stata realizzata. Confida: «Ma lo sa che ancora non mi sembra vero? Pensare che tre anni fa, solo per una mera, schietta curiosità, ci siamo avvicinati al pianeta ATP convinti che hai saremmo riusciti a vincere la corsa per aggiudicarci le finali». E, invece… «E invece, tre anni dopo abbiamo battuto la concorrenza di 40 fra le città più importanti del globo. Adesso siamo qui a presentare una manifestazione che, letteralmente, vedrà tutto il mondo. Al tempo della pandemia siamo riusciti a organizzare in Italia il più importante appuntamento tennistico dell’anno». Come ci siete riusciti? «Grazie al Sistema Torino e al Sistema Piemonte che hanno funzionato alla grande. Federazione, istituzioni pubbliche e partner privati hanno dimostrato che cosa significhi lavorare tutti insieme per raggiungere un unico obiettivo, anteponendo sempre l’interesse collettivo. Le Finals a Torino sono un riconoscimento alla grandezza delle capacità organizzative dell’Italia. L’abbiamo capita sin dal primo sopralluogo torinese e, ancora una volta, voglio ringraziare Chiara Appendino, allora sindaca della città. Il suo contributo è stato determinante». PROMOZIONE. Chiunque vinca al Pala Alpitour, per Torino sarà un successo. Binaghi annota: «Questo evento si rivelerà un formidabile strumento di promozione della prima, storica capitale italiana e del suo territorio; imprimerà un forte sviluppo al turismo, alla valorizzazione di una regione ricca di attrattive e di eccellenze in ogni settore, alla vocazione sempre più marcata di Torino città aperta ai grandi eventi: dello sport; della cultura, come ha dimostrato l’eccezionale successo del Salone del Libro; della musica, con l’Eurofestival che arriverà in city* nella primavera 2022. E un’altra considerazione s’impone gli appassionati che affolleranno le tribune del Pala Alpitour nel linguaggio dei consumatori sono definiti high spender cioé persone disposte a spendere anche molto per acquisire beni e servizi. Il, che significa concreti benefici per alberghi, ristoranti, tassisti, esercizi commerciali». Un Effetto Finals paragonabile a ciò the per Torino e il Piemonte furono i Giochi del 2006? «L’accostamento è più che mai pertinente. Non stiamo parlando di un’edizione unica, ma di un appuntamento che si ripeterà per cinque anni consecutivi. Le Finals sono fra gli avvenimenti sportivi più televisti ai quattro angoli del pianeta, quanto a audience concorrono con la finale del mondiale di calcio, il Superbowl, la finale di Champions League, le Olimpiadi. E, nella rigorosa osservanza delle normative anti-Covid che hanno impedito di portare la capienza al cento per cento, pensi che addirittura nove giorni prima del via erano già stati venduti 120 mila biglietti, per oltre 15 milioni di euro, quanto una buona squadra di calcio incassa in due anni. Inoltre, grazie all’indotto sul territorio, prevediamo almeno altre 10 mila presenze, fra le quali oltre 200 giornalisti italiani e stranieri. Abbiamo l’ambizione di affermare che questa sarà la migliore edizione di sempre». Dopo la cinquantaduesima edizione delle Finals, dal 25 al 29 novembre il Pala Alpitour sarà teatro delle sfide di Coppa Davis (gruppo D: Croazia, Australia, Ungheria; gruppo F.: Usa, Italia, Colombia, con il quarto di finale che opporrà la prima del gruppo D contro il prima del Gruppo E). Il sigillo di Binaghi tradisce un legittimo orgoglio: «Per un mese, Torino sarà al centro del tennis mondiale. E non è un modo di dire». ORGOGLIO. Voltandosi indietro, il presidente della Federtennis rivede «vent’anni di lavoro durissimo. Oggi ne raccogliamo i frutti e per questo devo ringraziare gli atleti, i dirigenti, i tecnici che hanno reso possibile l’incredibile trasformazione del nostro movimento, moltiplicando l’interesse, la passione, la pratica del nostro sport. Dobbiamo essere orgogliosi del modo in cui si allenano e giocano i nostri tennisti. Quest’anno, Matteo Berrettini ha disputato la finale di Wimbledon, è il n.7 al mondo; Jannik Sinner, 20 anni, in singolare è stato capace