Tathiana Garbin: "Sono tornata in campo per il match della vita, voglio essere d'esempio per le mie giocatrici"

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Tathiana Garbin: “Sono tornata in campo per il match della vita, voglio essere d’esempio per le mie giocatrici”

Il capitano della Nazionale italiana racconta le tappe della sua malattia. Un’esperienza che l’ha cambiata nel profondo, ma a cui era pronta da tempo

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Tathiana Garbin sta giocando la sua partita più importante contro un tumore raro scoperto al ritorno dall’Open degli Stati Uniti di quest’anno: “A New York ho avuto mal di pancia ma non mi sono preoccupata più di tanto: una volta in Italia gli accertamenti hanno portato alla diagnosi”. Ma la lotta che l’ha sempre contraddistinta le ha anche permesso di essere in panchina un mese dopo la prima operazione per assistere le sue ragazze in finale di Billie Jean King Cup contro il Canada. Dopo una seconda operazione (Occlusione intestinale, seguita da complicazioni indesiderate) Garbin è stata dimessa a ridosso delle feste. “Incontro i parenti con la mascherina, però la situazione richiedeva massime precauzioni. Quindi ho trascorso il Natale con mia moglie Ylenia, la mia famiglia, la persona che è rimasta sempre con me anche nei momenti più difficili, quando la sofferenza ti toglie qualsiasi lucidità”.

Intervistata dal Correre della Sera, Tathiana Garbin racconta questo turbolento fine 2023. “Ora sto meglio. L’Ospedale Cisanello di Pisa, dove sono stata operata tutte e due le volte (la prima dai professori Morelli e Di Candio, la seconda per un intervento molto complicato dal professor Lippolis), mi ha dimessa a ridosso del Natale, il vero regalo. Sono state settimane difficilissime, un percorso pieno di dolore ma può succedere: asportato il peritoneo, le aderenze a livello intestinale possono occludere l’intestino. Ho risolto senza necessità di una terza operazione, mi considero fortunata. Alla fine riesco sempre a uscirne in piedi”

Una sfida impossibile sulla carta, ma contro cui era pronta da tempo: “E una vita che mi preparo per una sfida così grande. Ma le sfide non le scegliamo, arrivano: bisogna essere pronti ad affrontarle. Aver giocato a tennis ad alto livello, e averlo insegnato (trasferire agli altri è un passaggio fondamentale), ha avuto un ruolo importante in questa vicenda. Quando mi hanno diagnosticato lo pseudomixoma peritonei, il tumore che origina dall’appendice e che colpisce una persona su un milione, ero pronta: mentalmente e fisicamente. Sono tornata in campo per il match della vita, voglio essere d’esempio per le mie giocatrici. L’esempio è fondamentale”.

Una forza interiore che l’ha sempre contraddistinta, e quella foto della sue ragazze a darle la motivazione necessaria a non arrendersi .“Prima del secondo intervento sono venute a trovarmi a Pisa con una nostra foto incorniciata: non ho smesso di guardarla un attimo. Siamo cresciute insieme, negli anni sono diventate le mie figlie, la mia famiglia itinerante. L’allenatore deve accompagnare, mai imporsi: ho cercato di dare loro le mie anni, perché andassero autonome per il mondo. E nel momento del bisogno, insieme alla Federtennis, mi hanno restituito tutto”.

A volte la malattia ci dice veramente chi siamo, ci fa scavare nel profondo delle nostre convinzioni dice Tathiana. Ho sempre pensato che la fortuna fosse l’occasione che incontra la preparazione. Sto cambiando idea, però. La mia è una malattia molto rara: non posso pensare che il fato non giochi un ruolo. E ha colpito me che, da atleta, mi curo tanto: dal sonno all’alimentazione, non ho mai lasciato nulla al caso. Eppure. La prevenzione è fondamentale, l’ho sempre fatta, se sei ben preparata puoi superare tutto. Il mio sport mi aiuta tanto. Anche a livello mentale: cerco di riportare tutto a un match di tennis. Però il dolore inenarrabile del sondino inserito da sveglia e la perdita secca di dieci chili di peso non hanno paragoni“.

A cosa si è aggrappata Garbin quando il buio era più fitto? “Alla positività che ho sempre insegnato: non potevo tradire me stessa sul più bello. Ho usato la mindfulness, la respirazione consapevole. Mi sono parlata molto, rassicurandomi sul fatto che avrei trovato la forza che alleno da una vita. Evert e Navratilova, impegnate in percorsi di malattia simili al mio, non le ho contattate, no. Ho guardato in loop le immagini delle mie ragazze in campo: Supertennis mi ha mandato un file video che ho consumato. L’importante è volersi bene, non perdere mai la speranza. C’è una nuvola? Okay però dietro c’è sempre il sole, basta che quella nuvola si sposti“.

La scelta di condividere il dolore, di parlare della malattia anche per sensibilizzarla. “Ci ho pensato tanto, la malattia spesso viene vissuta con vergogna e a Siviglia, in Billie Jean King Cup, era giusto che tutta la luce l’avessero le ragazze. Finito il torneo, mi sono convinta di poter dare un contributo alle persone in difficoltà: ho visto tanta sofferenza, e qualcuno che non ha reagito e non ce l’ha fatta. Ho iniziato a scrivere per aiutare me, per osservare da fuori cosa mi stava accadendo. Rileggermi, anche oggi, mi serve. Mi hanno scritto in tantissimi. Comunicare la malattia significa anche farsi aiutare: tendere la mano è un grande atto di coraggio”.

Adesso qual è il prossimo passo? “Un ultimo esame istologico che mi permette di avere pensieri positivi e sensazioni buone. Nella visita del 15 gennaio l’oncologo mi dirà se le cure chemioterapiche sono state sufficienti: sembrerebbe di sì. È partito tutto dall’appendice senza alcuna familiarità tra i parenti anche se è vero che i miei fratelli l’appendice l’hanno tolta, quindi non abbiamo la controprova”. Tornare sulla panchina della Nazionale, che la Federtennis le conserva con affetto, è il primo obiettivo? “Vorrei riprendermi la mia vita, quello che ho sempre amato, ciò che ho sempre vo- luto fare. Ho la fortuna che il mio lavoro sia la mia passione. Mi sveglio ogni mattina più motivata che mai”.

La malattia ha restituito una nuova Tathiana? “Sì, profondamente. Ma non per forza in peggio. Ho toccato con mano la mia forza: non immaginavo di contenerne in quantità da poterne dare agli altri. Sono ben più resiliente di quanto non pensassi. Sento di voler regalare le mie esperienze, voglio mettermi al servizio. Spesso nella vita ci si perde in solenni cavolate: beh, non sarà più così. Quando dai troppa importanza alle cose futili, rischi di perdere la via. Questa avventura mi ha insegnato che se cadi è perché per terra c’è qualcosa che va raccolto“.

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