“That stupid lady”: Dallas 1989, l’ultima gioia per McEnroe contro Lendl

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“That stupid lady”: Dallas 1989, l’ultima gioia per McEnroe contro Lendl

Durante le ultime WCT Finals il mancino di New York ritrova intatta la sua classe e si regala un’ultima notte da “numero uno del mondo”

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John McEnroe - Australian Open 1989 (foto @Gianni Ciaccia)
 

Per me non è stato un problema perdere la prima posizione del ranking: molto più importante è stato vincere a Melbourne per la prima volta; tra l’altro dopo l’Australia sono tornato al vertice”. Nel marzo del 1989 Ivan Lendl ha tutti i motivi per essere soddisfatto di sé: a ventotto anni il moravo naturalizzato americano ha finalmente conquistato lo Slam oceanico superando il cecoslovacco Miloslav Mecir con un triplo 6-2 e può puntare in direzione Wimbledon, l’unico Major in cui non ha mai vinto sette incontri di singolare in fila.

La seconda parte della stagione precedente lo ha visto perdere al quinto set le due finali di New York a settembre dello US Open (per mano di Wilander) e a dicembre dell’ATP Master (Becker), ma ora plana sul Texas per le WCT Finals con il 7-0 trionfale australiano, cui aggiunge il sudatissimo quarto di finale contro lo svizzero Jakob Hlasek. Ivan la spunta 7-6 1-6 7-6 6-7 7-6 al termine di un match durissimo in cui non mancano momenti per lui di nervosismo.

In quei giorni il World Championship Tennis del magnate Lamar Hunt è ai saluti, definitivi. L’organizzazione ha prodotto dal 1968 in poi un circuito alternativo di crescente interesse grazie a platee e regole nuove, ma soprattutto grazie a protagonisti straordinari e a partite memorabili. McEnroe ha vinto quattro volte in sette finali complessive, mentre Lendl è giunto all’ultimo atto in tre occasioni, vincendo due volte. In due di questi casi si sono trovati in campo contemporaneamente, dividendosi la posta (nel 1982 Ivan, l’anno dopo McEnroe, 7-6 al quinto).

Mi sono concesso un periodo di stop nel 1986 e tra il 1987 e il 1988: dovevo occuparmi di alcune cose off-tennis. Poi problemi fisici e la pressione di essere numero uno del mondo hanno contribuito a prolungare quei frangenti. Ora voglio dedicarmi al mio sport e a giocare il miglior tennis possibile”. E in effetti sembra proprio che “The Genius” sia tornato: dopo aver chiuso il 1988 con la vittoria a Detroit, a gennaio John McEnroe esce nei quarti a Melbourne contro il futuro vincitore Lendl ma ritrova un posto nella top ten, da dove era uscito più di un anno prima. A Milano cede in semifinale a Becker e a Lione alza la coppa senza perdere nemmeno un set neanche di domenica, quando supera “Kuba” Hlasek.

McEnroe a rete è tornato a muoversi come un giaguaro e malgrado qualche acciacco ha rimesso a punto il servizio, la più elegante e terribile ghigliottina di palle-break che mai si sia vista. A Dallas nei quarti trova Agassi, giovane talento che gli riuscirà di battere sul campo solo una volta in carriera, quando il Kid di Las Vegas contava solo sedici anni, a Stratton Mountain. E infatti le cose inizialmente si mettono male per lui, fino a quando André è costretto a ritirarsi per problemi fisici sul punteggio di 6-4 0-3. E anche John si iscrive alla semifinale, quella “nobile” (l’altra è Gilbert-Pernfors).

Un tie-break ciascuno

Lendl conduce 15-14 i confronti diretti, Gerry Armstrong siede sul sedile più alto e il giovane australiano Richard Ings tiene la mano sul net: alla Reunion Arena si può cominciare. Mac aggredisce sin dall’inizio e i game che lo vedono servire sono divertenti e mozzafiato; l’americano non si risparmia percorrendo la sua parte di campo in verticale al servizio e remando in orizzontale mentre aspetta il momento buono per la sortita a rete quando è in risposta. Il ceco del Connecticut alza il suo muro fatto di fendenti a ritmo altissimo per soffocare la vivacità del rivale.

McEnroe brilla per coraggio ma già al secondo turno alla battuta deve fronteggiare una palla-break, che annulla grazie a un buon servizio. Il dato sulle occasioni perse da Lendl in risposta sarà la chiave dell’incontro: su sedici punti disponibili Ivan ne perderà quindici! Solo due volte Mac dovrà annullarle da destra, le restanti tredici verranno neutralizzate dalla sua posizione più temibile, da dove può buttare fuori dal campo ogni rivale con la sua classica “curva esterna”.

