La Piccola Biblioteca di Ubitennis. Uno sguardo al futuro con Tennis 5.0

Interviste

La Piccola Biblioteca di Ubitennis. Uno sguardo al futuro con Tennis 5.0

Andrea Canella, autore del libro, racconta le passioni che lo hanno ispirato, dall’ecologia alle statistiche, dalla psicologia alla preparazione atletica

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La copertina di Tennis 5.0 (Foto Gentilmente Concessa dall'Autore)
 

Per dare ai futuri lettori di “Tennis 5.0” un’idea fugace della qualità e dei contenuti di questo libro, prendiamo spunto da una frase scritta dal Professor Carlo Rossi – Docente di Didattica del Movimento Umano e Tennis presso l’Università Statale di Milano – nella postfazione all’opera: “Il grande pregio di Tennis 5.0 è proprio quello di aver approfondito con dovizia di particolari e con il contributo diretto di molti esperti argomenti estremamente interessanti lasciati ai margini da molti addetti ai lavori me compreso”. Se i contenuti di “Tennis 5.0” hanno positivamente sorpreso un addetto ai lavori, crediamo che a maggior ragione sorprenderanno i semplici appassionati.

L’autore del libro è Andrea Canella, il cui nome non giungerà nuovo ai lettori di Ubitennis; nel corso del 2021 la nostra testata giornalistica ha infatti ospitato diversi articoli di Andrea dedicati a temi quali: sostenibilità ambientale, tecnologia e statistica applicati al tennis. Questi argomenti sono diffusamente trattati nelle pagine di “Tennis 5.0”, attraverso le quattro parti che lo compongono, ovvero:

  1. evoluzione dei materiali tradizionali  
  2. salute mentale e fisica del tennista  
  3. tecnologia applicata allo sport
  4. sostenibilità economica e ambientale, marketing, media.

In esse l’autore ha trasfuso con passione e competenza i suoi interessi – come ci dirà lui stesso in un’intervista a fine recensione – dando così vita ad un’opera complessa e completa, in grado di soddisfare molteplici interessi.

Volete sapere a che velocità viaggiava il servizio di il William Renshaw, sette volte campione di Wimbledon tra il 1881 e il 1889? Andate a pagina 6.

Perché le palline da tennis sono rivestite di feltro? Pagina 21

Cosa si può fare con le palle da tennis dismesse?  Pagina 19 e seguenti.

Le frontiere dello sviluppo tecnologico vi affascinano? La parte 3 fa al caso vostro.

Se siete anche sensibili ai temi ecologici o più semplicemente interessati ad approfondirli, troverete ciò che fa al caso vostro nelle  40 pagine che concludono il libro.

Se avete figli in età pre-adolescenziale leggete con attenzione l’intervista alla mental coach Daria Abramowicz contenuta nella parte 2, nella quale troverete preziose indicazioni per aiutarli a percorrere nel modo migliore la via della pratica sportiva.

L’intervista a Daria Abramowicz non è isolata nel contesto del libro; in ogni parte l’autore ha pensato bene di alternare parti descrittive e didattiche ad interviste a specialisti e manager di alto profilo, tra i quali citiamo Dennis Fabian, Responsabile Globale per sensori e accessori della HEAD, e Antoine Ballon, Tennis Global Director di Babolat.

Abbiamo aperto la recensione partendo dalla postfazione; la chiudiamo citando la prefazione scritta da Tommaso Villa, giornalista e caporedattore di Ubitennis: “...Tennis 5.0 si propone di fare esattamente questo, quantomeno nel piccolo della racchetta: rielaborare la visione dei prossimi decenni alla luce della realtà scientifica e della necessità. È un obiettivo forse utopico ma non per questo meno nobile, anzi. Buona lettura”.

Di seguito un’intervista all’autore del libro, Andrea Canella.

Roberto Ferri: Andrea, leggendo il tuo libro una domanda che viene spontaneo porsi è: che tipo di formazione hai per poter trattare così bene temi così specialistici e variegati? Puoi toglierci questa curiosità?

