"Tutti la temono". Perché l'allenatrice Bartoli pensa che sia meglio tenere d'occhio Ostapenko

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“Tutti la temono”. Perché l’allenatrice Bartoli pensa che sia meglio tenere d’occhio Ostapenko

Cè voluto un bel po’, ma il duro lavoro sta ripagando gli sforzi della lettone e del suo team

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Marion Bartoli - Wimbledon 2018 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Intervista di Carrie Dunn pubblicata su tennismajor

Conduttrice, opinionista e ospite fissa di Match Points [talk show tennistico ndt] Marion Bartoli è anche un’allenatrice di tennis. Lavora al fianco di Jelena Ostapenko da più di due anni qualche settimana fa, dopo la splendida corsa della lettone a Dubai, Bartoli sente che finalmente stiamo vedendo la ventiquattrenne tornare ai suoi massimi e che il duro lavoro sta dando i suoi frutti. Sulla strada verso la finale Ostapenko ha sconfitto quattro campionesse Slam e in tre occasioni lo ha fatto rimontando un set di svantaggio. Abbiamo intervistato l’ex tennista francese dopo la cerimonia di premiazione a Dubai, così da scoprire com’è il suo rapporto con Jelena – che lei chiama “Aljona” – e inoltre su cosa hanno lavorato negli ultimi mesi e che tipo di coach Marion Bartoli si sente di essere.

Marion, devi essere molto orgogliosa di lei questa settimana.
Sì è stata una settimana veramente incredibile. Giocava molto bene sin da inizio anno, ad eccezione del primo torneo a Sydney, ma non è mai facile per lei trovare ritmo dopo la preparazione poiché è una giocatrice estremamente aggressiva. Quindi per carburare le servono un paio di incontri, ma in questo torneo fin dal primo turno contro Kenin si poteva vedere chiaramente come colpisse la pallina in maniera pulita. Inoltre è riuscita ad avere il giusto atteggiamento mentale, cosa che più mi rende fiera di lei: so che ha i colpi, ma a volte, quando la partita si complica contro le tenniste più forti, perde leggermente la concentrazione, a differenza di quanto invece ha dimostrato questa settimana. Ha battuto Iga Swiatek in tre set, così come Petra Kvitova, la quale ha servito per il match in più occasioni. Dunque Jelena ha dovuto tirare fuori la sua voglia di lottare, che è stato l’aspetto più impressionante di questa settimana. Per raggiungere la finale a volte devi sconfiggere tenniste che hanno vinto tornei del Grande Slam, proprio come ha fatto lei – ed è stato qualcosa di speciale: ero sicura che avesse il gioco, che avesse il potenziale. Si è trattato di mettere insieme i pezzi del puzzle e sono convinta che questa settimana risulterà fondamentale per riportare Aljona dove le compete, ovvero la top ten.

È incredibile: quattro campionesse Slam sconfitte una dopo l’altra.
Assolutamente. Questo fatto rende il suo torneo ancora più speciale perché alle volte, ovviamente, la difficoltà del tabellone può variare molto di settimana in settimana. Dubai ha sempre un tabellone tosto e quest’anno era incredibile: il taglio per accedere al main draw era la top 30, pertanto sapevamo che avrebbe dovuto affrontare un percorso molto insidioso. Onestamente il sorteggio non sarebbe potuto essere più impegnativo, ma lei ha continuato a ribattere colpo su colpo ed ha raggiunto la finale pure nel doppio. Inanellando tutti quei match di fila ha così dimostrato di essere in gran forma anche fisicamente. Personalmente era da molto tempo che mi aspettavo una settimana di questo tipo, ma qui Aljona ha dimostrato di essere tornata al suo massimo livello.

Chiaramente è facile scordarselo in quanto è accaduto qualche anno fa ormai, ma anche la Ostapenko è una campionessa Slam, vincitrice al Roland Garros nel 2017. Quindi dev’essere ciò che ti auguri per lei nell’immediato futuro: aggiungere altri titoli Major in bacheca.
Senza dubbio: quando ho iniziato a lavorare con lei era la numero 90 del mondo e aveva perso molta fiducia. Ma c’erano anche grandi aspettative da parte sua e dall’esterno, cosa che non era facile da fronteggiare. Quindi per prima cosa bisognava restituirle fiducia, in secondo luogo occorreva lavorare su alcuni aspetti del suo gioco che erano già un punto di forza, giusto per mettere in chiaro che erano ancora lì. Infine abbiamo lavorato un po’ sul servizio e sulla tattica, poiché Jelena ha un arsenale talmente ampio di colpi che spesso si trova a dover scegliere tra troppe opzioni tattiche. Tutto le diventa più facile, sapendo a cosa potersi affidare con continuità. Io credo appunto che questa sia stata la chiave di questa settimana: ha ripreso a fare ciò che le riesce meglio, senza dover cambiare il copione. E nonostante forse l’avversaria sapesse dove sarebbe arrivata la palla, questa arrivava così veloce e così vicina alla linea da essere ingiocabile per chiunque. A volte Aljona aveva qualche dubbio se dovesse cambiare tattica, dato che le avversarie cominciavano a capire il suo gioco: tuttavia secondo me era più una questione di solidità e costanza nel giocare un tennis di alto livello, punto dopo punto, senza dover modificare le traiettorie dei suoi colpi. E’ stato questo il vero lavoro che abbiamo fatto insieme.

E da quel che vedo pensando a quanto hai detto di lei in precedenza, ho la sensazione che Aljona ti ricordi un po’ te stessa da giovane. E’ così?
Sì! Parlavamo di questo durante i tornei insieme, prima che rimanessi incinta. Il mio stile di gioco era molto simile al suo e questo è il motivo per cui capisco così bene il suo tennis: perché giocavo più o meno come lei – molto aggressiva in risposta, cercando il vincente sulla seconda di servizio. Era il mio piano di gioco ogni volta, quindi capisco i suoi schemi. Capisco dove vuole arrivare e per questo si trattava solo di convincerla ad aver fiducia nel fatto che ci sarebbe riuscita, dandole uno o due consigli per il tipo di gioco sul quale deve insistere, senza riempirle la testa di informazioni. Questo è il motivo per cui è una collaborazione tanto stimolante: abbiamo iniziato a lavorare insieme alla fine del 2019 ed è stato un lavoro in divenire, ultimamente più focalizzato sulla parte tattica, anche quando non disputa un torneo, perché ovviamente ho una bambina e mi è molto più difficile viaggiare. Quando ci vediamo durante gli Slam abbiamo più tempo da trascorrere insieme e, prima di ogni incontro, mi fa sempre delle domande sulla tattica, su come ha giocato il match precedente e cose di questo genere, così abbiamo mantenuto vivo il rapporto ed è stupendo vedere che è tornata ai suoi massimi livelli. Penso che ogni giocatrice abbia timore ad affrontarla, ma è stata solo una questione di tempo rimetterla in carreggiata e ora il suo ranking è destinato a salire: immagino che si avvicinerà alle top 15. Sta andando tutto per il verso giusto: se farà meglio nei Major entrerà rapidamente nelle top 10.

Hai parlato di continuità; lei sa essere assolutamente brillante ma, come dici, qualche volta sembra uscire dalla partita da un punto di vista mentale. In che maniera si lavora per migliorare la continuità di una giocatrice se si tratta di un problema di fiducia?
In effetti tutto stava nel ridarle quella continuità. Lei ha un gioco molto aggressivo, ma talvolta manca un po’ di sicurezza in se stessa e ovviamente, sentendo la pressione per il fatto di aver vinto un Grand Slam molto presto, ti aspetti di fare bene ogni volta. Forse è la stessa cosa che è successa a Sofia Kenin dopo la vittoria agli Australian Open. Tutto è diventato molto più difficile e anche per Aljona è andata così. Qualche volta si sente come se fosse sul campo e dovesse giocare nello stesso modo in cui giocò arrivando a vincere il Roland Garros. Ovviamente per me si è trattato semplicemente di farle capire che certi giorni sono migliori di altri. Ed è vero che dalla sua racchetta è in grado di sprigionare una potenza incredibile, ma bisogna saperla incanalare e bisogna essere in grado di entrare in partita prima che sia troppo tardi. Magari sei sul punto di giocare meglio e si tratta da portare quella prospettiva nel suo gioco e anche nei suoi processi mentali, perché qualche volta Aljona è davvero troppo dura nei confronti di se stessa.

