Il responsabile comunicazione di Nadal: "I media si erano dimenticati di Rafa"

evidenza

Il responsabile comunicazione di Nadal: “I media si erano dimenticati di Rafa”

Benito Pérez-Barbadillo si racconta: “Pianifico quotidianamente ogni informazione da diffondere”. Però ammette: “Io non sono importante, quello è Rafa”

Pubblicato

il

Benito Perez-Barbadillo e Rafa Nadal- Roland Garros 2020
 

Uno degli ingredienti del successo di Rafael Nadal agli ultimi Australian Open potrebbe essere la relativa tranquillità in cui lo hanno lasciato giornalisti e televisioni prima del torneo, questo almeno si lascia sfuggire il suo responsabile della comunicazione Benito Pérez-Barbadillo in un’intervista a Francisco Sánchez Zambrano del Diario de Cadiz, qui tradotta per Ubitennis da Alessandro Condina e Claudia Marchese. Barbadillo, classe 1967, è originario di Jerez de la Frontera, nella provincia di Cadice, e da 16 anni ormai gestisce i rapporti di Nadal con la stampa spagnola e internazionale.
“Io non sono importante, quello importante è Rafa” dice con umiltà al telefono dal suo appartamento di Montecarlo nel Principato di Monaco.

Capo ufficio stampa di Rafael Nadal. È la definizione corretta per il suo attuale incarico?
Sì, capo o coordinatore della comunicazione, comunque la definizione è corretta. Diciamo che sono il responsabile della comunicazione di Rafa, quello che gestisce la sua relazione con i mezzi di comunicazione e coordina i suoi profili sui social. Sono nato e cresciuto a Jerez, ma provengo da Sanlúcar de Barrameda per parte di padre.

Anche suo padre si chiamava Benito, un nome molto tipico di Jerez.
Sì? Non lo so. So che il mio nome mi ha creato qualche grattacapo in Italia.

Davvero?
Certo! Dopo la Seconda guerra mondiale quasi a nessuno si dava il nome Benito, per via di Mussolini. E ogni volta che giravo per l’Italia dicendo il mio nome, alcune persone (altri meno) mi guardavano storto. Non sai quante volte ho dovuto chiarire che Benito è solo un nome molto brutto, ma senza alcuna connotazione politica!

E nella sua terra natale viene spesso?
Tutte le volte che posso. Adesso con la pandemia non sono potuto venire a Natale a stare con la mia famiglia e con gli amici, ma vengo volentieri tutte le volte che posso. È casa mia e tornerò a viverci un giorno o l’altro. Sono innamorato della Feria de Jerez e dell’estate gaditana e non me le perdo mai. Mi considero un jerezano atipico perché mi piacciono moltissimo la città di Cadice e tutta la provincia.

E come fa un gaditano, nel suo caso jerezano, a diventare capo ufficio stampa di Rafa Nadal?
A Jerez, tradizionalmente, siamo sempre stati molto internazionali. Il vino da un lato e il circuito di Formula 1 dall’altro fanno sì che Jerez sia conosciuta in tutto il mondo. Nel mio caso la porta si aprì grazie al circuito di Jerez. Ero proiettato a diventare avvocato come mio padre e stavo studiando proprio Giurisprudenza, ma nel 1992 papà morì all’improvviso e allora ho preferito cercare altro. Collaboravo già con il circuito di Jerez, nell’ufficio stampa, e dato che me la cavo bene con le lingue piano piano mi sono fatto strada. Nel 1996 un inglese che lavorava per la Dorna (l’impresa che organizza il Mondiale di Formula 1, ndt) mi propose di andare con lui nella sede europea dell’Atp, a Monaco. Non ci ho pensato due volte e sono venuto qui, dove vivo tuttora. Dopo dieci anni passati a lavorare nell’ufficio stampa dell’Atp con i tennisti dell’epoca, Carlos Costa, con cui eravamo molto amici, e il padre di Nadal mi contattarono per entrare direttamente nella squadra di Rafa. E ne faccio ancora parte, dopo 16 anni: era il 2006.

Quindi, quasi agli inizi del percorso professionale di Rafa Nadal.
Praticamente sì. L’ho conosciuto quando aveva 15 anni in un torneo a Maiorca. Ho lavorato con lui da dentro l’ATP, quando fra gli altri tornei ha conquistato i primi due Roland Garros. Sono entrato nella sua squadra a fine 2006.

Il suo ultimo titolo è stato il recente Open d’Australia, con quella finale interminabile in cui dopo cinque ore di battaglia ha sconfitto Medvedev rimontandogli due set. Qualcuno la considera la finale più emozionante della carriera di Nadal, mentre altri continuano a preferire il suo primo trionfo a Wimbledon, quando batté Federer nel 2008, sempre in cinque set. Quale preferisce lei?
Non ne scelgo uno in particolare, non vedo perché farlo. Mi rifiuto! Con una carriera così lunga e con tanti titoli conquistati è impossibile scegliere un momento solo. Ci sono finali del Roland Garros da incorniciare e il secondo titolo a Wimbledon e finali spettacolari allo Us Open contro Djokovic e sempre contro Medvedev nel 2019. E poi altre partite e tornei indimenticabili… L’ultima finale, quella in Australia, è stata incredibile e molto, molto emozionante. Però da lì a considerarla la migliore di tutte, non so. Insomma, mi rifiuto di scegliere un solo momento.

