Rune, il cattivo che piace: "Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three" (Cocchi). Trevisan sogna i quarti "Deve stare tranquilla" (Giammò). Intervista a Darren Cahill: "Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria" (Rossi)

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Rune, il cattivo che piace: “Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three” (Cocchi). Trevisan sogna i quarti “Deve stare tranquilla” (Giammò). Intervista a Darren Cahill: “Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria” (Rossi)

La rassegna stampa di lunedì 27 marzo 2023

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Rune, il cattivo che piace: “Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Non è cattivo, è che lo disegnano così. Holger Rune è il gemello nordico di Carlos Alcaraz, da cui lo separano appena sei giorni di vita. Holger è quello grande, nato il 29 aprile 2003, contro il 5 maggio di Carlitos e insieme, da bambini, hanno giocato decine di tornei junior. Si vogliono bene, si stimano ma in campo non potrebbero essere più diversi. Come stile, come personalità: Holger, che ha stupito alla fine del 2022 per la vittoria nel Masters 1000 di Bercy contro Novak Djokovic, è numero 8 del mondo e si sta ritagliando il ruolo di «aspirante bad boy». Provocatorio, arrogantello ma con la faccia da bravo bambino, ha bisticciato un po’ con tutti, soprattutto con Ruud e con Stan Wawrinka che, dopo l’ultimo incrocio a Indian Wells, ha vaticinato: «Negli spogliatoi si sta facendo una reputazione di cui si pentirà…».

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Holger, quando va ha campo lei c’è sempre da divertirsi… «Beh, è per questo che si lavora. Per dare spettacolo, giocare belle partite. Soprattutto vincere». Si, ma qui più che dl colpi si parlava dl scintille, quelle con i colleghi « (Sorride imbarazzato) Qualche volta succede… Ma non così spesso. Capisco che a volte sono un po’ troppo sanguigno, ma è soltanto perché ho una passione incredibile. Ci metto l’anima e commetto qualche peccato dovuto alla mia irruenza, alla giovane età. Sto cercando di migliorare» . Si dice che I giocatori come lei, o come Kyrglos, siano ciò di cui il tennis ha bisogno per essere più interessante. «Diciamo che la diversità è un valore aggiunto. Se ci comportassimo allo stesso modo, sarebbe una noia. Ognuno ha il proprio carattere e mi piace che sia così». Comunque Nick Kyrgios, un luminare in tema dl caratteraccio la apprezza a tal punto che vorrebbe diventare il suo allenatore. «Nick è forte, mi fanno piacere le sue parole. Più che altro, se mi fosse data l’occasione di rubare un colpo a qualcuno, vorrei íl suo servizio». Lei è seguito da mamma, che le fa da manager e la accompagna in giro per il mondo. Che rapporto avete? «Mia mamma è una persona fondamentale nella mia vita. Mi fido ciecamente di lei e seguo tutto quello che mi dice, soprattutto quando mi chiede di dare tutto e mettere passione in campo. Nessuno mi conosce meglio di lei, a chi dovrei dare retta?».

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Patrick Mouratoglou, che la segue Insieme a Lars Christensen dice di lei che è ossessionato dal tennis. «Beh, penso che se non sei ossessionato da quello che fai è difficile. Devi dedicare le tue intere giornate agli allenamenti, alla preparazione, ai tornei. Mi spiace per quelli che non sono ossessionati, li aspetta una vita sul circuito molto difficile». Chi saranno i Big 3 del futuro? «Domanda difficile, però la so! Uno del trio spero di essere io, poi Alcaraz, che ha già dimostrato di saper vincere gli Slam, e infine Sinner. Ha un atteggiamento incredibile. Sembra sia sul tour da una vita ma ha appena 21 anni, e ogni volta che gioca mostra miglioramenti».

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Trevisan sogna i quarti: “Deve stare tranquilla” (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Una vittoria ottenuta dopo oltre tre ore di gioco, rimontando un set di svantaggio, e nonostante le diciotto palle break concesse alla sua rivale, l’americana n59 del mondo Liu. Non poteva esserci un modo migliore per Martina Trevisan per tagliare il traguardo del suo primo ottavo di finale in carriera nel WTA1000 di Miami. «E’ stata una giornata lunga, abbiamo dormito poco nonostante la stanchezza del match e il caldo, ma siamo riusciti a recuperare e tra poco ci alleniamo – ci dice da Miami il suo coach Matteo Catarsi.

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“Martina e stata brava a non farsi prendere dalla fretta, a fare un passo indietro per tentare di rimettere il match sui binari della lotta e della costruzione del punto». Un copione per lei ideale. Alla cui lunghezza ieri non sembrava corrispondere altrettanta incertezza per l’esito della sfida. Anzi. Più passava il tempo, più netta era l’impressione che l’azzurra fosse sempre più vicina alla soluzione dei suoi problemi «Sa difendersi, specialmente con il back di rovescio. Col servizio varia molto di più – sottolinea Catarsi – E poi l’atteggiamento… è stata brava a trovare i giusti accorgimenti in un match iniziato con il caldo, viziato dal vento e chiuso con l’umidità». Tra Trevisan e i quarti c’è la lettone Jelena Ostapenko, una che rivuole sempre tenere l’iniziativa, fa correre le sue avversarie e non sarà facile farla muovere in campo. La stiamo già preparando, ma l’importante è che Martina stia tranquilla». SONEOO.Si è qualificato al terzo turno Lorenzo Sonego. il n.59 del mondo ha battuto in rimonta il britannico Evans, bissando cosí il bel successo ottenuto al primo turno contro Thiem e se la vedrà ora con l’americano Frances Tiafoe