Come si parla a una come lei che ha già vinto così presto un Grande Slam, quando sai che ha il potenziale di vincere di più, ma non ha fiducia in se stessa? Deve essere stata una scommessa molto stimolante per te come coach.
Si lo è stato. Ecco perché ci è voluto un po’ di tempo, perché devi capire la tua giocatrice, devi conoscerla meglio. Ovviamente abbiamo avuto una o due aspetti tecnichi su cui lavorare, specialmente il servizio, per darle un po’ più di fiducia in quel colpo. E poi sta tutto nel cercare di capire, quando la alleni, quello che recepisce e funziona meglio per lei. Questo il motivo per cui ci è voluto un po’ di tempo, perché qualche volta se insisti troppo e lei ha una sorta di blocco e non vuole provare un colpo o implementarlo, c’è il rischio che si lasci andare e che poi, in partita, si perda d’animo. Quindi si è trattato di trovare il giusto equilibrio tra il darle uno schema a cui attenersi, ma anche la libertà di essere creativa in campo e di fare quello che ritiene di dover fare. Quindi tutto sta nel conoscere la giocatrice, esplorare anche i suoi stati d’animo, e cogliere ciò che funziona meglio per lei. Sono molto contenta che ora tutto abbia cominciato ad ingranare e che stia giocando un tennis molto più continuo. Ha giocato bene a San Pietroburgo e agli Australian Open dove ha portato la Krejcikova al terzo set, pur perdendolo 6-4. Ha giocato alla grande a Dubai. Sta dimostrando che settimana dopo settimana può giocare un grande tennis.

Parlami adesso un po’ di te: che tipo di allenatrice sei? Sei molto dura?
Beh, sono la stessa di quando giocavo. Sono molto intensa. Vivo e respiro ogni punto che lei sta giocando. Così ho le stesse sensazioni che ha lei sul campo per tutto il match. Poi è sempre stata mia abitudine lavorare molto duramente. Per Aljona forse è un po’ diverso perché viene un altro tipo di background, ma io sono sempre molto intensa, sia in allenamento, sia durante il match. Penso comunque che lei lo apprezzi perché sa che posso capire cosa sta provando in ogni momento. Ecco perché attualmente molti tennisti hanno la tendenza a ingaggiare come coach ex giocatori. Proprio perché in qualità di ex giocatori abbiamo quel trascorso che ci permette di sapere cosa vuol dire giocare sotto pressione, con i riflettori puntati addosso, con tutti quei punti da difendere ogni settimana e tutto quello che devono affrontare. Noi lo abbiamo già vissuto, quindi si fidano maggiormente di quello che diciamo.

So che ha Jelena ha detto che eravate abbastanza amiche prima che tu la allenassi. Siete ancora amiche o questo fa sì che sia difficile bacchettarla quando è necessario?
Si, siamo molto legate. Siamo sempre amiche. Qualche volta ha una giornata difficile e gioca un brutto match, ma succede e la capisco e quindi devo farle arrivare il messaggio senza essere troppo morbida, ma sempre mantenendo il nostro rapporto. Ecco perché tutto funziona così bene, perché alla fine rimaniamo sempre amiche. Questo è un punto interessante. Penso che il fatto di andare così d’accordo anche fuori del campo sia quello che ci ha permesso di avere così tanta fiducia l’una nell’altra nel corso degli anni.

Traduzione di Lorenzo Andorlini e Luca Gori

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