È il 1994, e nello studio della televisione di stato serba, in una trasmissione per bambini, ne viene ospitato uno di sette anni. Tutti ne parlano come di un piccolo prodigio del tennis. In chiusura di trasmissione, il bambino dimostra di avere già le idee chiare, dichiarando: “Voglio diventare un campione”. È cresciuto molto in fretta: negli anni ’90 la ex-Jugoslavia si sta disgregando, e lui è abituato a mettersi in fila coi genitori per ricevere il pane. È abituato anche a vedere il padre che, per allenarlo, posa un soldo nel quadrato del servizio e gli dice: “Se riesci a colpirlo, è tuo”. E a differenza di molti altri giovani tennisti, cresciuti in condizioni privilegiate, per quel bambino, che si chiama Novak Djokovic, un soldo è un soldo.
Ventisette anni dopo, il bimbo si è fatto uomo ed è diventato non soltanto numero uno del mondo, ma anche uno dei più grandi tennisti di sempre. Ha già conquistato 20 titoli Major (record assoluto, condiviso con i rivali di sempre Federer e Nadal) e sta per scendere in campo, a Flushing Meadows, per completare il Grande Slam. In questo 2021 post-pandemia (più o meno), ha già vinto in Australia, a Parigi, e sull’erba di Wimbledon: manca soltanto New York per raggiungere quel record che manca agli eterni rivali, centrato soltanto da Don Budge (da dilettante) nel 1938, e da Rod Laver, da dilettante nel 1962 e all’inizio dell’Era Open nel 1969. Sappiamo tutti come è andata a finire: Djokovic è costretto ad arrendersi ad un grande Medvedev, non meno determinato di lui e, forse, comprensibilmente, un po’ meno sotto pressione nell’occasione.
PALMARÈS
Non basterebbe un libro ad elencare tutte le vittorie di Nole – ci limitiamo quindi, senza pretesa di esaustività, a ripercorrere le tappe principali della sua carriera fino a questo momento. Nel 2003 diventa professionista e nel 2004 fa il suo esordio in un torneo ATP (quello di Umag), venendo sconfitto da Filippo Volandri. L’anno successivo gioca la sua prima partita a livello di Grande Slam (dopo aver sconfitto Stan Wawrinka nelle qualificazioni) in Australia, e viene sconfitto da Marat Safin. Sempre nel 2005, il primo acuto: al Masters Series di Parigi Bercy raggiunge il terzo turno eliminando Mariano Puerta, numero quattro del seeding.
Nel 2006, il non ancora ventenne Djokovic vince i suoi primi due titoli ATP, ad Amersfoort e Metz, e si classifica, a fine stagione, tra i primi venti giocatori del mondo. Il 2007 è l’anno in cui il talento di Nole, sostenuto dalla sua ostinata determinazione, si rivela al mondo in tutto il suo valore. Vince il Masters Series (oggi 1000) di Miami e, più avanti nella stagione, quello di Toronto, sconfiggendo nel corso della sua marcia trionfale Roddick, Nadal e Federer (rispettivamente numero tre, due e uno del mondo). Si qualifica per la prima volta a una finale Slam, a Flushing Meadows, ma in questo caso Federer fa valere la sua esperienza e si impone in tre set.
L’appuntamento con la prima vittoria Slam, comunque, è soltanto rimandato all’Australian Open 2008. Questa volta Djokovic batte Federer in semifinale e Tsonga in finale, aggiudicandosi il titolo. È la prima volta dal 2005 che un Major non viene vinto da Federer o Nadal. L’ombra dello svizzero e del maiorchino comunque è ancora molto imponente, e sembra relegare Djokovic al ruolo, pur rilevante, di numero tre del mondo. Qualcosa però cambia nel 2011, una delle migliori stagioni della carriera di un Djokovic che inaugura una nuova fase, ancor più vincente, della sua carriera. Fino alla semifinale del Roland Garros con Federer, il serbo inanella quarantuno vittorie consecutive, un inizio di stagione folgorante. Nel corso del 2011, si aggiudicherà tre prove del Grande Slam e cinque titoli Masters 1000. Da allora, diventa lui l’uomo da battere (anche se Federer, Nadal e non solo sapranno dargli del filo da torcere): dieci anni dopo, lo è ancora.
