Becker shock, va in prigione (Crivelli, Giammò). Wimbledon arrivo, il rilancio di Berrettini (Ramazzotti, Uccello). "Roma, quanto mi manchi..." (Martucci)

Rassegna stampa

Becker shock, va in prigione (Crivelli, Giammò). Wimbledon arrivo, il rilancio di Berrettini (Ramazzotti, Uccello). “Roma, quanto mi manchi…” (Martucci)

La rassegna stampa del 30 aprile 2022

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Sentenza bum bum (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Stavolta non guarderà il mondo attraverso le maglie di una rete: il suo orizzonte, almeno per i prossimi quindici mesi, sarà infatti oscurato dalle sbarre di una prigione inglese che accoglierà la triste parabola di un campione bambino che dopo i prodigi del tennis ha faticato davvero a ritrovarsi come uomo. Da ieri Boris Becker – il più giovane vincitore della storia di Wimbledon (era il 1985, aveva 17 anni e 8 mesi), un’icona pop e non solo sportiva a cavallo degli anni 80 e 90, l’idolo incontrastato di un Paese, la Germania, che con una racchetta in mano prima di lui non toccava pallina da cinquant’anni – è rinchiuso in una cella della Southwark Crown Court di Londra dopo che lo stesso tribunale lo ha condannato a due anni e sei mesi per quattro capi di imputazione relativi alla bancarotta fraudolenta dichiarata nei suoi confronti da una sentenza del 2017. La cravatta Già riconosciuto colpevole l’8 aprile scorso, l’ex campione tedesco attendeva soltanto di conoscere la pena. Non gli è bastato, per ottenere la clemenza della giudice Deborah Taylor, presentarsi all’ultima udienza con la cravatta lilla e verde dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, il Circolo che dal 1877 organizza il torneo di Wimbledon: un piccolissimo bagliore dell’antica gloria, quasi a voler esorcizzare l’amaro destino di sconfitta che a differenza dei tempi d’oro l’amata Londra, in cui risiede dal 2012 dopo i trascorsi in Svizzera e a Montecarlo, gli avrebbe riservato. […]. E quando ieri ha preso un taxi per arrivare a Southwark, con lui in macchina è salito pure il primogenito Noah, che portava in spalla un borsone evidentemente riempito con gli effetti personali del padre in vista della detenzione. Becker rischiava fino a sette anni, ne ha avuti meno della metà. E dei 30 mesi che gli sono stati irrogati, ne sconterà in galera 15 prima della libertà condizionale. Secondo l’accusa, nei mesi immediatamente successivi al fallimento di cinque anni fa il vincitore di sei Slam trasferì centinaia di migliaia di sterline dal suo conto personale ad altri conti, compresi quelli delle ex mogli Barbara e Lilly, non dichiarò la proprietà di una villa in Germania, nascose un prestito bancario di 825.000 euro e il possesso di migliaia di azioni di un’azienda hi tech, sottraendo così più di tre milioni di euro al patrimonio destinato a soddisfare i creditori. Nella polvere Nella requisitoria, il pubblico ministero Rebecca Challdey lo ha investito con parole pesantissime: «L’imputato ha agito deliberatamente e in modo disonesto cercando di incolpare gli altri. Ha certamente subito l’umiliazione del processo, ma non si è mai dimostrato umile e non ha avuto rimorsi. E la condanna per evasione fiscale in Germania del 2002 doveva rappresentare un monito». L’avvocato difensore Jonathan Laidlaw ha cenato di ammorbidire il giudice dichiarando che il suo assistito non ha mai speso soldi per garantirsi «un’esistenza sontuosa», ma piuttosto per il mantenimento dei figli, per l’affitto e per le spese legali e aziendali, subendo al contrario «pubbliche umiliazioni» e senza la possibilità di garantirsi potenziali guadagni futuri. L’ex campione, invece, aveva negato tutti gli addebiti sostenendo di aver sempre collaborato con amministratori incaricati di proteggere i suoi beni e di aver agito su consiglio di esperti. Resta tuttavia il retrogusto amarissimo dell’abisso personale in cui è piombato un uomo che per un decennio ha avuto il mondo ai suoi piedi, fin da quando ancora ragazzino si prese il torneo più grande ed iconico e divenne subito una celebrità per il gioco spumeggiante e i capelli color carota, quasi fluo. In carriera, Becker ha guadagnato 22 milioni di euro di soli premi, ma secondo alcune riviste specializzate era arrivato ad accumulare, con le sponsorizzazioni, un patrimonio di 200 milioni di euro. Sperperato tra investimenti sbagliati (come una villa costosissima a Palma di Maiorca), un divorzio sanguinoso da 20 milioni di euro con Barbara Feltus e uno stile di vita lussureggiante, con una casa a Wimbledon che gli costava 25.000 euro al mese solo d’affitto. Quando venne dichiarato fallito nel 2017 per non essere rientrato da un prestito di 4,6 milioni di euro con una banca e di 1,2 milioni con un privato, il tribunale calcolò che i suoi debiti complessivi ammontavano a 59 milioni di euro. Un tracollo finanziario che lo ha pure costretto a mettere all’asta molti dei suoi trofei, il legame più stretto di un campione con le sue imprese eroiche. Dalle braccia al cielo sul campo più bello e famoso di tutti alla polvere di un’angusta cella a poche miglia da quel posto magico. Così passa la gloria del mondo

Becker shock, va in prigione (Roland Giammò, Il Corriere dello Sport)

Londra fatale. Londra finale. Vedi alle volte parabole della vita? Le sue traiettorie? Uno scambio lungo 37 anni, quello tra Londra e Boris Becker Iniziato nel 1985, quando l’allora diciassettenne tedesco trionfo a sorpresa a Wimbledon dando il via alla sua ascesa. E chiusasi ieri, quando la Southwark Crown Court, il palazzo di giustizia sulle rive del Tamigi, l’ha giudicato colpevole dei reati lui ascritti – bancarotta fraudolenta e insolvenza verso i suoi creditori – condannandolo a trenta mesi, la metà dei quali da scontare in prigione. OPERAZIONI.La vicenda prende le mosse neL 2017 quando Ia BBPOL (Boris Becker Private Office), società a lui intestata per la gestione del suo patrimonio, finisce in bancarotta per non aver saldato un prestito di più di tre milioni di sterline nei confronti di una banca inglese – la Arbuthnot Latham – richiesto per la sua villa di Maiorca. Anziché procedere al pagamento dei debiti contratti, íl giorno dopo Il dichiarato fallimento Becker si dimette da amministratore unico della società e il suo posto viene preso dalla moglie Sharley. La mossa insospettisce gli inquirenti che da allora, più che sui movimenti del tre volte vincitore Wimbledon, decidono di concentrarsi su quelli dei suoi beni. Scoprendo transazioni, omissioni e sparizioni che lasciano poco spazio all’immaginazione. Nell’ordine: un secondo prestito non dichiarato di 825.000 sterline richiesto alla banca Alpinum del Liechtenstein, la vendita di una concessionaria Mercedes in Germania per un valore di oltre 900.000 sterline di cui si sono perse le tracce, il tentativo di non figurare quale proprietario di una villa in Germania e di 75.000 azioni di una società attiva nel campo dell’intelligenza artificiale, e in ultimo la sparizione dei trofei accumulati in carriera tra cui spiccano i tre vinti a Wimbledon, le due coppe conquistate agli Australian Open più svariati altri. […] CRAVATTA. A nulla è valsa la difesa del suo avvocato, JonathanLaidlaw, secondo cui Becker avrebbe speso quelle somme per pagare le spese di mantenimento alla ex compagna, da cui ebbe una figlia nel 2000 che fu poi costretto a riconoscere. Quanto sostenuto da Laidlaw nel suo intervento che la vita di Becker sarebbe stata rovinata in caso di condanna, con ripercussioni sul suo nome e inevitabile ostracismo da ogni ruolo televisivo – non ha trovato udienza pressa la giudice Taylor che, pur riconoscendo lo stato di caos in cui il tedesco si è trovato all’indomani della condanna, non ha riscontrato in lui alcun segno di rimorso. Non solo. Pur comprendendo l’umiliazione a cui può essere andato incontro, Taylor ha chiosato sottolineando come in questa storia Becker abbia peccato soprattutto di umiltà. Presentatosi in aula con al collo la cravatta con i colori sociali di Wimbledon, dalle 18 italiane di ieri Bum Bum è entrato nel penitenzíario di Wanclsworth e alle sue pareti potrà ora appendere il cimelio, contemplando già la strategia per la risalita una volta uscito. Il genio per farlo non gli manca. L’umiltà saprà coltivarla.

“Wimbledon arrivo”, il rilancio di Berrettini (Luca Uccello, Tuttosport)

Matteo Berrettini non sa ancora quando tornerà a giocare su un campo da tennis. Non vuole rischiare niente. […]. «La riabilitazione al mignolo della mano destra operata a fine marzo procede secondo i programmi. Ho sentito una fitta durante un rovescio. Poi ci ho giocato sopra», ha confidato a Tuttosport presente alla tavola rotonda a Cesa Red Bull. È successo tutto prima di lndian Wells, «pensavamo a un’infiammazione e invece era una lesione di una piccola particella sopra il mignolo destro che serve a tenere fermo il tendine. Ogni volta che colpivo di rovescio il tendine si spostava. Prima di Miami abbiamo deciso che era meglio fermarsi e operarmi- Ora sto meglio, muovo la mano. Non sto ancora giocando ma conto di farlo a breve… ». In tempo per l’ultimo torneo su terra rossa? «Difficilmente sarò al Roland Garros perché non voglio forzare i tempi, andrò a Parigi solo se sarò nella condizione di arrivare fino in fondo. Se non mi sentirò pronto andrò direttamente sull’erba. E al momento è più no che sì…» Appuntamento quindi a Wimbledon? «L’anno scorso ho preso il palo perdendo in finale contro Djokovic, la prossima volta spero di segnare…» Vincere Wimbledon è il sogno? «Quando ci arrivi così vicino è soltanto questione di dettagli. Per me era la mia prima finale, per Nole la trentesima… L’esperienza ha fatto sicuramente la differenza. Oggi sono meno pronto, non sono al massimo della condizione ma gli infortuni mi hanno sempre dato tanto a livello di motivazioni…» Avete fatto degli studi spediti sui problemi fisici che l’hanno colpita? «Abbiamo fatto degli studi, perché è giusto farlo quando nel tempo ci sono infortuni come quello agli addominali Non mi era mai successo prima. Ma credo che sia stato legato alla quarantena in Australia che non mi ha permesso di allenarmi in maniera adeguata e la cicatrice ha innescato la reazione a catena. Sicuramente non sarò mai un giocatore che giocherà 35 tornei all’anno. Ma trovare una continuità è uno dei miei obiettivi… Cosa chiede a questo 2022 che comincia un po’ in ritardo per lei? «Essere sano, giocare bene, vincere, fare un grande Wimbledon e un bel giro americano tra Canada e Cincinnati, e poi qualificarmi di nuovo per le Atp Finals di Torino, sperando vadano un po’ meglio dell’ultima volta..» Se dovesse scegliere tra un grande Slam e la Davis con l’Italia cosa preferirebbe? -Sono due emozioni diverse. Ad uno slam ci sono andato vicino a vincerlo, mentre la Davis non sono ancora riuscito a godermela. Ma in questo momento direi ancora slam. Poi però la Davis è lì, appena dopo tra i miei desideri…» I protagonisti della vittoria della Davis del 1976 sono convinti che siate quelli giusti per poterla riportare in Italia_ «Ne sono convinto anch’io perché la squadra è molto forte. Il doppio oggi è ancora più importante rispetto al passato. La Davis l’ha vinta anche la Russia che non ha certamente il doppio più forte del Mondo. Fabio e Simone stando giocando molto bene quest’anno. Poi ci siamo noi singolaristi. Le condizioni ci sono ed è l’obiettiva della squadra» Quanto manca per prendere la scena di Djokovic, Nadal e Federer «Per me è bellissimo vivere già nella loro era, tutti e tre li ho vissuti prima in televisione da spettatore, da tifoso e poi in campo da avversano. Per me è un grande orgoglio il fatto che io possa confrontarmi ancora con loro è una sfida bellissima, che mi stimola a dare che mi stimola a dare sempre di più. E’ eccitante ma so che gli altri, quelli più giovani di me sono pronti per vincere, per spingere forte. Non basterà che loro smettano, bisognerà fare di più per prendere iI loro posto…» Quanto è cambiato Matteo Berettini personaggio dopo Sanremo? «Non mi sarei mai aspettato di diventare famoso quando ho cominciato a giocare a tennis Ma la mattina, quando mi sveglio penso ancora a come battere Djokovic e Nadal, soltanto a questo. Non sono cambiato anche se certamente fa piacere quando i tifosi mi riconoscono, quando mi dicono che grazie a me si sono avvicinati al tennis. La notorietà va gestita con le armi che mi hanno fonito i miei genitori, con l’educazione. Sicuramente ora andare a prendere un caffè è più difficile. La mascherina mi ha aiutato… (ride)»

“Stavolta a Wimbledon faccio goal” (Andrea Ramazzotti, Il Corriere dello Sport)

[…]. Matteo Berrettini non è ancora pronto e l’operazione alla mano destra lo costringerà a saltare Montecarlo e l’amato torneo di Roma, ma all’atleta del team Red Bull gli stimoli non mancano. A Wimbledon sente che stavolta potrebbe essere l’anno giusto per un trionfo. Berrettini, come sta? «Ora bene, ma non ho ancora ripreso a giocare. Ho sentito per la prima volta il dolore al dito nei giorni precedenti all’inizio di Indian Wells, quando facevo il rovescio a due mani: avvertivo come uno scatto del tendine che usciva dal binario. I primi accertamenti non avevano dato un esito preoccupante ed ero sceso in campo con gli antidolorifici. Il fastidio, però, aumentava e per questo mi sono ritirato a Miami. Capita la reale entità del problema, mi sono operato». Non era un infortunio banale. «Era una lesione di una piccolo parte della mano che fa sì che il tendine del mignolo stia al suo posto. Nel mio caso usciva sempre dalla sede naturale e si lussava. Adesso ho ripreso a dare la mano, a muoverla e… a salutare, ma ancora niente tennis. Spero di rientrare a breve perché sta andando tutto come da programma». […] Sarà in campo al Roland Garros? «In questo momento più no che si. Quando toccherò la prima palla, saprò quanto mi serve per tornare a un livello di forma accettabile. Nella sporte nella vita “mai dire mai”, ma non mi prenderò dei rischi e non deciderò con fretta. Se non mi sentirò pronto, salterò la terra e andrò dritto sull’erba. Questa stop forzato mi permetterà di arrivare più fresco fino a fine novembre». Niente Roma: è dispiaciuto? «Gli internazionali d’Italia sono il torneo che sento di più dal punta di vista emotivo perché da bambino ero la a vedere il torneo e sognavo di essere competitiva a quei livelli. Fa male saltarlo. Purtroppo a causa del Covid e della capienza ridotta nelle ultime due edizioni non me lo sono goduto. Vedrete che nel 2023 avrò le energie mentali per presentarmi al Foro Italico per far bene». I tifosi italiani in sua assenza possono sperare in un’impresa di un connazionale? «Sonego e Sinner. Spero che un italiano arrivi in fondo e vinca». Torniamo a lei e all’erba_di Wimbledon, lasciata lo scorso luglio con la sconfitta in finale contro Djokovic. Cosa le è mancato per vincere? «Quando arrivi così vicino a un successo nello Slam, è questione di dettagli e Novak era alla trentesima finale in uno Slam, io alla prima. Lui inoltre per caratteristiche di gioca mi dä parecchio fastidio». Cl riproverà a fine giugno? «Un anno fa ho preso… il palo. Speriamo stavolta di far gol. Scherzi a parte, sarò meno pronto perché 12 mesi fa era arrivato lì con tanti match sulle spalle, stavolta no. Ora però ho più esperienza e sono più maturo. Gli stop e le sconfitte mi hanno insegnata tanto». Cosa in particolare? «Meglio vincere, ma le sconfitte sono più importanti. Dopo un’assenza per infortunio o un ko ho sempre sentito una grande spinta dentro di me, un motivo oli rivalsa. Le sconfitte se sono poche e sono prese bene, posso aiutare». Bisogna avere la testa giusta perché accada davvero. «Credo sia una mia caratteristica fin da bambino: allora come oggi: usavo ogni energia mentale per arrivare al massimo risultato. Vinco i punti con i miei colpi, ma se non entro in campo con il giusto approccio, anche il dritto e il servizio sono meno efficaci. Per essere un giocatore di élite i colpi contano fino a un certo punto. Se qualcosa non ti scatta dentro, è dura». Lei ha un mental coach? «Fin dai 17 anni, ma non c’è un esercizio specifico che faccio con lui. Si tratta di un percorso che porta a conoscerti nel tempo, ti fa digerire la sconfitta in maniera corretta e ti toglie un po’ di pressione». Dopo Wimbledon e la partecipazione di Sanremo, tutti la conoscono. E’difficile da gestire la notorietà? «Non me la sarei mai aspettata, ma fa piacere quando i tifosi mi dicono di essersi avvicinati o riavvicinati al tennis grazie a me. La notorietà la gestisco con l’educazione che mi hanno data i miei genitori: se uno mi chiede una foto, non riesco a dire di no. Le mascherine finora mi hanno aiutato a mimetizzarmi. Ml dispiace solo che a volte, quando voglio dedicare tempo ai miei migliori amici, non sempre ci riesco perché ci sono tante persone intorno». Si parla da due-tre anni del ricambio generazionale, dei Fab3 in declino e invece vincono ancora. «A stare al top devi abituarti. Federe; Nadal e Djokovic hanno sempre saputo gestire la pressione facendo risultati incredibili, ma per i comuni mortali gli alti e i bassi sono fisiologici». Bello vivere questo momento in cui, con i tre grandi in flessione, i giovani si stanno ritagliando uno spazio importante? «E’ dieci anni che parlano di una loro flessione e invece vincono sempre. Giocare nella loro era per me è fantastico: tutti e tre li ho vissuti in tv da spettatore e poi in campo. Già questo mi ha reso orgoglioso. Quando smetteranno, però, niente sarà facile: c’è una generazione di atleti più giovani di me, da Sinner e Alcaraz, che sono super competitivi». Se dovesse scegliere tra vincere Slam o la Coppe Davis, cosa vorrebbe? «In questo momento uno Slam, mala Davis viene subito dopo». L’Italia non la solleva dal 1976. La vostra è la generazione giusta per riportarla a casa? «Il momento è arrivato perché la squadra è molta forte. Dal 1976 sono cambiate tante case, a partire dalle regole. Il doppio è ancora più importante del passato e noi non eccelliamo in questa specialità, ma la Davis l’ha vinta la Russia che non ha certo il doppio più forte del mondo. lo credo nella squadra e nei ragazzi. Stiamo costruendo un progetto a medio lungo termine e possiamo arrivare in fondo». Questo periodo di stop le ha permesso di stare a Roma. Non è che ha pensato d fatto che con II tennis viva in una bolla e che le manca une vita vera? «Fino a un certo punto della mia carriera non ho mai sentito la mancanza della vita di tutti i giorni perché ero focalizzato a far bene nel tennis. Adesso ogni tanto una sera di baldoria o un weekend con gli amici me lo concedo e non muore nessuno. Anzi, mi ricarica». Considera il tennis un lavoro? «No. A volte preferirei evitare un meeting con un avvocato, una sessione di fisioterapia o un allenamento pesante, ma nella mia vita sto facendo quello che sogno. Mi dà solo fastidio che devo stare lontano dagli affetti per 10-11 mesi l’anno. Quando mi chiama la nonna piangendo perché non mi vede, mi crea un buco dentro». Tutti le riconoscono ci essere un bel ragazzo. Lei quando ha capito di essere bello? «Il 12 aprile 1996; quando sono nato. Mia mamma ha subito detto: Ammazza quanta è bello” (ride: ndr). Idem mia nonna. Io però non mi guardo allo specchio e mi ripeto: “Ammazza come sono bello”. La bellezza per giocare a tennis poi non aiuta». Cosa chiede alla seconda parte del 2022? « Di essere sano e spingere forte. Non ho mai giocato bene i Master 1000 in Canada, neppure a Cincinnati. Sarebbe stupendo fare un “giro” americano bello e poi gli US Open. Punto a qualificarmi per le Atp Finals, ma l’nfortunio mi ha fatto perdere tanti punti. Ho tempo per recuperare e ci proverò»

