Lyudmyla Kichenok: “Voglio tornare a vivere come prima”

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Lyudmyla Kichenok: “Voglio tornare a vivere come prima”

La doppista ucraina racconta gli ultimi mesi della sua vita: la fuga verso la Moldavia all’inizio dei bombardamenti, il sostegno di Jelena Ostapenko, il ban di russi e bielorussi a Wimbledon e “i tanti che non capiscono”

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Jelena Ostapenko e Lyudmyla Kichenok – Wimbledon 2022 (foto: Arata Yamaoka via Twitter @ukrtennis_eng)
Jelena Ostapenko e Lyudmyla Kichenok – Wimbledon 2022 (foto: Arata Yamaoka via Twitter @ukrtennis_eng)
 

Lyudmyla Kichenok è una tennista ucraina, numero 16 del mondo in doppio, specialità che da diversi mesi la vede al fianco di Jelena Ostapenko. Insieme alla lettone, ha raggiunto le semifinali al Roland Garros e a Wimbledon; tra i due eventi Slam, le due hanno alzato il trofeo a Birmngham e fatto finale a Eastbourne. La ventinovenne nata a Dnipro, città a circa 500 km a sudest di Kyïv, ha raccontato a Suspilne.media come sta vivendo la tragedia della guerra nel suo Paese, dalla fuga in auto verso la Moldavia alle esperienze di familiari e amici, da tutti quelli che l’hanno aiutata agli psicologi della WTA che insomma. Anche per non dimenticare che, anche se nelle prime pagine dei giornali è stata sostituita da altre notizie e ci siamo un po’ assuefatti come sempre accade, la guerra e il dramma conseguente continuano. Ecco allora le sue parole riportate dall’account Twitter della Federazione Tennis Ucraina.

“Il 22 febbraio, mia sorella maggiore Nadiia ha lasciato l’Ucraina con suo marito, avvertendomi che stava per succedere qualcosa di terribile. Non ci credevo, le ho detto, perché ti preoccupi, non accadrà nulla.

“Due giorni dopo, mia mamma mi ha svegliata, Nadiia aveva chiamato da Stati Uniti dicendo state dormendo, Borypsil, un sobborgo di Kyiv è sotto i bombardamenti. Ero scioccata, ho tremato per due ore, è stato spaventoso. Abbiamo deciso di fuggire in Moldavia, tremo di nuovo mentre te lo racconto. Mia mamma lavorava a Severynivka (nel distretto di Bucha), una delle zone calde. I miei genitori sarebbero rimasti là, hanno accettato di partire solo insieme a me.

“Siamo partiti in auto, ho guidato senza fermarmi per 36 ore: non avevo idea che il corpo umano fosse capace di tanto. Non ho dormito per una settimana. Più tardi sono andata a Iasi, in Romania, su un treno per rifugiati, madri e bambini. Hai una visione differente della vita quando lo vedi. Sono anche rimasta colpita dal modo con cui le persone ci hanno accolto in Romania. C’erano tanti volontari alla stazione, mi hanno dato del tè e generi di prima necessità.

“Più tardi sono andata a Indian Wells. Non capivo come allenarmi quando il corpo non ti permette di farlo. Non ho fatto nulla per 12 giorni. Ero traumatizzata, mentre le persone attorno a me erano felici e si comportavano come al solito. Gli psicologi della WTA facevano domande, ma non capivano davvero cosa stesse succedendo. Ho ricevuto tanti messaggi dalle giocatrici, mi chiedevano come aiutarmi. Non dico i nomi perché ho paura di dimenticarne qualcuno. Erano tanti, ma in quel momento era tutto molto confuso.

“Abbiamo poi saputo che mio padre – ha 63 anni – era tornato in Ucraina. Voleva unirsi alle forze di difesa territoriali a Kyiv, ma non lo hanno accettato perché c’erano abbastanza persone, così aiuta come volontario.

“Voglio tanto tornare a casa, andare a fare una passeggiata. Kyiv è bellissima d’estate. Voglio tornare e vivere come prima. Capisco che non ci possa più essere un ‘come prima’, ma ho la speranza. Credo nella vittoria dell’Ucraina dal primo giorno, faremo di tutto per vincere.

“Jelena Ostapenko mi ha sostenuta tanto fin dall’inizio, mi ha aiutata quando ero con lei a Riga. Jelena ha fatto tutto il possibile per farmi sentire bene. Non ho bisogno di spiegarglielo, capisce molto bene quello che succede. Ora ci prepareremo per i tornei americani.

“Quando l’Ucraina ha giocato in BJK Cup, non è che abbiamo giocato “contro” gli Usa, ma è stato più per raccogliere fondi per il nostro Paese. Ci hanno dato un benvenuto caloroso. Volevamo davvero vincere quel tie, forse anche troppo. Abbiamo fatto del nostro meglio, giocavamo per l’Ucraina.

Nell’ambiente del tennis, la maggior parte delle persone non capise quello che sta succedendo. È andata meglio a Wimbledon con gli atleti russi e bielorussi squalificati. Consiglierei a quelli che non condividono il ban di seguire le notizie. Io stessa non lo facevo prima del 24 febbraio, me ne pento. Pensavo, ok, sta succedendo qualcosa. Ma ora vi raccomando di farlo, ci sono tante fonti.

“È dura vedere gli impianti sportivi distrutti [il Centro della federtennis ucraina di Irpin, nella periferia della capitale, è stato bombardato in aprile, ndr]. Sono indignata, è un’ingiustizia. Uno dei miei preparatori atletici si trovava a Kremenchuk quando c’è stato l’attacco missilistico della Russia al centro commerciale [a proposito del quale c’è stato l’ennesimo tentativo della propaganda russa di negare attraverso false informazioni, smentite dalle immagini satellitari e delle telecamere di sorveglianza]. Così, quando leggo che l’Ucraina dovrebbe arrendersi, non lo capisco proprio.

“È stata molto dura per me dal punto di vista emotivo quando ho scoperto che l’altro mio preparatore era rimasto prigioniero. Hanno passato 37 giorni nel seminterrato durante l’occupazione di Vorsel, nella regione di Kyiv. I russi hanno saccheggiato la sua casa, rubando dai vestiti alle tazze in cucina. Insieme a Nadiia abbiamo aiutato un amico in Austria a comprare forniture mediche per gli ucraini. Aiutiamo i volontari, aiutiamo le Forze Armate ucraine. Ci siamo anche unite alla campagna per la raccolta fondi per i Bayraktar [droni militari turchi]. Sarà difficile, ma l’Ucraina vincerà.”

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