Andrea Canella: Sono in possesso di una laurea in economia aziendale condita da due master di informatica, di cui uno inerente le tecnologie e i linguaggi di programmazione per processare grandi quantità di dati. Per cui sono a mio agio con numeri e datasets, ma pure con temi di marketing, voci di bilancio e gestione aziendale. Ma a parte questo, sarei disonesto prima di tutto verso me stesso, ma poi nei confronti dei miei lettori, se affermassi che riesco a padroneggiare ogni area di cui ho trattato. Per il capitolo della preparazione atletica, che è la parte a me più estranea, mi sono appoggiato al professor Carlo Rossi, che di fatto ha rivisto quanto ho scritto sull’evoluzione della preparazione fisica, mentre per il capitolo che tratta gli infortuni, che si sarebbe potuto approfondire ulteriormente senza limitarsi a uno sguardo delle lesioni più comuni registrate nei tornei dello Slam, mi ha aiutato tantissimo la Dottoressa Babette Pluim. Dopodiché ci ho messo una buona dose di impegno e dedizione per capire i concetti medicali basilari e cercare di renderli in qualche modo fruibili attraverso una robusta narrativa. Spero di esservi riuscito.

RF: Qual è – se esiste – il trait d’union che lega le 4 parti del tuo libro e in particolare come possono tecnologia e ambiente condizionarsi a vicenda in maniera positiva?

AC: Penso che esista un sottile fil rouge che unisce le quattro sezioni, da te elencate in precedenza, in cui si divide il libro. In questo viaggio ordinato, la prospettiva in cui ci si pone è evolutiva, con una costante ricerca orientativa rivolta al futuro, che capovolge la traiettoria più tradizionale e nostalgica della letteratura inerente il tennis e altre discipline sportive. Non mancano pertanto le ipotesi su sviluppi futuri e si usano strumenti di sintesi come cronologie, grafici e figure, per corroborare le tesi esposte.

A volte, in effetti, sembra che tecnologia e ambiente facciano a pugni tra di loro. Ricordiamo quanto sta accadendo in Kazakistan, dove per sfruttare energia elettrica prodotta da una fonte come il carbone gli operatori di criptovalute hanno collocato le cosiddette farms. Ma poi i consumi elettrici si sono impennati a dismisura, decretando aumenti dei prezzi dell’elettricità per l’intera popolazione, poco abituata ad avere tariffe così care.  Per non parlare della crescente domanda di terre rare, utili per la fabbricazione d componenti di telefonini e motori di veicoli ibridi, con miniere che in alcuni paesi utilizzano la manodopera minorile e inquinano le falde acquifere.

Dobbiamo interrogarci in ultima analisi su che cosa sia la tecnologia. Secondo la mia personale lettura, forse un po’ semplificata, la tecnologia è un insieme di conoscenze, derivanti da investimenti (per la maggior parte pubblici) di ricerca e sviluppo, che permettono all’umanità di fare un salto, fruendo di nuovi servizi e generando nuovi consumi. Dunque la tecnologia è correlata di fatto alla ricchezza di un Paese. Per coesistere con i vincoli ambientali, sono del parere che si debbano esplicitare degli indicatori collegati al consumo delle risorse ambientali come il suolo, l’acqua e la provenienza dell’energia elettrica, inquadrando i consumi in quest’ottica e rafforzando la sensibilità ambientale.

Per esempio, consideriamo un circolo di tennis. Per fare una valutazione di questo tipo, sarebbe utile valorizzare le risorse scarse, come il consumo d’acqua per mantenere giocabili i campi di terra battuta, ma pure sapere da dove viene ricavata l’energia elettrica per il riscaldamento e l’illuminazione degli impianti durante la stagione invernale al fine di calcolare le emissioni di C02-EQ mediante un indicatore specifico. Ciò apre la strada a bilanci sociali che propongano non solo rendiconti economici, ma anche altre misure per capire gli impatti ambientali. Le soluzioni tecnologiche possono aiutare, a patto che siano mediate dai buoni fini dell’azione umana.