L’abbiamo vista insieme al resto della tribuna di Rafa celebrare in grande stile l’ultimo trionfo in Australia.
Sì, certo, è stato molto emozionante, ancora di più sapendo quello che aveva passato Rafa con l’infortunio, il Covid a fine anno, i dubbi… Le dico anche che sono l’ultimo a rendersi conto dei successi. Non so se dipende dal fatto che in quei momenti devo preoccuparmi del lavoro, della conferenza stampa immediata, di organizzare le interviste, dei social, eccetera, però ci metto sempre un po’ a realizzare. Siamo concentrati sul lavoro e sul momento. In questo caso, per esempio, ho avuto bisogno di tre giorni per rendermi conto di quello che era successo. Tre giorni dopo ho visto la fine della partita e guardando il match point mi sono scese le lacrime dall’emozione.

È molto nervoso prima delle partite?
Moltissimo. Sono un fascio di nervi, vedo tutto nero e i miei collaboratori mi prendono in giro e dicono che, da buon andaluso, sono molto esagerato. Io invece credo che noi andalusi non siamo esagerati, sono gli altri che sono troppo trattenuti.

Mi scusi l’indiscrezione, ma lei incassa di più se Rafa vince un torneo o lo stipendio rimane lo stesso anche se perde al primo turno?
Lo stipendio è lo stesso, non cambia niente se vince o perde.

E lei quante lingue parla?
L’inglese l’ho sempre parlato perché ho avuto la fortuna di frequentare una scuola inglese a Jerez e i miei genitori sin da piccolo mi hanno mandato a studiare all’estero. Diciamo che me la cavo bene in spagnolo, inglese, francese e italiano. Però non ho mai perso il mio accento di Jerez, eh!

Lei viaggia con Rafa Nadal ovunque giochi, ma ci racconti com’è la sua quotidianità quando non ci sono gare.
Il mio lavoro consiste nel pianificare quotidianamente la comunicazione di Rafa Nadal. Ogni informazione si debba diffondere, ogni intervista che ci chiedano con lui, tutto passa da me, sempre coordinandomi con Rafa in persona e a volte con altra gente della squadra. E anche se i profili social di Rafa sono personali, anche lì c’è da fare. E poi gestisco le agende di comunicazione dei suoi allenatori in certi periodi come nell’ultimo torneo perché alcuni media si interessano a loro.

E quando Rafa si infortuna per alcuni mesi, com’è successo nel secondo semestre del 2021, qual è il suo compito in quel caso?
Lo stesso: continuare a organizzare e gestire continuamente l’agenda della comunicazione. Tranne il fatto che non si viaggia, tutto il resto rimane uguale, perché i media rimangono interessati a Rafa. L’unico aspetto positivo derivato dall’ultimo infortunio è stato che, arrivando in Australia il 31 dicembre, non abbiamo avuto la solita richiesta di interviste che c’era in altri anni. Sembra che i media si siano dimenticati di Rafa e siamo rimasti tutti molto tranquilli nei giorni precedenti all’inizio del torneo.

Quello che mi colpisce di Rafa è la fedeltà che ha verso i suoi sponsor. È con Nike dal 2001 e con Babolat dal 1998.
È vero… e non dimentichiamoci di Kia, suo sponsor da 15 anni, praticamente da tutta la sua carriera. In ogni caso, credo che non si tratti solo di fedeltà, è qualcosa di più, viene a crearsi proprio un legame di amicizia e complicità tra lo sponsor stesso e chi lo rappresenta. Però non mi occupo personalmente di questo aspetto. Se ne occupa Carlos Costa.

È invece lei che si occupa della promozione dell’accademia di tennis che Rafa ha aperto a Manacor?
No, me ne sono occupato solo il primo anno, per il suo lancio, poi non più. Adesso se ne occupa un’altra persona.

Mi sembra di capire che lavora esclusivamente con Rafa Nadal, è così?
No, non è così. Di certo Rafa è la mia priorità nel lavoro, ma dal primo momento la famiglia Nadal mi disse chiaramente che avrei potuto, anzi dovuto, dedicarmi anche ad altro, ed è quello che sto facendo. Per questo motivo, ho avviato la mia società di comunicazioni a Montecarlo, dove ho la residenza. Mi occupo di attirare diversi sponsor commerciali nel mondo dello sport, principalmente nel tennis, ma anche nel golf. Adesso, per esempio, sto lavorando a sponsorizzazioni come quelle del caffè Lavazza o del marchio spagnolo Roca. E in parallelo mi occupo anche dell’immagine di altri tennisti.

Ah sì? Di chi?
Adesso sto lavorando anche con Dominic Thiem. Gli anni passati ho lavorato con Djokovic, Del Potro e con tenniste come Kerber, Mladenovic, Azarenka ecc.