di conquistare cinque titoli ATP su sei finali disputate: abbiamo un top ten di vent’anni, non è fantastico?». E poi c’è il padel. Nel maggio scorso, in calce agli Internazionali d’Italia, Binaghi rimarcò: «I numeri del movimento sono senza precedenti e il padel sta diventando uno dei primi dieri sport praticati nel nostro Paese. Siamo sempre più la Federazione Italiana Tennis e Padel». […] E poi ci sono le Next Gen di Milano, un’ulteriore, pubblica attestazione delle capacità organizzative italiane. Da Milano a Torino, in questi giorni la staffetta del grande tennis si sta rivelando un formidabile strumento non soltanto sportivo, della ripartenza di una Nazione che ha resistito anche alla pandemia. Binaghi annuisce: «i risultati agonistici, le grandi manifestazioni internazionali che ospitiamo, l’incremento della base dei praticanti in un contesto di totale rispetto delle norme anti-Covid sono i fattori alla radice del momento d’oro che stiamo vivendo. Ma il bello deve ancora venire»
I dominatori del futuro assaltano le Finals (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport Speciale ATP Finals)
[…] Daniil Medvedev, Stefanos Tsitsipas e Alexander Zverev puntano a diventare il nuovo trio di riferimento del circuito ATP. il russo, campione in carica, ha tolto a Novak Djokovic la possibilità di completare il Grande Slam. GENIO UEDVEDEV. L’esultanza ripresa da FIFA, spiegata quasi in codice durante la premiazione, rivela una mente dall’intelligenza pronta che viaggia su un tempo tutto suo. Competitivo e cerebrale, definito come assolutamente geniale dal suo allenatore Gilles Cervara, Medvedev anche in campo sorprende. I suoi colpi piatti generano traiettorie sfuggentii, scivolose per gli avversari. Ma soprattutto vede e occupa lo spazio facendo spesso il contrario di quello che ci si aspetterebbe. […] Camaleontico, capace di adattarsi alla situazione e cambiare piano di gioco anche a partita in corso come pochi altri, mostra una delle qualità che caratterizzano i campioni: colpisce la palla e insieme gioca con la palla. Un dettaglio che fa la differenza. ZVEREV IL DURO. Il 2021 è stato anche l’anno di Alexander Zverev, che ha ottenuto i risultati migliori in rampo nel momento in cui la sua vita fuori dal campo è finita maggiormente sotto i riflettori. E non per una buona causa. L’ex fidanzata Olya Sharypova l’ha accusato di violenze psicologiche e fisiche che sarebbero avvenute due anni fa, anche se il tedesco si è sempre dichiarato innocente. È diventato padre, ma la mamma della bambina, l’ex modella Brenda Patea con cui ha avuto una relazione, ha detto che non vuole l’affidamento congiunto. Eppure, mai come quest’anno Zverev ha dimostrato di poter realizzare quel potenziale intravisto negli anni passati. Ha vinto cinque titoli, un record nel circuito ATP condiviso con il norvegese Casper Ruud, compreso l’oro olimpico a Tokyo. Nel suo 2021 da record, ha raggiunto le 300 vittorie in carriera nel circuito ATP una serie iniziata sette anni fa contro Robin Haase nel torneo di casa ad Amburgo. Ha la sesta percentuale di successi più alta tra i giocatori in attività nel circuito maggiore e torna a disputare le Nitto ATP Finals per la quinta volta sperando di replicare il titolo del 2018. In quell’occasione riuscì a battere Roger Federer in semifinale e in finale Djokovic che a settembre l’ha fermato allo US Open. «Non è un segreto che il servizio sia la chiave del mio gioco —spiegava a New York—, quando funziona faccio grandi partite, quando non va peRdo come successo a Wimbledon». […] REBUS TSITSIPAS. Vale sempre più anche per il greco Stefanos Tsitsipas, attaccato per le pause troppo lunghe che si concede tra un set e l’altro, per i dubbi sui vaccini e per il comportamento del padre-coach un po’ troppo esplicito nel dargli consigli durante le partite. «Sto provando a diventare un giocatore più egoista, perché i grandi giocatori sono così: vogliono tutto per loro» ha detto il greco, finalista al Roland Garros e arrivato a un set dal titolo a