RF: Leggendo il libro si ha la forte sensazione che i temi legati alla sostenibilità ecologica ti stiano particolarmente a cuore. È esatto?

AC: Sì, è esatto. Sono un’ecologista convinto da ormai 30 anni. Penso che qualsiasi attività umana espressa nel mondo moderno abbia degli effetti ambientali. Si tratta di capirli, minimizzarli e eventualmente eliminarli, qualora provochino esternalità negative per la salute della popolazione e per la salvaguardia ambientale. Credo che la sensibilità nei confronti di questi temi è cambiata radicalmente negli ultimi anni, purtroppo per gli effetti manifesti del riscaldamento globale. Comunque l’impegno del mondo del tennis professionistico nei confronti di queste tematiche è tangibile, dato che come spiego nel libro, i tornei dello Slam, alcune federazioni e l’ATP si sono posti obiettivi ambiziosi per il 2030 e il 2040 al fine di ridurre le emissioni di CO2.

RF: Nel libro dai molto spazio anche alla statistica applicata al tennis. Non credi che un uso esasperato di questi dati rischi di togliere poesia al gioco? Qual è il limite invalicabile a tuo parere tra statistica e creatività?

AC: Penso che il vaso di Pandora sia già stato scoperchiato, e che i gesti bianchi siano svaniti come fantasmi. L’evoluzione dei materiali avvenuta dagli anni ’70 in poi e l’affinamento delle metodiche relative alla preparazione atletica imposte dall’odierno tennis professionistico hanno fatto il resto. Pertanto, anche senza considerare l’analisi statistica, la poesia del gioco è ormai da tempo un lontano ricordo.

Non bisogna confondere la creatività con l’intelligenza tattica applicata al tennis, che si manifesta quando un giocatore, pur snaturando le sue caratteristiche in funzione del giocatore che ha di fronte, cambia il suo gioco e porta a casa la partita. Ricordo a tal riguardo la finale dello US Open del 1988 vinta da Mats Wilander al quinto set contro Ivan Lendl scendendo a rete moltissime volte con la convinzione che quel piano tattico potesse funzionare contro il cecoslovacco poi naturalizzato statunitense. 

Detto ciò, per me la creatività è il rompere gli schemi statistici, ma comunque gli strumenti statistici riescono a rilevare questo punto di rottura. Per esempio un servizio da sotto in un dataset che riporta la velocità di esecuzione del servizio sarebbe considerato senza dubbio come un outlier statistico, ovvero come un punto isolato. Infatti se consideriamo i valori della velocità delle prime di un determinato giocatore costantemente tra i 180 e i 210 chilometri orari, questo punto isolato, dato dall’effettuare il movimento del servizio da sotto, registrerebbe una velocità di esecuzione sotto i 70 chilometri orari (50 mph) o forse ancora più bassa.

Trent’anni fa, questo colpo eseguito da Chang, che fece imbestialire sempre il grande Ivan, era abbastanza raro, ma oggi lo vediamo più spesso eseguito da Bublik, Moutet, Humbert o Kyrgios per citare solo alcuni giocatori amanti di questa specialità. Un servizio subdolo ha due obiettivi principali: uno a breve termine e uno a lungo termine, che si manifesta nel corso della partita o in successive partite contro lo stesso avversario. L’obiettivo a breve termine è quello di vincere un solo punto, mentre l’obiettivo a lungo termine è quello di fornire una fonte di preoccupazione all’avversario, magari distraendolo o cambiando la sua posizione alla risposta per le partite o i set futuri. Ma alla fine della fiera dobbiamo chiederci quanto funziona il fattore sorpresa o fattore creativo. Secondo un articolo apparso su tennisabstract.com, dall’aprile 2019 al febbraio 2021 si sono registrati 35 servizi eseguiti da sotto. Nel 77% dei casi il giocatore ha vinto il punto, percentuale non male nonostante il numero esiguo di dati. Quindi rispetto all’epoca di Chang esistono ad oggi strumenti statistici per quantificare l’imprevedibilità e misurare se è stata un successo, dato che un tempo questi strumenti erano rari ed eccessivamente costosi, sia a livello di predisposizione dell’hardware necessario, quanto per l’impossibilità di accedere a immagini televisive o altre fonti di dati.  

Lo stesso potrei parlare di imprevedibilità come cambio di intenzione in corsa, adottando un’impugnatura diversa che consente di dare un taglio alla pallina particolare o una simulazione ben riuscita di un colpo, per poi eseguirne un altro. In questi ultimi casi l’analisi statistica mostra i suoi limiti e dovrebbe essere corredata da strumenti di video analisi, dato che i dati rilevano la tipologia di colpo giocato, dove è stata piazzata la palla e a quale velocità o la combinazione di colpi eseguiti in successione, ma non la gestualità motoria che ha ingannato la percezione visiva del colpo da parte dell’avversario. Una volta osservata la gestualità, sarà poi possibile scomporla per poterla poi replicare nelle scuole di tennis.

Pertanto in ultima analisi mi verrebbe da pensare che gli ingredienti base della creatività sono una gestualità motoria varia e la capacità mentale di uscire fuori dagli schemi, cogliendo il momento giusto. Temo che questi ingredienti non si insegnano e che questo carpe diem tennistico è pur sempre limitato e non si manifesta con continuità, nel corso di una partita svolta con gli attrezzi moderni. Quindi, per tornare alla tua domanda credo che l’analisi statistica debba aiutare ad impostare il piano tattico di gioco, sfruttando punti di forza e identificando punti di debolezza del giocatore avversario, ma deve pure lasciare uno spazio alla genialità del momento, non essendo uno steccato cogente.

RF: Gli specialisti che intervisti nella parte dedicata alla tecnologia hanno opinioni opposte in merito al futuro degli accessori applicati alle racchette. Tu che idea ti sei fatto a tale proposito?

AC: Penso che quel filone tecnologico, così come era stato concepito all’inizio del secondo decennio di questo secolo, avrà i giorni contati, anche se con mia grande sorpresa un’azienda come Head ci crede, dato che ha investito risorse nell’autunno del 2020, per rilanciare il suo prodotto. Credo che la via intrapresa da Babolat in direzione di una ridefinizione della tecnologia in funzione delle caratteristiche peculiari del tennista sia la strada giusta. Penso tuttavia che sensori IMU (accelerometri, giroscopi, magnetometri) hanno un loro futuro se tarati sull’atleta, anche se questo implica snaturarli un po’ in virtù della miscela fatta con i dati rilevati da sistemi GNSS (Global Navigation Sattelite Systems) che li porterebbe a essere categorizzati come dispositivi ibridi. Questa è la strada seguita da Catapult e anche da Firstbeat, acquisita due anni or sono dal colosso del settore Garmin al fine di fornire misure precise del carico di lavoro e altre metriche.

Interessante è tuttavia anche un’altra opzione di prodotto proposta da Pivot, che tenta di conciliare pratica dei movimenti di tennis davanti a un video con un po’ di gaming incorporando i sensori IMU in una maglietta affinché risultino molto pratici per gli atleti. Infine non sottovaluterei le dimensioni aziendali, delle imprese che propongono innovazioni nel campo della sensoristica applicata al tennis, dato che se si tratta di Head, Garmin o Babolat, queste imprese hanno profili di business molto variegati e diversificati e quindi si possono permettere di accendere e spegnere le innovazioni in un batter d’occhio, mentre se consideriamo start-up o piccole imprese il rischio associato al successo o fallimento di un prodotto potrebbe essere molto alto, come di recente il caso di PIQ ha mostrato.

RF: Dove si può acquistare Tennis 5.0?

AC: Il libro è disponibile in formato cartaceo ed è acquistabile online presso lo store di tennis-chalk.com, sito curato da un appassionato lettore di Ubitennis Unforgiven79.

Oppure può essere comprato in occasione di eventi presenziali, ai quali parteciperà lo stesso autore, che si terranno presso circoli di tennis, accademie e biblioteche interessate a proporre la presentazione dell’opera, previo accordo su data e orario.

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