A proposito di Djokovic e della grande rivalità creatasi tra lui, Federer e Nadal. Rafa sembra andare maggiormente d’accordo con lo svizzero che con il serbo e anche l’opinione pubblica, sia in Spagna che in altri paesi, sembri apprezzare Federer molto più di Novak. Anche lei la pensa così?
Sì, credo sia così, ma non so bene perché. È vero che Rafa e Federer vanno molto d’accordo e si tengono regolarmente in contatto tramite messaggi. Sarà semplicemente che Rafa e Roger sono più compatibili, punto. Tutti e tre sono delle bellissime persone. Quando ho smesso di lavorare con Djokovic nel 2011, l’unico consiglio che mi sono sentito di dargli è stato quello di mantenere la sua rivalità con Nadal sul campo da tennis, di non portarla al di fuori. Credo che mi abbia ascoltato, perché i due vanno molto d’accordo e spero che la situazione non sia cambiata dopo l’ultimo episodio in Australia.

Mi racconta qualcosa di Rafa che non sa nessuno?
È molto difficile rispondere a questa domanda, perché Rafa è così come lo vede la gente. È diverso da noi andalusi ed è una persona semplice e molto buona. Credo che Rafa piaccia così tanto per questo motivo, perché è autentico e vero, non è costruito.

E come lo definirebbe tennisticamente?
Chi non lo sostiene può anche dire il contrario, ma per me Rafa è un fenomeno del tennis da ogni punto di vista. Tecnicamente è molto più forte di quanto possa pensare la gente che non capisce di tennis. Ma la sua parte migliore è nella testa, quando gioca ha un’intelligenza straordinaria. Dal mio punto di vista non ha rivali.

Quindi crede che ci siano persone che non sostengono Rafa persino qui in Spagna?
Sì, qualcuno c’è. È normale, così è la vita. A livello tennistico c’è gente che dice che Rafa non ha mai vinto le ATP Finals o che Federer giochi meglio di lui. Sul primo punto rispondo sempre allo stesso modo, cioè che le ATP Finals si giocano su campi molto rapidi e al coperto, non è di certo la superficie ottimale per il gioco di Rafa, e nonostante ciò ha avuto ottimi risultati anche su questa superficie. Non credo si possa mettere in discussione il livello sportivo eccezionale di Rafa. Sarebbe un’affermazione assurda.

L’obiettivo di Rafa di quest’anno è riconquistare il trono al Roland Garros?
Per niente. Se così fosse, sarebbe un errore, perché vorrebbe dire togliere importanza ai tornei che lo precedono. Adesso l’obiettivo di Rafa è Acapulco, che è il primo torneo che giocherà dopo gli Australian Open. E dopo il suo primo obiettivo si passerà a Indian Wells. E così via, fino ad arrivare al Roland Garros, dopo altri tornei importanti come Montecarlo, Barcellona, Madrid e Roma.

Il 3 giugno Rafa Nadal compirà 36 anni. Secondo lei, per quanti anni ancora potrà giocare?
È una domanda da un milione di dollari e nessuno sa rispondere, nemmeno Rafa. È inutile porsi continuamente questa domanda. Lasciamo che le cose facciano il loro corso. Come dice sempre lui, finché avrà passione per il tennis e il suo fisico reggerà, si andrà avanti

A lei cosa piacerebbe fare in futuro? Pensa mai di tornare in Spagna?
Amo particolarmente il vino di Jerez e mi piacerebbe molto lavorare alla sua promozione quando smetterò con il tennis, o magari anche nel mentre, perché viaggiando molto avrei più possibilità di farlo conoscere, di dare maggiore risalto alla mia città e in generale alla provincia di Cadiz. Ogni volta che torno da Jerez, porto con me delle bottiglie di vino e me e faccio anche spedire. L’ultima volta mi hanno inviato un vino molto speciale, che è appena uscito sul mercato ed è valutato benissimo nel settore. Inoltre regalo sempre a tutti il vino di Jerez. Rafa Nadal e il resto del team ridono sempre di me, dicendo a tutti che sono un rompiscatole, perché non faccio altro che parlare del vino di Jerez.

Immagino che dopo tanti anni trascorsi con Rafa, avrà vissuto tanti momenti insieme a lui che non racconterà mai…
Sì, tanti, tantissimi e non li racconterò mai. Inoltre nel mio contratto ho una clausola di riservatezza o qualcosa di simile. Non è per niente il caso. Sono cose nostre, esperienze di vita accumulate durante i tanti anni di lavoro e di vissuto insieme, insomma sono cose personali. Rafa è molto riservato sulle sue cose e provo a esserlo anche io.

Un’ultima domanda: lei gioca a tennis?
Non molto bene in realtà. Da giovane mi sono cimentato un po’ con il padel, che oggi va di moda in tutto il mondo. Diciamo che ho sempre amato lo sport in generale e ho la fortuna di lavorarci, cosa non così facile.

Traduzione di Alessandro Condina e Claudia Marchese

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement