Crisi Berrettini, l’ora delle scelte (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)
Campanello d’allarme? La stagione è sicuramente ancora giovane, e certamente può ancora riservargli un cammino virtuoso, ma non c’è dubbio che il rendimento di Berrettini dagli Australian Open in poi sollevi più di un dubbio sull’attuale competitività ad altissimo livello di un giocatore che, non dimentichiamolo, meno di due anni fa contendeva a Novak Djokovic il titolo di Wimbledon. L’ultima delusione matura ad Indian Wells, íl primo Masters 1000 stagionale sul cemento americano che nelle intenzioni di Matteo doveva rappresentare una tappa fondamentale per il rilancio. E invece la sua corsa si è subito interrotta nel match d’esordio contro il non irresistibile giapponese Daniel, numero 103 del mondo, in una partita in cui il nostro campione ha mostrato un rendimento deficitario al servizio, troppa fallosità con il dritto e ancora qualche impaccio di troppo negli spostamenti insieme a una condizione atletica non al top. Era idea condivisa che lo stop di un mese dopo l’eliminazione precoce a Melbourne potesse finalmente consentlrgli di affinare la preparazione in vista dei grandi appuntamenti di primavera fino al Roland Garros. Al contrario, sono arrivati il ritiro ad Acapulco contro Rune per guai a un polpaccio e lo stop in California. Non mi interessa una valutazione dei suoi comportamenti privati, mi limito a commentarne le prestazioni sul campo, che raccontano senza dubbio di un ragazzo ín crisi. Come uscirne? Io sono convinto che Matteo non si senta arrivato, ed anzi coltivi ancora l’ambizione di approdare di nuovo in top ten, di giocarsi gli Slam, di qualificarsi per le Finals. E dunque agire di conseguenza anche con scelte drastiche che gli consentano di interrompere questa spirale, pensando magari di incrementare il supporto tecnico, ricercando nuovi stimoli da un altra figura che non sostituisca ma si affianchi a Santopadre. In aggiunta, dovrebbe a mio parere percorrere tutte le strade possibili per individuare i migliori professionisti in grado di prendersi cura del suo delicatissimo equilibrio fisico. È opinione diffusa che Berrettini d’ora in poi dovrebbe concentrare tutti i suoi sforzi sulla stagione del l’erba, ma mi rifiuto di credere che un giocatore che ha raggiunto grandi risultati su tutte le superfici possa restringersi in un confine così limitato. Piuttosto, Matteo ha bisogno di giocare tante partite per rodarsi e queste sconfitte precoci non lo aiutano, anche dal punto di vista psicologico. Ecco perché non sarebbe un’ingiuria tecnica giocare a il Challenger di Phoenix senza lasciar passare due settimane senza match da qui a Miami. Reagire. Subito. La prima mossa.
Berrettini perde sereno: «Penso al 2019» (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Sognava la California, Matteo Berrettini, ma il Masters1000 di Indian Wells per l’azzurro si conferma tappa sfortunata. Incappato l’anno scorso in un infortunio che lo costrinse a saltare tutta la stagione sulla terra battuta, ieri notte la corsa si è arrestata al secondo turno, battuto in tre set dal giapponese Taro Daniel. Il match si annunciava insidioso, le poche partite giocate dopo l’Australia e lo spavento preso ad Acapulco, erano il bagaglio che Berrettini a Indian Wells sperava di alleggerire puntando a «mettere quante più partite possibili nelle gambe» e con loro una continuità mai trovata in questa prima parte di 2023. Giä dal primo game invece, durato quattordici punti, il n.23 del mondo ha dovuto fare i conti con condizioni a lui avverse e una familiarità con gli errori (50 a fine partita) che Taro ha impiegato poco a interpretare. Il primo set si è concluso al tiebreak dove Berrettini ha continuato a non lesinare generosità nei confronti del rivale regalandogli ben quattro dei sette punti. «Se non mi invento quei due tre numeri al tiebreak probabilmente la porto a casa in due set», ha poi dichiarato in conferenza l’azzurro. E a ragione. Perché il secondo set è stato un vero e proprio monologo. Nonostante un servizio precario Berrettini, se non la precisione, era sembrato ritrovare misura, effiicacia, lucidità e potenza non lasciando al giapponese nemmeno un game prolungando così un match la cui inerzia sembrava ormai pendere tutta dalla sua parte. «Mi aspettavo nel terzo di iniziare con un’energia un po’ diversa e non sono stato bravo abbastanza a stargli attaccato – ha poi riflettuto davanti ai microfoni il romano – Ho provato a lottare con quello che avevo ma non è bastato. Posso dire che fino allultimo punto sono stato attaccato». Magra consolazione, grande il rammarico. […] Tuttavia, indizi d’ottimismo sembrano comunque emergere da questa prima tappa del Double Sunshine. «Sicuramente non ho perso per problemi fisici», ha tenuto a precisare Berrettini a caldo. […] Adesso rotta su Miami, «senza farsi prendere dall’angoscia e dalla fretta con l’obiettivo di vincere una partita» e un occhio rivolto alla memoria: «Sappiamo che una delle mie migliori stagioni, il 2019, è iniziata proprio così», ha ancora ricordato Berrettini davanti ai microfoni. Iniziata la stagione da n. 60 del mondo ed eliminato al primo turno sia in California che in Florida, la sua stagione da lì in poi fu un crescendo che da Budapest a Monaco, passando per Stoccarda, Wimbledon e New York, culminò con le ATP Finals e lo status da top10.
La crisi di Matteo tra dubbi e guai fisici. Però c’è un’uscita (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Forse è giunto il momento di chiedersi se Matteo possa fare un bel pacchetto di questo avvio di stagione, dei pochi alti e dei troppi bassi che tutti insieme «fanno il tennis», come ha sostenuto ieri dopo la sconfitta con Taro Daniel a Indian Wells, un bel po’ annaspando tra le spiegazioni di giornata e i nervi di chi sa di essere in difetto («Come cazzarola ho fatto a commettere certi errori?»), e catalogare gli eventi in un’icona del suo pc sotto la voce “crisi”. La prima, nel caso si possa convenire su una parola fin troppo abusata in ambito sportivo e proprio per questo assurta al valore di contenitore tra i più elastici, capace di accogliere infiniti perché. Crisi di risultati, la sua, in tutta, evidenza. A sottolineare come prospettive e valori fisici, tempi e motivazioni ancora si mantengano al di là della linea che demarca quello stato transitorio di forte perturbazione nella vita di un individuo, che il nostro conosce forse per sentito dire, più che per averne sperimentati stati d’animo ed effetti collaterali. Ma comunque crisi, ufficiale, cui Matteo è giunto accompagnato per mano dal giapponese di New York Taro Daniel, trent’anni, oggi 103 Atp tendente al 95, con un best ranking al 67, uno che Berrettini ha sempre utilizzato da punching ball nelle sue scorribande sui ring del tennis. Fino a ieri. Fino a quando cioè Taro non gli ha sfilato un tie break che il Matteo dei tempi migliori avrebbe impacchettato con due o tre sganassoni, e poi gli ha rifilato un break omicida nel secondo game del terzo set, a fronte di uno di quei passaggi a vuoto che fanno da cornice all’ennesimo rientro nel circuito di Berrettini dopo un infortunio, dal quale non è riuscito a risalire con la prontezza di altre occasioni. A un buon avvio in United Cup (le vittorie con Ruud e Hurkacz, seguite dalle sconfitte d’un nulla con Tsitsipas e Fritz) la strada si è cosparsa d’inciampi e trabocchetti. Prima il Murray bionico dell Australian Open, malgrado un match point quasi impossibile da fallire che ha decretato l’apertura della stagione dei dubbi. Poi l’incerto quarto di finale di Acapulco, coagulatosi nel ritiro dovuto al “non infortunio” contro Rune (ma si sa, dai e dai anche un dolorino diventa fonte di infinite preoccupazioni) . Infine il match senza capo né coda contro Daniel a Indian Wells, arenatosi su uno schema di punteggio più simile al grafico di un evento sismico, dove al tie break perduto Matteo ha reagito con un sei-zero prima di precipitare da capo nel vuoto di un tennis poco propositivo. Crisi, crisetta, di fine inverno. Foriera magari di fulgenti ritorni primaverili, e di abbondanti libagioni estive. Ma da non prendere sotto gamba, dato che la crisi, come la sfiga, arriva in carrozza e se ne va in pantofole. Berrettini ha il corredo umano e morale per affrontarla al meglio, insieme con il suo staff, ma dovrà rispondere a qualche domanda che gli permetta di attingere a quanto di buono (molto di buono) realizzato sin qui. La prima gira intorno a che tipo di giocatore voglia essere. «Uno dei miei anni migliori, il 2019, mosse dagli stessi presupposti», dice Matteo l’ottimista, già in partenza per Miami. Fu la stagione della prima vittoria a Stoccarda, delle semifinali US Open, dell’approdo alle Finals e del numero 8 in dassifica. Allora Mareo era un giovane guerriero, era lui a far gioco, a proporre, talvolta a disfare. Sono convinto sia questa la sua dimensione più appropriata. Un Matteo conservativo non avrebbe senso. Meno ancora un Matteo costretto a inseguire le iniziative di un Taro Daniel qualsiasi. Ma forse non basta sentire di potercela fare. Occorre rafforzare la preparazione fisica, rendere più veloci le gambe, tornare a girare intorno ai rovesci più corti per piazzare il dritto e forzare le traiettorie. […]
Berrettini subito fuori a Indian Wells (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)
«Non so nemmeno io come cazzarola ho fatto a commettere certi errori». Il 7-6 0-6 6-3 che Matteo Berrettini subisce all’esordio a Indian Wells contro Taro Daniel è figlio del ritmo partita che il romano non può ancora avere, dopo aver giocato a malapena 4 set dagli Australian Open di gennaio. Dal match point mancato contro Murray allo sfortunato rientro di Acapulco con nuovo stop fisico, Berrettini è tutto alti e bassi, troppe pause con la lingua di fuori, le gambe molli e il fiato corto. «È un circolo: se ti alleni perché non vuoi farti male ovviamente non giochi poi se inizi a giocare ti fai male. Avevo fatto una preparazione buona ma sono finito in un buco nero: ad Acapulco non sono riuscito a giocare e qui facevo fatica a spingere, quando mi sono liberato mentalmente ho iniziato a fare meglio, ho reagito, nonostante il tennis non funzionasse tantissimo, ci ho provato ma non è andata». Da qui al 22 marzo al Masters 1000 sul cemento Usa di Miami lo attendono allenamenti duri e zero distrazioni. Nel deserto di Indian Wells, ci sono per Matteo condizioni particolari. «In generale la sera è molto più freddo quindi le palle vanno di meno e rimbalzano di meno. Dopo tre game nel primo set erano una roba allucinante, si disintegrano proprio e per le mie caratteristiche non è il massimo». Ma si è suicidato con 50 gratuiti contro il peso leggero Daniel, 103 al mondo e, soprattutto, ha giocato male i punti importanti come nel tie-break del primo set. «Se non mi invento quei 2/3 numeri probabilmente la porto a casa in due set. Ci sono partite un po’ stregate, nei momenti un po’ complicati». Matteo ha vinto il secondo set 6-0, ma poi ha accusato un altro calo: «Lì potevo stare più attaccato alla partita, lui è stato bravo su un paio di risposte e io ho sbagliato una roba… Sono rimasto accecato dal lampione e ho steccato lo smash. Ho provato a lottare con quello che avevo ma non è bastato». […] Avanti invece Jannik Sinner, che ha battuto Gasquet 6-3 7-6.
Riecco Sinner, lampo d’azzurro (Gianluca Strocchi, Tuttosport)
Finalmente un lampo tricolore a Indian Wells, nel primo Masters 1000 stagionale. Dopo le uscite di Lorenzo Sonego, Fabio Fognini e Matteo Berrettini, ecco il debutto positivo di Jannik Sinner, n.13 del ranking mondiale e 11 del seeding (dunque esentato dal 1 ° turno), che ha superato per 6-3 7-6 (2), in poco più di un’ora e mezza di gioco, il veterano francese Richard Gasquet (n.43). Dopo una partenza in salita di fronte alle traietteie lavorate dell’esperto avversario, perdendo la battuta nel game d’apertura, sullo 0-2 il 21 enne di Sesto Pusteria ha sventato con un ace il possibile doppio break e dopo aver fronteggiato una palla per il 3-1 al francese, forte della sua maggior pesantezza di colpi ha cambiato marcia con un parziale di cinque giochi consecutivi che hanno incanalato il primo parziale. Nel secondo i servizi l’hanno fatta da padrone, con zero palle-break e quindi naturale epilogo al tie-break, in cui Sinner ha dettato legge, non concedendo chance al giocatore di Beziers. «Era il mio primo match dopo lo stop per influenza a Marsiglia e inizialmente ero un po’ teso – ha ammesso Jannik al termine – poi con il passare dei minuti mi sono sciolto. il mio tennis è basato sull’aggressività, qui però le condizioni sono piuttosto complicate, anche per via del vento, e a volte occorre trovare il giusto compromesso e serve equilibrio in campo, ma nel tie-break sono riuscito a giocare giusto, servendo bene e rispondendo in maniera efficace. Quindi sono felice di essere entrato nel modo giusto nel torneo e spero di potermi ripetere nel prossimo incontro, magari alzando ancora il livello». Hanno rotto il ghiaccio in maniera positiva anche i tre russi Daniil Medvedev (quella sul campione Next Gen in carica Brandon Nakashima è la 15a vittoria di fila dopo i titoli conquistati in successione a Rotterdam, Doha e Dubai), Andrey Rublev e Karen Khachanov, rispettivamente n.5, 6 e 13 del seeding. Uscito di scena invece il greco Stefanos Tsitsipas, n.3 del mondo, limitato da un problema alla spalla contro Jordan Thompson. Nel secondo Wta 1000 stagionale Camila Giorgi si è vista sbarrare la strada al 2° turno calla statunitense Jessica Pegula, n.3 del ranking e del tabellone. […]