Aveva 82 anni, era stato colpito da un malore a gennaio. Purtroppo non si più ripreso Roberto Mazzanti, uno dei pochi, pochissimi giornalisti davvero signori, con i quali era impossibile litigare. Un uomo per bene. E non lo scrivo perchè ci ha lasciato, ma perchè è vero. E lo può dire e confermare chiunque lo abbia conosciuto.
Roberto era stato negli anni Settanta il direttore di Matchball (in edicola dal 1970 al 1996), la seconda rivista di tennis – dopo “Tennis Club” diretta da Rino Tommasi – per la quale poco più che ventenne avevo cominciato a collaborare, spinto dalla mia inesauribile passione per il tennis e per il giornalismo, gli stessi due grandi amori di Roberto. Per lui, come per me, era una passione romantica, senza mai l’ambizione di arricchirsi, ad alimentare quei due eterni amori.
Lui, bolognese, era cresciuto all’interno del Resto del Carlino dove era stato assunto inizialmente come correttore di bozze. Infatti, diventato poi redattore professionista del quotidiano bolognese, dividendosi fra le pagine della cronaca cittadina come dello sport – come sarebbe successo anche a chi scrive – non avrebbe mai sopportato i refusi.
Non l’ho mai visto arrabbiato, mai perdere il controllo, mai alzare la voce. Un gentiluomo con aplomb british, mascherato da un moderato accento emiliano. Adorava guardare il tennis, non solo quello dei grandi – venne anche a vedermi giocare la finale di doppio dei campionati italiani di Seconda Categoria al Circolo Tennis Giardini Margherita, lui che frequentava la Virtus del presidente (anche FIT) Giorgio Neri – ma gli piaceva anche giocarlo. E lo ha fatto da dilettante fino a tempi anche recenti, sebbene avesse scoperto anche il golf e, negli anni, gli fosse venuta anche la passione per le automobili, la tecnologia, il loro evolversi.
Lavoravamo per lo stesso gruppo editoriale, la Poligrafici, ma io – più giovane e scapolo mentre lui era sposato – ero più disponibile a sacrificare ferie e vacanze (a caccia di ospitalità o alberghi a due stelle) per andare a seguire il tennis nel maggior numero possibile di tornei.
Quindi per Nazione e “Carlino” accadeva che lui mi lasciasse il passo per gli Slam e che io lo lasciassi a lui per la Coppa Davis …che allora era una cosa seria, ma si esauriva in alcuni long-weekend e che potevano essere anche 5, 6 o 7 in un anno se l’Italia andava in finale come accadde per quattro anni su cinque fra il ’76 e l’80. Accadde anche che con quei ripetuti exploit dei nostri 4 moschettieri azzurri io mi ritrovassi a seguire insieme a Roberto anche quegli eventi a squadre.
Non esisteva Internet, né la composizione digital-elettronica e Matchball optò, anche per contrapporsi a “Il Tennis Italiano” che era un mensile, una cadenza quattordicinale. Usciva in edicole (sì, esistevano ancora…) ogni due martedì e sotto la guida di Roberto scrivevamo i nostri articoli Roberto, Rino Tommasi, Vittorio Piccioli, il sottoscritto, Paolo Francia, Viviano Vespignani e (diversi anni dopo) si sarebbe aggiunto, fra i tanti, anche Luca Marianantoni con tutti i numeri che si portava appresso. In redazione due giovani di belle speranze, Stefano Semeraro e Enrico Schiavina., Al lunedì mattina Matchball doveva essere “chiuso” in tipografia. La domenica sera…si finiva per scrivere editoriali, pagelle, statistiche, a notte inoltrata. Sempre facendo le corse, perché magari le partite, ai più diversi fusi orari, finivano tardissimo e la copertura era massiccia. Per merito di tutto il team Matchball diventò ben presto la rivista leader e tale restò fino a che l’avvento di Internet, delle notizie on line, delle coperture televisive di più network, fece strage di gran parte delle riviste cartacee, impossibilitate a reggere la concorrenza sul piano della tempestività dell’informazione.
Roberto, giornalista elegante ed equilibrato, prediligeva i tennisti dal bel braccio, McEnroe, Panatta, Bertolucci (e più recentemente inevitabilmente Federer), Rino era prima innamorato di Rosewall e poi di Edberg, io stravedevo per l’arte e l’imprevedibilità di Nastase, per la grinta e i limiti tecnici di Connors oltre che per Boris Becker (per far da contraltare a Rino), quando sarebbe arrivato Luca avremmo annoverato nel team di Matchball anche un grande fan di Lendl.
Vabbè, vedete, anche adesso che Roberto ci ha improvvisamente lasciato affiorano nella mia mente tanti ricordi, tanti amichevoli dibattiti e lui che, con fare quasi ecumenico, mi diceva: “Dai Ubaldo scrivi le tue pagelle, falle un po’ tecniche, un po’ironiche, senza infierire mai troppo…anche se lo sappiamo tutti che se devi scrivere di promossi e bocciati, ai lettori piaceranno sempre più i voti bassi che quelli alti, quelli più critici che quelli pieni di elogi. Il mondo va così” diceva chiaramente dispiacendosene. E a quei tempi non esistevano ancora i leoni da tastiera, gli “webeti”. Che la terra ti sia lieve caro amico. E che tua moglie Anna, tuo figlio Luca, la tua nipotina adorata, sopportino con forza e coraggio il vuoto che lasci a loro e a tutti quelli che ti hanno stimato e voluto bene.