L’Italia ha vinto la Coppa Davis senza essere la squadra più forte. Nel 1976 invece lo era. Sinner? È il n.2 del mondo

Editoriali del Direttore

L’Italia ha vinto la Coppa Davis senza essere la squadra più forte. Nel 1976 invece lo era. Sinner? È il n.2 del mondo

La sfortuna di non poter contare su Berrettini è stata bilanciata dalla fortuna di aver trovato un Sinner fenomenale nel fine stagione. Ma anche da un Djokovic stranamente “munifico” e da un Popyrin sprovveduto

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L'italia con la Coppa Davis. Da sinistra Filippo Volandri (capitano), Jannik Sinner, Lorenzo Musetti, Simone Bolelli, Lorenzo Sonego, Matteo Arnaldi - Davis Cup Finals 2023 Malaga (foto Marta Magni)
 

Il prosieguo del video è visibile sul sito di Intesa Sanpaolo, partner di Ubitennis.

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Chi vince ha sempre ragione. Quindi celebriamo con il massimo entusiasmo, la massima soddisfazione, il massimo orgoglio, il trionfo azzurro di Malaga e la seconda conquista di Coppa Davis a 47 anni dalla prima, nonché a 25 dall’ultima finale (persa con la Svezia).

Onore e merito ai giovani vincitori che mi hanno fatto esultare ed emozionare fino alle lacrime, matchpoint annullato dopo matchpoint (grazie Jannik!), breakpoint annullato dopo breakpoint (grazie Matteo), volee dopo volee intercettata e vincente in due doppi (grazie Lorenzo).

Consentite tuttavia anche a me, in questa atmosfera di immensa gioia di rivolgere i miei più affettuosi auguri a Tathiana Garbin per la battaglia che sta combattendo contro il tumore che l’ha presa malvagiamente in contropiede e anche di ricordare con infinito affetto i miei due grandi Maestri, Rino Tommasi e Gianni Clerici, nonché un altro amico compagno di mille telecronache, Roberto Lombardi, che avrebbero meritato di vivere anch’essi la gioia di questo secondo momento storico per il tennis italiano, lo sport che ha alimentato da sempre la nostra grande infinita passione comune.

Spero che Gianni e Roberto abbiano potuto godere e celebrare dai prati celesti di Lassù, insieme a tanti altri appassionati del nostro sport che avranno incontrato e non sono più su questa terra. E Rino certo anche avrebbe voluto essere a Malaga con me, ma le sue condizioni di salute non glielo hanno consentito, purtroppo.

Per me era impossibile non pensare a condividere subito con loro questo momento emozionante e indimenticabile. Avrebbero meritato di viverlo a Malaga, proprio quanto il più fortunato e glorioso novantenne Nicola Pietrangeli.

Ecco, benchè 16 anni più giovane, io mi considero altrettanto fortunato di Nicola. Quello maturato a Malaga è stato un successo sofferto, sofferto non una sola settimana ma nell’arco di due mesi in cui è successo un po’ di tutto, dai matchpoint annullati a settembre da Sonego a Jarry in quel di Bologna alla rimonta da un break sotto nel terzo set con il doppio cileno, e dopo quella inattesa scoppola con le riserve canadesi.

Poi c’è stato tutto quanto accaduto a Malaga che ha meno bisogno di essere rievocato perché si tratta di ricordi ancora freschi. Ancora la “regola del 3” con i 3 matchpoint mancati da Arnaldi con Van de Zandschulp. Tre, tre e tre. Tutto questo fa sì che il vissuto sia stato ancora più bello, indimenticabile.

L’Italia ha vinto una nuova Coppa Davis, assai diversa da quella precedente. Al Martin Carpena, uno stadio un po’ buio, nero e cupo, c’è stato quasi sempre il “sold out” nonostante l’assenza della squadra di casa. La generale soddisfazione di tutti i team (salvo l’Australia che teme di non vedere giocare più i suoi tennisti in casa fino a che le finali ATP si giocheranno a Torino e più in genere in Europa) ha fatto decidere all’ITF di far rigiocare le finali a otto a Malaga anche nel 2024.

 E come ci ha detto l’australiano re del doppio (e metà dei Woodies) Mark Woodforde in una ampia intervista che ha concesso a Ubitennis – e di cui abbiamo per ora riportato solo parte – “man mano che questo formato di Coppa Davis si stabilizzerà così come è, tutti ci abitueremo a considerarla come quella storica”.

Anche se io – è un segno di vecchiaia? – continuerò a provare nostalgia per la Coppa Davis più tradizionale.

