I numeri del Roland Garros: Djokovic sul podio dei migliori "terraioli" di sempre

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I numeri del Roland Garros: Djokovic sul podio dei migliori “terraioli” di sempre

Un’ipotetica classifica dei migliori dell’Era Open sulla terra battuta vede Nadal e Borg davanti a tutti. Ma per il terzo posto Djokovic è in vantaggio sugli altri inseguitori

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Novak Djokovic – Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
 

3 – i Roland Garros sinora conquistati in carriera da Novak Djokovic. La vittoria del suo terzo French Open e, contestualmente, il raggiungimento del traguardo del 23° Slam vinto sono state molto commentate negli ultimi giorni. Si è invece provato molto meno a dare una valutazione complessiva del rendimento in carriera del serbo sulla terra battuta, la superficie dove impiega più tempo per trovare il suo miglior tennis, ma sulla quale si è comunque già tolto moltissime soddisfazioni. Oltre ai tre Major parigini sul rosso Djokovic ha vinto ben 11 Masters 1000 (6 volte Roma, 3 Madrid e 2 Monte Carlo) e altri cinque tornei di categoria inferiore, ai quali vanno aggiunte altre 14 finali complessivamente raggiunte. Basterebbe questo per fare capire a quale livello Djokovic abbia portato il proprio rendimento anche sulla terra battuta, ma un approfondimento in merito è anche un modo per guardare indietro e citare con un pizzico di nostalgia tante leggende del tennis maschile.

Ad ogni modo anche altre statistiche relative alle partite giocate sul rosso e al torneo più importante del calendario tennistico sulla terra battuta, il Roland Garros, fanno emergere vari dati che confermano Diokovic tra i migliori “terraioli” di sempre. Sebbene i dati qui raccolti siano riferiti alla sola Era Open (ovvero, da fine aprile 1968 a oggi), si può notare come nelle varie tabelle proposte il nome di Djokovic sia quasi sempre ai primi posti. Leggendole c’è un’ulteriore conferma (non necessaria) di come Rafael Nadal – al primo posto in tutte le tabelle dal maggior peso specifico –sulla terra battuta abbia ottenuto di gran lunga la maggior quantità di successi, risultati che lo pongono senza dubbio come il più forte di sempre su questa superficie. Dietro al campione maiorchino emerge, anche guardando le statistiche, la figura di Bjorn Borg: per lo svedese è indiscutibile la titolarità del secondo miglior record assoluto sulla terra battuta. Sono tante le statistiche che confermano una sensazione già molto diffusa tra gli appassionati: partendo dai sei titoli vinti in sei finali giocate al Roland Garros (alle quali va aggiunta quella persa sulla terra verde degli US Open 1976 contro Jimmy Connors), passando per le due sole sconfitte (entrambe contro Panatta) in 51 match giocati nello Slam parigino e finendo con la seconda miglior percentuale tra match vinti e giocati sul rosso. Una posizione detenuta, tra l’altro, sia contando tutti i match giocati nel circuito sia considerando esclusivamente quelli disputati contro colleghi nella top ten del ranking.

Dietro a Nadal e Borg sono tanti i campioni che possono candidarsi per il terzo gradino del podio virtuale di miglior tennista di sempre (o quantomeno, dell’Era Open) sulla terra battuta. Così come per il GOAT, è in realtà impossibile paragonare seriamente tennisti allenatisi secondo le diverse metodologie di ciascuna epoca e che giocavano con differenti attrezzature contro avversari diversi per ogni loro carriera. Questo è solo un gioco per guardarsi indietro e citare con gratitudine le imprese di grandi campioni che hanno regalato emozioni indimenticabili agli appassionati. Venendo all’analisi veloce delle varie tabelle, va premesso che dopo Nadal e Borg il tennista ad aver vinto più Roland Garros è Henri Cochet, che vinse quattro volte il Major parigino (1926, 1928, 1930, 1932), ma questa analisi non considera i tennisti disimpegnatisi prima dell’Era Open o i risultati parziali ottenuti da alcuni di loro prima che il tennis aprisse al professionismo.

 

Tornando alla ricerca del proprietario del terzo gradino del podio, Djokovic è uno dei vari campioni ad aver vinto almeno tre volte il Roland Garros: gli altri sono Lendl, Kuerten, Wilander e Vilas (ci sarebbe anche Renè Lacoste, che ottenne anche due finali a Parigi)Il serbo si avvantaggia su tutti questi campioni per la maggiore capacità di arrivare alle fasi decisive del torneo parigino: è primo sia per finali perse (7) che per piazzamento in semi (5). Un fattore importante, al quale va aggiunta la quarta posizione assoluta nella percentuale di partite vinte-giocate sul rosso, anche perché il serbo è “penalizzato” dall’aver dovuto affrontare 28 volte sulla terra battuta il migliore di tutti, Rafael Nadal. Contro il 14 volte campione del Roland Garros, tra chi lo ha incontrato almeno 5 volte, il serbo ha percentualmente il quarto miglior record (28,6% di vittoria) dopo Gaudio (3-3, ma il vincitore del French Open 2004 vinse i primi tre confronti diretti quando Rafa non era ancora del tutto esploso), Fognini e Thiem (entrambi con il 33,4% di successi, il ligure con un bilancio di 3-6 e l’austriaco di 4-8). Djokovic è però uno dei due uomini (assieme a Soderling) ad aver vinto contro Nadal al Roland Garros (e Nole è l’unico ad esserci riuscito in due occasioni) ed è nettamente primo per bilancio tra i tennisti che hanno affrontato Rafa almeno dieci volte. In una carriera che lo vede ininterrottamente nel grande tennis da oltre 18 anni (è entrato nella top 100 per la prima volta il 4 luglio del 2005) Djokovic ha affrontato più di una generazione di grandi tennisti sul rosso e, tra chi ha incontrato almeno in tre circostanze sulla terra battuta, è in passivo solo con Nadal. Il serbo ha invece un bilancio in parità con Federer (4-4 e 1-1 a Parigi), Thiem (3-3 e 1-2 al Roland Garros), Ferrer (3-3) e Verdasco (3-3 e 2-0 nel Major sul rosso) e con tutti gli altri colleghi ha un bilancio positivo.

Tutti dati che da soli non bastano per definirlo il terzo miglior giocatore di sempre (o per meglio dire, dell’Era Open, visto che sono stati considerati solo i risultati ottenuti da fine aprile 1968 in poi) sul rosso, ma che per stabilirlo hanno consentito di nominare per le loro gesta tanti campioni.

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Asian Games, l’ossessione dei tennisti sudcoreani: Kwon distrugge la racchetta e si rifiuta di stringere la mano all’avversario

I retroscena della più importante competizione tennistica asiatica: racchette distrutte e strette di mano negate, quando l’oro vale più di una medaglia

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L’Asia da prestazione. Che gli Asian Games siano per i tennisti orientali la competizione più sentita è fuori di dubbio: le migliori racchette cinesi hanno saltato i tornei della settimana per essere presenti a Hangzhou e, ancora più emblematico, vincendo l’oro i sudcoreani hanno diritto a saltare la leva militare (Son Heung-min, attaccante del Tottenham, ne sa qualcosa). Sumit Nagal – recentemente critico per le scarse finanze dei tennisti di bassa fascia – li preferisce ai tornei ATP 250 e 500: “È tutto magnifico qui, se non fosse per il cibo… (sorride, ndr). Tutti ne parlano, e non solo per il tennis giocato: ecco il fuoriprogramma che ha finito per diventare virale.

Dopo aver perso al secondo turno in un intenso testa a testa (3-6 7-5 3-6) con il tailandese Kasidit Samrej (n.636 del ranking), il giocatore della nazionale coreana Kwon Soon-woo (n.112) dapprima si è rifiutato di stringere la mano all’avversario e poi ha iniziato a sbattere violentemente a terra la sua racchetta, continuando a fracassarla fino a distruggerla mentre si dirigeva verso la sedia a bordo cambio. Nell’imbarazzo generale, il giocatore tailandese si è inchinato davanti agli spalti, ma – come ogni pubblico che si rispetti – l’attenzione in quel momento era tutta sul colpo di scena. Non ha tardato ad arrivare una fitta pioggia di critiche da parte dei media coreani: “Kwon dovrebbe essere penalizzato”, scrivono in molti.

La Korea Tennis Association prova a mettere una pezza, riferendo poco dopo le scuse del tennista: “Ha visitato il ritiro della Thailandia e ha chiesto scusa a Samrej aggiungendo parole di incoraggiamento per il prossimo match”. Ci riesce: niente ostracismo per Kwon, che gareggerà ora per la medaglia d’oro nel doppio maschile insieme a Hong Seong-chan. Se da una parte sembra che il tennista tailandese abbia accettato le sue scuse, la controversia in patria si spegne con più difficoltà: “Mi scuso sinceramente con tutti coloro che hanno sostenuto la competizione della loro squadra nazionale e con coloro che erano sugli spalti”, afferma Kwon. Parole che possono bastare per le scuse, meno per far riporre meno amaramente a una nazione intera la speranza di vittoria: due titoli ATP, un terzo turno al Roland Garros nel 2021 e posizione numero 52 del ranking mondiale nello stesso anno. Difficile da digerire.

 

Contro pronostico anche l’uscita al secondo turno del tandem indiano guidato da Rohan Bopanna – favorito per la medaglia d’oro –, battuto insieme a Yuki Bhambri dalla coppia uzbeka composta da Sergey Fomin e Khumoyun Sultanov. L’ex numero 3 di specialità si consola con una vittoria facile in doppio misto con Rutuja Bhosale. Almeno lui l’ha digerita meglio.

Tra le donne citiamo la bella prestazione della 18enne filippina Alex Eala, lo scorso anno vincitrice allo US Open junior. La numero 190 del mondo è alla quinta settimana consecutiva in campo nel tour ed è in semifinale agli Asian Games nel tabellone di singolare.

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Ljudmila Samsonova: “Una parte di me è sempre italiana” [ESCLUSIVA]

Da speranza azzurra ad allieva di Pizzorno e finalista Mille con (senza) bandiera russa: Ljudmila “Ljuda” Samsonova è già stata molte cose, e questo, forse, è solo l’inizio

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Samsonova - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

Essere chiamati al doppio turno nella giornata conclusiva di un 1000 è certo un avvenimento quantomeno inusuale: e infatti a Montreal, uscita vincitrice da un match combattuto con la testa di serie numero tre, Elena Rybakina, Ljudmila Samsonova, russa, ventiquattro anni, è costretta ad arrendersi poche ore dopo a Jessica Pegula, racimolando un solo game alla sua prima finale 1000 (“fa male rendersi conto che agli organizzatori non importi nulla di noi tennisti”, ha dichiarato a margine dell’incontro).

Un torneo in cui, in fila, “Ljuda” aveva eliminato la testa di serie numero due (Sabalenka), la dodici (Bencic), e la tre (appunto Rybakina) prima di arrendersi alla quarta forza del seeding. Il lunedì 14 agosto, Ljudmila si “accontenta” della posizione numero dodici, suo best ranking. Una classifica costruita nel tempo, da quel 2013 in cui, per la prima volta, scese in campo da professionista.

Probabilmente, il momento della svolta è stata l’estate scorsa, quella del 2022: fra Washington e Tokyo, passando per Cleveland, Samsonova si porta a casa tre tornei, due 500 e un 250. Se diamo uno sguardo alle sue principali affermazioni, è facile notare una particolare predilezione per il nord America. “Entrambe le volte che sono arrivata negli Stati Uniti in quel periodo avevo la testa libera: ho come resettato da zero il periodo precedente. È forse per la mia leggerezza in quel periodo che sono venuti fuori i risultati migliori.”  