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Intervista a Darren Cahill: “Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria” (Paolo Rossi, La Repubblica)

Lo chiamano Killer. «Anche mia moglie, gli amici. Nessuno mi chiama Darren. Me lo hanno affibbiato da piccolo, ma va bene e sono felice così». In carriera ha vinto due titoli ed è arrivato in semifinale agli Us Open nel 1988. Ma soprattutto vanta una grande carriera da coach, e si spera che continui: Darren Cahill, australiano di Adelaide, classe `65, è il coach (con Simone Vagnozzi) di Jannik Sinner. Cahill, ricorda quel suo torneo di New York dei 1988? «Come fosse ieri. Come puoi dimenticare uno dei momenti salienti della tua carriera. Ho battuto anche Boris Becker, in quel torneo “vedevo” la palla». Però non ha poi brillato… «Ero decente, ma non un grande giocatore. In una buona giornata davo fastidio, ma essere un grande giocatore è diverso: io esponevo troppo le mie debolezze».

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Come è iniziata la sua carriera di coach? «Fortuna e porte scorrevoli: una si chiude, un’altra si apre. Ho finito giovane, per problemi al ginocchio. Avevo 25 anni. Tornato ad Adelaide, la mia città, incontrai un ragazzino di circa 12 anni: Lleyton Hewitt. Aveva già il suo coach, Peter Smith. Quindi il mio lavoro fu più di strategia: come giocare, il tipo di colpo, quale parte del campo, l’individuazione dei punti deboli dell’avversario». È questo il suo segreto? «Se non sei un tennista talentuoso devi essere in grado di vedere il gioco: è quello che faccio, cerco modi per battere i migliori. Ci sono ex giocatori che non erano campioni ma poi si rivelano coach bravi. Perché? Fanno ciò che hanno fatto per tutta la loro carriera: vedere il gioco diversamente dai campioni». Quindi gli ex campioni non sono bravi allenatori? «Tutt’altro: sono stati in quelle posizioni, in quei momenti, sanno parlare e connettersi con i giocatori. E sanno come mettere una palla in un punto del campo impossibile per i comuni mortali: una differenza c’è». Jannik dice di lei che prima del match sa trovare le parole magiche. «A volte il giocatore ha bisogno di informazioni, oppure di un discorso ispiratore, o di qualche chiarimento. Altre va lasciato in pace, o gli va dato un abbraccio. Dipende dalla situazione: per tenere la convinzione i tennisti hanno bisogno di tutto ciò, a questo servono gli allenatori». E qual e la sua parola magica? «La sto ancora cercando: importante per un vero allenatore è aiutare il giocatore a trasformare le situazioni perdenti in vincenti. Statisticamente se ci riesci 4/5 volte in un anno il tennista potrà fare qualcosa di importante nei grandi tornei». Torniamo indietro: dopo Hewitt ha allenato un certo Agassi. «Andre aveva 32 anni, era già una leggenda. Non sapevo se avrebbe giocato sei settimane, sei mesi o sei anni. Alla fine ha giocato per cinque stagioni a un livello molto alto. Per me è stata una grande lezione di coaching: mai visto uno che volesse così tante informazioni. Richieste sugli avversari, analisi e domande tipo “se colpisco la palla così, con questo tipo di giocatore e in questa posizione in campo quale sarà la risposta?”. Con Andre dovevi davvero fare i compiti: mi ha reso un allenatore migliore». Poi l’esperienza femminile. «Simona Halep. Con lei ho vissuto i migliori momenti della carriera, la gioia più alta: è una persona straordinaria, a volte era lei la sua peggior nemica. Ma che pressione aveva, con tutta la Romania che si aspettava diventasse la numero 1». E siamo al presente, in Italia. «Beh, conosco bene Riccardo Piatti, mi aveva parlato molte volte di Jannik. Ci eravamo incrociati un paio di volte, il tennis è come una famiglia e la tua reputazione gira, quindi: se, come Jannik, sei una brava persona e hai buoni valori, la gente ti conosce prima di vederti. Sapevo che viene da una grande famiglia, che ha i piedi per terra, che lavora duramente, che è motivato, rispetta le persone, tutte cose per cui è attraente lavorare con lui. La cosa più importante per me è il carattere di un giocatore». Però lei è da solo in un gruppo tutto italiano… «La “mafia” italiana (ride). Scherzo, quella è la ciliegina: è fantastico lavorare con Simone Vagnozzi, bravissimo sulla tecnica, e poi Umberto Ferrara e Giacomo Naldi».

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Su cosa deve migliorare Sinner? «Prima del mio arrivo era già un grande giocatore, già top ten: ha armi incredibili, era ben allenato. Ora vanno guardate le sue partite contro i migliori e capire cosa lo trattiene dal batterli. E lavorarci. Ma c’è bisogno di tempo, di un paio d’anni e di molte situazioni di partita. Può migliorare il servizio, il gioco di transizione, essere dominante da fondo campo. Ma la cosa più importante, quando alleni i grandi giocatori, è continuare a migliorare i loro punti di forza. Ad esempio Jannik si muove incredibilmente bene, quindi spendiamo tanto tempo su questo. È grandioso che sia così disposto a provare cose nuove e a cercare di migliorare, purché non ci si allontani troppo dal tipo di giocatore che è».

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