Fra i due trionfi azzurri a 47 anni di distanza ci sono differenze che credo sia serio sottolineare, senza per questo nulla togliere ai meriti della squadra che l’ha vinta questo weekend e che, secondo me, la rivincerà ancora in tempi più brevi. E non mi riferisco ai 47 anni di gap, ci mancherebbe.

Nel 1976 battere il Cile di Fillol e Cornejo a Santiago fu quasi una formalità. Si vinse quella Coppa Davis con il solo aver deciso di andare nel Paese governato dal dittatore Augusto Pinochet.

La vittoria avvenne infatti più in Italia che sul campo, e fu vinta grazie a Pietrangeli e alla sua battaglia politica per affrontare quella trasferta. Sul campo era semmai avvenuta con maggiori difficoltà quando gli azzurri avevano vinto sull’erba di Wimbledon contro l’Inghilterra dei fratelli Lloyd e di Roger Taylor (grazie anche a Tonino Zugarelli) e sulla terra rossa del Foro Italico contro l’Australia di Baffo John Newcombe (e Roche in doppio) nonostante la nostra “bestia nera” John Alexander ci avesse fatto due brutti sgambetti.

Quasi mezzo secolo dopo è tutto molto cambiato.  La formula dei due singolari più un doppio consente maggior equilibrio e facilita molte più sorprese. Quando mai, altrimenti, la Finlandia avrebbe battuto il Canada?  

Come è accaduto a Malaga si può vincere perfino una finale vincendo due sole partite – in teoria anche in soli 4 set – anziché in cinque match sulla distanza dei tre set su cinque che danno esiti certamente più veri, più rispondenti alle forze in campo.

A Malaga è successo che l’Italia ha battuto l’Australia grazie alle due vittorie nei singolari evitando un doppio finale quasi proibitivo con la coppia di specialisti Ebden-Purcell, campioni a Wimbledon 2022.

Con la formula della Davis tradizionale il doppio, se giocato, contava aritmeticamente meno, il 20 per cento invece del 33, eppure tuttavia era spesso decisivo. Con questa formula si arriva anche a non giocarlo. Si convocano doppisti che…stanno a guardare.

Con la vecchia formula le rimonte da 1-2 nella terza giornata di Davis nel World Group si contano sulle dita di una mano.

Nessun si offenda, so bene che lo sport, tutto lo sport ed è il suo bello, permette delle sorprese, può far vincere al Leicester di Ranieri di vincere la Premier League, all’Udinese di battere la Juventus, alla Fiorentina di vincere sul Napoli. E, come dicevo in apertura chi vince ha sempre ragione. Ma l’Italia non era la squadra più forte. Anche per questo la soddisfazione è ancora più grande.

L’Italia sarebbe stata la squadra più forte se avesse potuto contare su Matteo Berrettini n.2. Alla pari con la Russia se Medvedev, Rublev e Khachanov, avessero potuto giocare.

Ma se cito il caso dell’indisponibilità di Berrettini allora anche la Spagna potrebbe dire che con Alcaraz e Nadal avrebbe formato uno squadrone difficilmente battibile, soprattutto in Andalusia.

 E poi mentre l’assenza della Russia e’ dovuta a questioni extrasportive, invece chi perde sul campo – quali che siano i motivi – non ha alibi, ne’ scuse ne’ seconde chance…

Il discorso vale per la Spagna come per gli Stati Uniti che alle fasi finali avrebbero potuto presentare una squadra assai competitiva, tanto nei due singolari – con un gran bel n.2 – che nel doppio probabilmente quasi imbattibile. 

 Nei risultati degli incontri ci stanno tante cose, compresi gli errori dei capitani, quando fanno le loro scelte, sia al momento della selezione, sia quando mettono in campo un giocatore fuori forma o peggio a rischio di infortunio o una coppia di giocatori mal assortiti.

Lo scorso anno il capitano americano Mardie Fish non convocò Ram, il miglior doppista USA e perse con noi un doppio che avrebbe altrimenti probabilmente vinto.

Del resto, il nostro Volandri mise in campo un impresentabile Berrettini e perdemmo malamente quel doppio dal Canada.

Quest’anno invece le scelte di Volandri sono state a parer mio tutte condivisibili. Si, anche quella di Musetti.

Non c’erano serie alternative. Sonego era malconcio e fargli giocare due match, dal momento che si voleva impiegarlo in doppio, era un rischio. Arnaldi aveva obiettivamente giocato maluccio contro Van de Zandschulp anche se, in un bruttissimo match costellato da 103 errori gratuiti (fra tutti e due eh), aveva avuto 3 matchpoint. Che Matteo, reduce da un anda e rianda in Australia per partecipare ai funerali di un genitore della sua ragazza aussie, non fosse nelle migliori condizioni lo si è visto anche nel match affannosamente vinto con Popyrin.

Sperare nel talento, pur appannato ultimamente, di Musetti aveva senso. Anche per via dei suoi 2 confronti diretti vincenti con Kecmanovic. Poi Lorenzo ha perso ma del senno di poi sono piene le fosse.

Insomma, mi sono lasciato per ultimo colui di cui tutti parlano e vogliono leggere per primo: Jannik Sinner.

Reduce da 7 vittorie con i 3 top-tre (3 volte Medvedev, 1 Alcaraz, 1 Rublev, 1 Tsitsipas, 1 Djokovic) Jannik ha aggiunto lo scalpo più prestigioso, quello del n.1 del mondo Djokovic nell’arco di due sole settimane centrando un record, quello dell’unica sconfitta patita da Nole nonostante avesse sulla racchetta 3 matchpoint consecutivi.  Oltre 1300 partite e non era mai successo. E di partite perse con il matchpoint ce n’erano state solo tre. Youzhny a Rotterdam, Nadal a Madrid, Cilic al Queen’s.

Io sono stato fra i più entusiasti, più emozionalmente coinvolti in tribuna stampa nell’assistere alla rimonta di Jannik.
Però a mente più fredda credo di dover osservare: Nole ha regalato il primo matchpoint con un rovescino slice timido e del tutto gratuito. Jannik è stato bravo nel secondo matchpoint, aggressivo e al volo. Sul terzo matchpoint il miglior Djokovic avrebbe fatto il passante vincente. Forse è umano ed era stanco anche lui. Certo che poi è crollato.

Però questo non ci deve far credere che oggi Jannick è già più forte di Nole. Chi pensa questo rischia – almeno per un po’ ancora – di subire cocenti delusioni.

Dopo aver dominato il secondo set per 6-2 (set nel quale Nole ha ceduto 5 punti al servizio e Jannik 14), nel terzo Nole stava dominando ancora i suoi turni di servizio: in cinque aveva tenuto la battuta a 0 due volte e a 15 le altre tre. Fino al 4-5 e 0-40 (i famosi tre matchpoint) Jannik aveva vinto un game di 20 punti salvando una prima pallabreak prima di raggiungere l’1-1 con l’ace n.7 e n.8 all’ottava palla game. Il 3 pari lo aveva raggiunto dopo un 40 pari, il 4 pari altro 40 pari e altra palla break. Poi il famoso 0-40.

Insomma, ok Jannik è stato bravissimo, davvero “not too bad!”, ha compiuto una grande impresa, ma lui di sicuro non si monta la testa e non dovrebbero montarsela neppure i suoi tifosi. Noi tutti cioè!

È vero che nel tennis “is never over until is over” e alla fine chi la spunta sembra più forte e “il cielo è sempre più blù”. Ma secondo me, appunto, sembra.   Per ora Djokovic, se fresco e riposato, è ancora più forteE in Australia sarà lui il favorito. Come sempre. Spero che Jannik non capiti nella sua stessa metà del tabellone. Se va dalla parte di Alcaraz io confido che arrivi a giocare la finale.

Quando dico che l’Italia non era la squadra più forte dico che con la Serbia avremmo dovuto perdere 2-0 e il 2-0 per la Serbia non ci avrebbe permesso di giocare quel doppio nel quale Djokovic, traumatizzato dall’inatteso k.o., è stato il peggiore in campo. E poi, in conferenza stampa, l’ho visto distrutto. Come non mai. E in finale Popyrin ha fatto peggio di Djokovic senza essere Djokovic. Otto palle break nel terzo set, mica una: tre nel primo game, due nel terzo, due nel settimo, una nel nono, e tre volte sono state doppiette consecutive. Pazzesco che poi, terrorizzato dal 4-5 e dover salvare la partita, lui che aveva concesso 3 punti nei primi 3 turni di servizio, si sia smarrito a quel punto. Arnaldi gli deve mandare un mazzo di rose rosse. Anche se ha i suoi meriti, i demeriti di Popyrin sono superiori.

Mentre i tre successi consecutivi di Jannik su Medvedev e anche i 4 successi su 7 di Jannik su Carlitos mi fanno ritenere che lui in questo momento sia il n.2 del mondo.Quindi un fenomeno. Che vincerà certamente qualche Slam, forse già nel 2024 dove continuerà a migliorare, anche se non quanto nel 2025 e nel 2026. E che ci aiuterà a vincere almeno un’altra Coppa Davis, forse più d’una se Matteo Berrettini tornerà ad essere parente di quello che era.

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