 

Samsonova, che mentre scriviamo è numero ventidue del mondo, si trova ora a dover confermare i risultati raggiunti, iniziando dalla difesa del titolo di Tokyo. Ora, però, riavvolgiamo un po’ il nastro.

A casa non puoi non praticare un minimo di sport” sorride Ljuda: Samsonova proviene da Olenegorsk, una cittadina della Russia europea settentrionale, dell’Oblast di Murmansk. Insomma, il polo nord non è poi così distante. Tuttavia, lo sport è arrivato fin lassù, peraltro con ottimi risultati: il padre è stato campione europeo di Ping-pong, il nonno uno sciatore. “Penso di essere stata comunque fortunata ad essere una bambina dotata per lo sport; la mia famiglia mi ha trasmesso tanto anche in quest’ambito.”

Ljudmila, però, ci risponde in italiano fluente. Fa un certo effetto apprendere come Samsonova abbia vissuto diciotto anni in Italia, e si sia sentita, in tutta la sua giovinezza, una tennista azzurra. Al compimento dei diciotto anni, avrebbe dovuto ricevere il passaporto italiano. Ciò, tuttavia, non è avvenuto, ed oggi gareggia per la Russia (o meglio, gareggiava, ora è tennisticamente “apolide” a causa della guerra in Ucraina). A quanto pare, l’ostacolo sarebbe stato la mancanza di un “reddito certo”, carenza che avrebbe impedito alla Federazione di assegnarle il passaporto. Ljudmila, insomma, avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro: una condizione spesso non richiesta da molte altre federazioni nel mondo. Da quel 2017 sono passati sei anni, e Ljudmila oggi si sente “metà e metà: ho una parte di me a cui l’Italia, quando sono via, mancherà sempre, e un’altra che è invece molto legata alle origini; essendo cresciuta in una famiglia che ha sempre tenuto molto a mantenere le tradizioni e la lingua mi sento di far parte anche di quel mondo.”

La carriera di Samsonova ha dunque preso davvero il via da quel momento; solamente due anni fa, tuttavia (era il luglio 2021) Ljuda era appena entrata in top 100, e ancora non si delineava l’exploit che l’avrebbe portata alle vette della classifica mondiale. “È stato il coraggio a permettermi di fare il decisivo salto in avanti. Il coraggio che ho avuto nel fare determinate scelte, a credere sempre in me stessa nonostante prendessi batoste in continuazione, anche da parte di chi mi fidavo: è stata la mia determinazione a farmi arrivare qui, più di tutto il resto.”

Un forte legame con l’Italia Ljudmila l’ha, comunque, indubbiamente preservato: il suo coach è Danilo Pizzorno, torinese che ha acquisito una grande importanza nel panorama italiano e internazionale per il suo utilizzo metodico e “scientifico” della videoanalisi. “Penso che Danilo, oltre ad essere il miglior coach WTA, sia anche e soprattutto una bellissima persona; dopo le esperienze che ho vissuto, cerco di guardare prima al lato umano e poi a quello professionale.”

Un circuito, quello WTA, che solo recentemente sembra incamminarsi verso una sorta di stabilità ai vertici, con il dominio di Iga Swiatek (interrotto ora da Aryna Sabalenka). Nel confronto con quello maschile, che ha vissuto di un triumvirato (ad eccezione, forse, di un effimero quadrumviro) per oltre vent’anni, non tutti vedono l’incertezza femminile come un qualcosa di positivo per la WTA. “Io invece credo che sia un bene – ci dice Ljudmila -. In questo modo c’è posto per più giocatrici: il livello si è alzato e chiunque può ambire a fare grandi cose.”

L’incertezza non è solamente tennistica: dal febbraio 2022, la guerra fredda, le cui fiamme pensavamo definitivamente spente da anni, si è riaccesa e porta con sé il pericolo di scatenare un grande incendio. Il primo focolare si è acceso in Ucraina, a causa dell’invasione russa. Come sempre, lo sport non può considerarsi del tutto scisso dalla realtà che lo circonda. È forse per quella chiamata di Hitler che il barone Von Cramm perse quella finale di Wimbledon. Riguardo a quale sia il suo ruolo in certi contesti, comunque, il dibattito è aperto e certo di non facile risoluzione.