“Roma, quanto mi manchi…” (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)

Il torneo di Roma parte virtualmente oggi con la fase finale delle pre-qualificazioni, prologo del torneo del 9-15 maggio dove Matteo Berrettini non ci sarà. Fisicamente è a Milano per lo sponsor Red Bull in piena riabilitazione del mignolo della mano destra operato a fine marzo: una piccola lesione che gli faceva uscire il dito dalla guaina procurandogli un gran dolore soprattutto quando colpiva di rovescio e gli ha vietato la stagione sulla terra rossa, compreso quasi sicuramente anche il Roland Garros dal 22. «Procede secondo i programmi. Non ho ancora ripreso ad allenarmi con la racchetta, nelle prossime settimane deciderò su Parigi, al momento è più no che sì. Se non sarò convinto di poter arrivare fino in fondo nel torneo, passerò direttamente alle partite sull’erba». DISPIACIUTO Rinunciare agli Internazionali d’Italia per il romano è stato particolarmente doloroso: «Purtroppo da 3 anni per un motivo o per l’altro non sono riuscito a vivere il torneo nella sua atmosfera normale. Questa rinuncia è il colpo più duro». Ma al di là del portentoso uno-due servizio-dritto che l’anno scorso l’ha portato a conquistare il Queens ed arrivare in finale a Wimbledon, Matteo ha il suo punto di forza nella testa: «Non voglio rischiare nuovi infortuni, voglio fare una seconda parte di stagione senza problemi per cercare di qualificarmi alle Atp Finals di Torino. Ci sono ancora due Slam, finora non ho mai potuto giocare il Masters 1000 in Canada e non sono mai arrivato in forma a quello di Cincinnati prima degli US Open». La ripartenza è già cominciata: «Speriamo di superare ancora una volta questo momento mentalmente difficile, e trasformarlo in cattiveria agonistica. Ho sempre sentito una spinta più forte dopo una sconfitta, forse per la vo- glia di rivalsa che diventa uno stimolo. Per questo dopo i tanti infortuni sono sempre tornato più forte di prima, con più motivazioni». Con quale obiettivo? «Potessi scegliere fra vincere uno Slam o la Davis in questo momento sceglierei uno Slam, anche se abbiamo tutte le possibilità di vincere la Coppa in tempi medio-lunghi: la squadra c’è, il doppio è diventato molto più importante ma la Russia ha vinto questa gara con una grande coppia. E Fabio (Fognini) e Simone (Bolelli) stanno giocando molto bene». L’anno scorso a sbarrargli la strada ai Championships c’era Novak Djokovic: «Ho preso il palo, la prossima volta spero di segnare. C’era una differenza notevole di esperienza fra me alla prima finale Slam e Novak che era alla numero 30». PROBLEMI E VITA […] Come vive la condizione di numero 6 del mondo, come sostiene l’urto della notorietà? «Non me lo sarei mai aspettato, ma fa piacere essere riconosciuto. La notorietà va gestita ma non è mai stata un ingombro. Certo, mi fa sentire quasi in colpa non poter dare tutta l’attenzione alle persone che mi amano e mi stanno più vicine, o sentire nonna che piange al telefono perché non mi vede da tanto. Così come non è sempre facile non poter parlare a lungo con gli amici perché qualcuno vuole una foto o un autografo. Ma mi fa piacere, gli insegnamenti dei genitori mi aiutano a gestire tutto». E quando gli dicono bello, trova la risposta giusta: «In realtà mi sono sempre sentito dire cosi, sin dalla culla con nonna e mamma, ci sono abituato». Nè è una sorpresa se i nuovi mostri perdono più dei Big 3: «Ci siamo abituati troppo bene con Federer, Nadal ne Djokovic». Orgoglioso soprattutto «di poter portare più gente allo sport in generale non solo al tennis». Felice perché «il tennis non è un lavoro, faccio quello che davvero mi piace». Tranne giocare a Roma 2022.

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