Parigi. Interessato ai viaggi, cura un video-blog in cui racconta i luoghi in cui gioca, non certo un passatempo comune fra gli sportivi. Il suo tennis lo rispecchia molto, è tanto armonico quanto complesso, affascinante ma distante, non semplice da decifrare. «Quando entro in campo, riesco a tenere separati lo sport e quello che mi sta succedendo nella vita. Non è un bene quando le emozioni prendono il sopravvento. Riuscire a bloccare tutto, e a stare semplicemente nel momento, è la qualità che hanno sviluppato i campioni». La stessa a cui aspira Tsitsipas, ancora troppo cerebrale per capire che si può far bene anche senza complicare il gioco
“Dopo New York dovevo fermarmi. Ora sono di nuovo io” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport Speciale ATP Finals)
La prima esperienza di Djokovic alle Finals non fu particolarmente memorabile: era il 2007 e il ventenne di belle speranze Nole perse tutte e tre le partite del Round Robin contro Nadal, Ferrer e Gasquet. Lasciò passare dodici mesi, si qualificò di nuovo e cambiò decisamente la qualità della sua partecipazione: insomma, vinse il torneo.[…]. Voglia di vincere Adesso, 13 anni dopo, Nole li ha decisamente raggiunti nell’empireo, arrivando addirittura a una vittoria dal Grande Slam, un’impresa che gli arcirivali non hanno mai sfiorato, e la delusione di New York, certamente una delle più dolorose della carriera, si è trasformata una volta di più nell’occasione per ripartire. Tornato in campo, ha subito trionfato a Parigi. E a Torino, da grande favorito, inseguirti la sesta per la alle Finals, che lo porterebbe ad eguagliare Federer: «Quest’anno non ho giocato tanto come in altre stagioni, ma ho disputato diversi tornei mentalmente ed emozionalmente più complessi da gestire. Hanno richiesto un notevole dispendio di energie e avevo bisogno di un break prima di affrontare il finale di stagione. Ho iniziato bene quest’ultima parte dell’anno, vincendo a Parigi, e spero di continuare così». Anche se non si nasconde le insidie di un torneo che negli ultimi anni si è sempre aperto alle sorprese: «Le Finals arrivano a fine stagione e sono difficili da affrontare, anche se è vero che nella prima parte della mia carriera sono state un successo per me. Poi, dopo il 2015, non ho più vinto. Può essere che manchi l’energia necessaria, quella che sei costretto a spendere durante la stagione, e di conseguenza puoi arrivare a non averne abbastanza per l’ultima parte. Del resto, non puoi giocare sempre al top contro i migliori 8 del mondo. Negli ultimi anni Dimitrov, Tsitsipas e Zverev erano molto giovani e tanto motivati: non avevano molto da perdere, può essere una ragione dei loro successi». Nole è anche entusiasta del nuovo approdo italiano del torneo: «Londra è stata un successo per questo torneo, ma io sono sempre stato dell’idea che questo evento debba muoversi più spesso, perché è un’ottima promozione. E niente meglio delle Finals può dare visibilità al tennis. Essere in Italia è speciale, qui il movimento del tennis sta crescendo con Berrettini e Sinner e prima con Fognini. È bello vedere l’eccitazione per questo torneo da parte dei fan italiani. E l’organizzazione è super, non vedo l’ora di cominciare». L’avversario La sua 14 partecipazione alle Finals si concretizzerà lunedì nella sessione pomeridiana contro Ruud, una delle rivelazioni dell’anno: «Casper è uno dei lavoratori migliori del Tour e merita di essere qui per la prima volta. Ha avuto una grande stagione, ha vinto molto ed è migliorato tanto sul veloce, che non era la sua superficie migliore. E un ragazzo simpatico, ci vado molto d’accordo, so che sta facendo tutto il possibile per crescere. Non avrà molto da perdere, spero di poter iniziare a Torino come ho finito a Bercy». Ma il Nole fenomeno in campo non dimentica la politica: «La Ptpa (la sua associazione dei giocatori nata in alternativa all’Atp, ndr) si sta strutturando, vogliamo dare ai giocatori una rappresentanza che non hanno mai avuto, ma senza contrapposizioni». Un leader è per sempre