Data anche la disponibilità di dati tracciati con precisione, la nostra analisi si focalizzerà proprio su questo periodo: a partire dal 2011 fino a oggi, e in particolare sui tornei del Grande Slam. Cercheremo di osservare i match di Djokovic a partire dai dati. Pur senza dimenticare l’aspetto emotivo e, potremmo dire, epico delle sue sfide, proveremo cioè a capire se, attraverso i numeri, sia possibile distinguere ancor meglio, con più chiarezza, le armi vincenti di questo straordinario campione.
UNO SGUARDO D’INSIEME
Prima di approfondire l’analisi alla ricerca di pattern vincenti e perdenti, cerchiamo di averne una visione d’insieme, inquadrando lo stile di gioco di Djokovic con una serie di statistiche i cui valori medi sono mostrati in Figura 1, separatamente per superficie di gioco.
Oltre al saldo decisamente positivo tra ace e doppi falli, così come tra colpi vincenti ed errori non forzati, sicuramente atteso per un giocatore della levatura del serbo, colpisce la marcata differenza tra le palle break che Djokovic è in grado di costruirsi e quelle che concede all’avversario su ogni superficie. Anche attraverso tale statistica si può rappresentare il fatto che Nole ami condurre il gioco, ma che riesca a farlo, in genere, senza assumersi rischi eccessivi.
L’ultima statistica visualizzata, che conteggia il numero di discese a rete del serbo, evidenzia una volta di più la completezza tecnica di Djokovic. I valori infatti risultano marcatamente diversi per le tre superfici (erba, cemento, terra): Djokovic, in altre parole, può presentarsi a rete più o meno spesso, semplicemente in funzione di quanto convenga farlo in una specifica circostanza. Non ha certo paura di giocare la volée (il tallone d’Achille, a volerne trovare uno, potrebbe forse essere lo smash: colpo più raro anche se, in alcune occasioni, doloroso per il serbo), anche se preferisce costruire il punto da fondo. Un secondo set di statistiche, mostrato in Figura 2, può esserci d’aiuto nel farci un’idea ancora più precisa:
Oltre al dato eccezionale sulla percentuale di match vinti, superiore all’80% su tutte le superfici, è davvero degna di nota la capacità di Djokovic di salvare buona parte delle (poche) palle break concesse all’avversario. Su ogni superficie, Nole è capace, mediamente, di salvare almeno due palle break su tre concesse. Sull’erba di Wimbledon, la superficie su cui può chiedere maggiormente aiuto al servizio (non uno dei colpi più appariscenti di Djokovic, ma che specialmente nelle circostanze più critiche rivela la sua straordinaria precisione), la percentuale supera il 75%, ovvero, mediamente, Nole riesce a salvare tre palle break (abbondanti) su quattro concesse.
Dopo aver dato uno sguardo a diverse statistiche, considerate una alla volta, proviamo ora a chiederci quali combinazioni di variabili e valori, quali pattern, risultino più predittivi rispetto alla vittoria o alla sconfitta del numero uno del mondo.
I PATTERN PIÙ SIGNIFICATIVI, GLI ELEMENTI-CHIAVE DEL GIOCO DI DJOKOVIC
In particolare, chiediamoci quale o quali tra le varie statistiche di gioco (che rappresentano le nostre variabili di input) si rivelino decisive, e in che modo, rispetto alla vittoria o alla sconfitta nel match (che rappresenta la nostra variabile di output). Impostiamo cioè, in altre parole, un problema di classificazione.
Per maggiore chiarezza, facciamo in modo che l’algoritmo di classificazione utilizzato restituisca automaticamente, sulla base delle variabili a disposizione, un modello costituito da un insieme di regole, che rappresentano i pattern statisticamente più significativi che conducono Djokovic alla vittoria o alla sconfitta. Di seguito, illustriamo le tre regole più significative così calcolate:
- “Se Djokovic commette in media almeno 1.5 errori non forzati in meno rispetto all’avversario per set, e se l’avversario non mette a segno mediamente oltre 5.8 ace più di Djokovic per set, allora Nole si aggiudica la partita”. Il pattern si è verificato in 150 casi e, in tutti e 150, Djokovic ha vinto il match.
- “Se Djokovic commette in media almeno 1.5 errori non forzati in meno rispetto all’avversario per set, e se l’avversario non mette a segno mediamente oltre 5.4 vincenti più di Djokovic per set, allora Nole si aggiudica la partita”. Il pattern è quasi altrettanto generale, e ugualmente preciso: si è verificato 146 volte, e si tratta di 146 vittorie di Nole.