Il livello del gioco cresce e culmina nel primo tie-break: solo colpi vincenti fino al 4-3 per Lendl, la cui pressione spinge McEnroe a rischiare e a sbagliare due volée consecutive. Ivan vince il set e sale 3-0 e poi 4-1. Il numero 6 del mondo però non si arrende: forse si ricorda che meno di un anno prima negli ottavi a Roland Garros si era trovato lui stesso in vantaggio per un set a zero con Ivan e con un break a favore nel secondo (grazie a un incredibile contro-smash passante salutato da un’ovazione della folla parigina). Quella volta il tennista europeo recuperò, vinse il secondo parziale allo jeu decisif ed ebbe la meglio in quattro set…

Chissà se se ne è ricordato, ad ogni buon conto il contro-break arriva e nel nuovo shootout John riprende un pericoloso 3-5 ammannendo un poker stellare e pareggiando il conto: 7-6 6-7.

Il “fattaccio” del quarto set

Nel terzo a sorpresa è Lendl a calare: cede due volte la battuta e il set è appannaggio del suo avversario per 6-2. Il quarto parziale inizia con un rinnovato equilibrio; Ivan si riavvicina al break sibilando risposte splendide ma John trova sempre l’asso che ripara tutto. Fino al 4-4, quando per la prima volta le palle-break sono tre consecutive. Con due volée l’americano arriva a 30 e prova a cancellare la terza.

Da sinistra propone una rasoiata sbieca cui Lendl risponde con un rovescio slice basso e insidioso. Mac orchestra una demivolée di rovescio precaria ma riesce a intercettare il passante seguente di dritto in corsa di Ivan con un colpo di volo in allungo. Quaranta pari! Lendl esplode sotto il seggiolone di Armstrong, per lui il servizio di Mac è out. Il numero uno del mondo è furioso, gesticola e inveisce contro la giudice di linea che secondo lui avrebbe dovuto chiamare fuori il colpo del newyorchese. John si rifugia in fondo alla sua metà campo e osserva la scena seduto sullo scranno di un giudice, probabilmente incredulo di non essere per una volta al centro della bagarre.

Lendl chiede spiegazioni con veemenza ma una sua “oscenità udibile” viene sanzionata con un penalty point. “What did I say?” – chiede sorpreso. Gerry lo squadra con un’occhiata che sembra significare “lascia perdere”, ma l’ex cecoslovacco non ne vuol sapere. E si avvicina ancora di più: “Whisper in my ear”, sussurramelo. Il paziente Gerry china la schiena per entrare nel campo uditivo del campione moravo. E sussurra, come richiestogli.

Si salvi chi può: “I didn’t say that, I’m not playing. Call the referee”. Lendl non vuole più giocare e chiede l’ingresso del giudice arbitro. Arriva Ken Farrar e le cose paiono aggiustarsi, ma Lendl non molla la presa e male gliene incoglie perché finisce per meritarsi un penalty game per perdita di tempo. Mac fugge di nuovo le tagliole del rivale, che sceglie di sorridere amaro: probabilmente anche il ragazzetto di Ostrava che ancora alberga in lui lo ha invitato a lasciar perdere. Non sappiamo cosa l’ottimo Gerry abbia sussurrato all’orecchio di Ivan il Furibondo, ma dai microfoni di TV Koper Capodistria Rino Tommasi alza il volume della telecronaca: “That stupid lady, l’ha detto!.

Un Lendl stoico scuote la testa e dopo il cambio di campo ritrova la parità a quota cinque. Nel game successivo si guadagna la sedicesima palla-break, ma messo sotto pressione dal serve and volley dell’avversario incoccia la rete con un rovescio passante. Mac sale 6-5 e ritrova la linea di fondo dopo la pausa con la consapevolezza che cedere il quarto set comporterebbe entrare nella quinta ora di gioco. Circostanza da evitare, soprattutto se chi ti contende la vittoria è un maratoneta come Ivan.

La tattica scelta dal numero sei del ranking è quella molto semplice (per lui) di rischiare tutto in un arrembaggio costante. L’atteggiamento ultra-aggressivo dello statunitense forse riesce a mettere un supplemento di tensione in Ivan, che non trova la prima palla per tre volte e subisce altrettante sortite del rivale. Supermac si affaccia a rete e agguanta tutto quanto gli ritorna indietro, trasformandolo in soluzioni di volo di pregio assoluto, in particolare con la volée di dritto, sostenuta da riflessi fulminei.

Il tabellone racconta di uno 0-40 che vale tre matchpoint per lo sfavorito della vigilia; due evaporano per la reazione di Ivan che riesce ad allontanare John dalla rete, ma la terza è quella giusta: gioco, partita e incontro McEnroe con il punteggio finale di 6-7(4) 7-6(5) 6-2 7-5.

Dopo la stretta di mano formale con lo sconfitto e prima ancora di recarsi sotto il seggiolone di Armstrong, McEnroe corre ad abbracciare la moglie Tatum O’Neal condividendo così un momento speciale e atteso dal 1985, anno dell’ultima vittoria con Lendl. Il giorno dopo John supererà facilmente Brad Gilbert in tre set e il suo nome entrerà per la quinta volta nell’Albo d’Oro del torneo, nome degnissimo per il canto del cigno del circuito.

Nel cuore dell’irascibile campione statunitense la semi con il suo grande avversario è però il fulcro della settimana, la prova che cercava: anche nell’epoca di Lendl, di “Boom-Boom” Becker e dell’astro nascente “Flipper” Agassi il suo tennis di seta e di traiettorie misteriose aveva ancora cittadinanza.

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