La situazione è indubbiamente controversa: le atlete russe e bielorusse non possono più giocare sotto la loro bandiera, le loro nazionali non possono più partecipare alle competizioni internazionali. “Lo sport può mandare certi messaggi –  dice Ljuda, che oltre ad essere russa è vissuta, lo ricordiamo, diciotto anni in Italia –, ma non credo possa avere un vero impatto, cambiare ciò che avviene nel mondo.”

Ljudmila ha solo ventiquattro anni; eppure ha già vissuto molto, fra l’Italia, il Polo nord e il tennis professionistico. Forse, però, il meglio deve ancora arrivare. “Il mio desiderio per il futuro è essere una persona felice e realizzata: nessun premio o classifica può essere tanto importante quanto lo stare veramente bene con sé stessi.”

Di Ljudmila “Ljuda” Samsonova, nativa di Olenegorsk, il cuore diviso fra Russia e Italia, sentiremo – non c’è dubbio – ancora parlare.

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Djokovic contro i bassi salari dei colleghi: “È un fallimento per il mondo del tennis”

Il giocatore più vincente di sempre scende dal trono per abbracciare per primo la causa comune dei tennisti oltre la top 100: l’attacco di Nole ai bassi salari

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Novak Djokovic - US Open 2023 (Twitter @usopen)
Novak Djokovic - US Open 2023 (Twitter @usopen)

Il lavoro nobilita l’uomo. Il tennis professionistico è un lavoro. Il tennis professionistico nobilita l’uomo. Siamo sicuri? Novak Djokovic non sarebbe d’accordo. Da sempre attento ai diritti del mondo della racchetta, il campione serbo tuona sulla situazione dei salari per i colleghi al di fuori della top 100. E sì, perché né lui né Carlitos né tantomeno il nostro caro Jannik rischiano di restare con le tasche vuote: oneri e onori di aver scalato l’Olimpo del tennis e sedere sulla cima. Ma tutti gli altri?

“Sono stato al posto di tutti quei tennisti che ora hanno gravi difficoltà economiche. Capisco la loro fatica e le loro difficoltà, so i problemi che hanno nel dover pagare le trasferte, gli allenatori e i fisioterapisti”, dichiara Nole in un’intervista. “Alla fine, se non hai il sostegno di una federazione forte, avrai sempre grossi problemi. Io vengo dalla Serbia e non avevo aiuti. Ora ho una certa influenza e voglio utilizzarla per migliorare le condizioni degli altri“, asserisce convinto. Insieme al canadese Vasek Pospisil, il campione serbo è attualmente il principale esponente – oltre che fondatore – della PTPA (Professional Tennis Players Association), nata nel 2020 tra non poche critiche di divisionismo: tra le altre, quelle di un certo Roger Federer e di un altro che si chiama Rafael Nadal. Ma non roviniamo il panegirico a Djokovic, chiusa parentesi.

“Solitamente si parla di tennisti che partecipano allo US Open e che guadagnano tanto, degli altri nessuna traccia”. Ma ci sono, e sono tanti: molti di più di quelli (più) conosciuti, tifati e pagati. “Ci sono tantissimi tennisti che non riescono a guadagnarsi da vivere con il tennis: maschile, femminile o doppio. Solo quattrocento giocatori tra tutti riescono a vivere di tennis, il resto no. È una cifra bassissima per uno sport mondiale come il nostro, un vero fallimento per il mondo del tennis”, prosegue Nole. A mettere il dito nella piaga ci pensa Ons Jabeur che – coinvolta anch’ella nei progetti PTPA – sottolinea: “Prima nessuno mi prestava attenzione, ora che sono in top 10 tutti ascoltano quello che dicono. Questo non è affatto bello”. E neanche nobile, per rispondere alla domanda su.

 

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