- “Se Djokovic ha una percentuale di punti vinti sulla seconda inferiore all’avversario di più del 10.9%, e se l’avversario stesso si presenta a rete non più di 10 volte durante il match, allora Djokovic viene sconfitto”. La regola si è verificata, fino a oggi, sette volte: in tutte e sette queste occasioni, il campione serbo è stato effettivamente sconfitto.
Sulla base di regole come queste, considerando che quanto più una caratteristica del gioco compare come condizione rilevante all’interno di tali pattern, tanto più potremo definirla un elemento-chiave del gioco di Nole. Potremo quindi, sulla base dei dati, stilare un feature ranking, ovvero una sorta di classifica dei vari aspetti del gioco, distinguendo quelli che, in misura maggiore, da soli o in combinazione con altri, si rivelano decisivi.
Tanto i tre pattern di esempio quanto il feature ranking che possiamo osservare in Figura 3 confermano, una volta di più, la straordinaria lucidità tattica di Nole. Abbiamo tutti ben viva l’immagine di Djokovic che, specialmente nelle fasi più critiche del match, alza un muro di fronte all’avversario, imponendosi di non sbagliare. I numeri ci dicono che, se Djokovic sbaglia meno dell’avversario, diventa difficilissimo da battere (prima feature, in ordine di importanza, e di gran lunga, naturalmente con correlazione inversa). Può andare in difficoltà soltanto se l’avversario ha la forza di imporsi con un elevato numero di vincenti (la seconda feature in ordine di importanza è proprio la differenza in termini di vincenti tra Djokovic e l’avversario) o costruendosi molte occasioni di breakkare (terza feature).
Scorrendo il feature ranking, scorgiamo poi la percentuale di punti vinti con la prima da Djokovic (quarta feature) e il suo numero di discese a rete (quinta feature). Possiamo forse interpretare in questo modo tali elementi: se Djokovic è centrato al punto da sapersi imporre già dal servizio o da presentarsi più spesso del solito a rete, difficilmente l’avversario potrà spuntarla.
Il bambino, lo dicevamo, si è fatto uomo. E più che con i trionfi, più che con i numeri che ci siamo sforzati di interpretare, lo dimostra con le parole pronunciate nel momento più difficile, subito dopo la sconfitta contro Medvedev, che infrange (almeno per ora) il suo sogno più grande. Per prima cosa, riconosce i superiori meriti dell’avversario e gli augura di vincere altri Slam, perché lo merita. Poi continua dicendo, “anche se ho perso, oggi sono comunque felice per il supporto che mi avete dimostrato”. Ed effettivamente, forse, vedendolo in difficoltà, scorgendo il suo lato più umano, il pubblico di New York gli ha tributato tutto l’affetto e il supporto di cui si era dimostrato avaro fino a quel momento, specialmente nelle circostanze in cui Djokovic era stato avversario di Federer.
Nole ha perso una partita, ha mancato lo Slam, ma, forse, ha vinto il cuore del pubblico e degli appassionati. Tornano in mente i versi della canzone di De Gregori “La leva calcistica della classe ‘68”: “Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore / non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore / un giocatore lo vedi dal coraggio / dall’altruismo e dalla fantasia”. E ci piace immaginare Nole, come Nino, che ascolta e capisce fin dal primo momento: “L’allenatore sembrava contento / e allora mise il cuore dentro alle scarpe / e corse più veloce del vento”. Verso nuovi traguardi. La corsa di Nole non si ferma. E nel 2022 tutto lascia pensare che sarà ancora lui, una volta di più, l’uomo da battere.
Nota: l’analisi e i grafici inseriti nell’articolo sono realizzati per mezzo del software Rulex
Genovese, classe 1985, Damiano Verda è ingegnere informatico e data scientist ma anche appassionato di scrittura. “There’s four and twenty million doors on life’s endless corridor” (ci sono milioni di porte lungo l’infinito corridoio della vita), cantavano gli Oasis. Convinto che anche scrivere, divertendosi, possa essere un modo per cercare di socchiudere qualcuna di quelle porte, lungo quel corridoio senza fine. Per leggere i suoi articoli visitate www.damianoverda.it