Dalla nostra inviata a Roma
Stefano Napolitano viveva il tennis ancora prima di poterlo ricordare. Il padre gestiva un circolo di tennis a Biella, tutta la sua famiglia giocava e lui, appena sceso dalla carrozzina, ha iniziato a colpire cercando di tirare giù il muro a pallate. Il primo ricordo nitido di lui bambino in campo è quando puliva le righe bianche con la scopa: “non potevano ancora farmi giocare, ma volevo stare lì anche io”.
Da quel momento inizia un sogno che lo catapulta a vincere nel 2009 il doppio del torneo Under 14, Les Petit As, con Matteo Donati. Raggiunge la posizione numero 9 nel ranking junior. Con Donati vince ancora nel 2015, battendo gli americani Isner e Querrey agli Internazionali d’Italia. Nel 2017 fa il grande esordio in singolare dopo aver superato le qualificazioni ma si ferma al primo turno contro Troicki. Qualche giorno dopo, arriva anche l’esordio Slam al Roland Garros: Napolitano si qualifica per il main draw e vince il primo turno contro Mischa Zverev prima di perdere contro Schwartzman.
Da quell’anno ad oggi, gli infortuni sembrano non volergli più dare tregua e Napolitano è costretto a rinunciare alla figura di coach per finire bene le cure. Arriva anche a pensare di non farcela più, di mollare tutto. Ma la passione resta legata alla sua incredibile forza di volontà, e con una grande speranza nel cuore decide di ricominciare dall’inizio: tornei Futures in Europa da solo, dove nessuno lo guarda, poi i Challengers in giro per il mondo. Conosce Stefano Massari nel novembre del 2022 e dopo circa sei mesi, inizia una solida collaborazione con il mental coach che ad oggi definisce “più che fondamentale”.
Arrivano insieme al Foro Italico, dove Napolitano conquista la prima vittoria in un Masters 1000, il Pietrangeli che ha sognato per tanti anni difficili e il terzo turno sul Grand Stand del Foro Italico. Dal silenzio dei tornei Futures, a 5.000 persone che urlano il suo nome. Una grande emozione, anche se a lui, non piace stare troppo sotto i riflettori. È un grande lettore ed è affascinato dalla vita in cucina perché secondo lui: “bisogna essere un po’ matti per decidere di fare il tennista, così come lo chef”.
Nel suo ultimo giorno a Roma, prima di iniziare la preparazione per il Roland Garros, il nuovo idolo degli Internazionali BNL d’Italia ci ha raccontato un po’ della sua storia.
D: Dalla solitudine dei Futures al protagonista degli Internazionali d’Italia 2024. Come ci si sente a stare sotto i riflettori?
Napolitano: “Non sono un tipo da riflettori, di solito mi piace di più stare in disparte. Non mi piace stare troppo esposto anche se ovviamente questo sport di porta ad esserlo. Le ultime giornate qui sono state molto intense, sono contento di averle vissute. L’immagine di poter giocare di nuovo sul Pietrangeli è qualcosa a cui mi sono aggrappato nei momenti peggiori e poterlo finalmente vivere è stato incredibile. La gente è stato il valore aggiunto di quel momento lì. Capisco di essere stata la novità ma l’emozione delle persone mi ha aiutato ancora di più”.
D: Nel primo set contro Jarry eri visibilmente teso. Che cosa ti creava più tensione: il pubblico, il luogo o l’avversario?
Napolitano: “Quando vivi una situazione del genere tutto viene amplificato, sia nei momenti buoni che in quelli difficili. All’inizio facevo davvero molta fatica ad adattarmi, lui giocava molto veloce e non riuscivo a trovare il ritmo. E in quel tipo di condizione hai il desiderio di voler migliorare subito, perché sei sotto gli occhi di tutti, non è piacevole. Allo stesso tempo ho cercato di trarne forza, non volevo mollare e sono riuscito a trasformarla in una buona partita”.
D: C’è stato un momento preciso nel quale ti sei detto: adesso inizio una nuova partita?
Napolitano: “Sicuramente all’inizio del secondo set quando ho preso break al primo game. Mi sono detto o qui cambio qualcosa o finisce in fretta. Quindi ho deciso di giocare il game in risposta successivo più in spinta. Stava decidendo tutto lui e dovevo trovare il modo di essere più aggressivo. Il mio approccio alla vita in generale è così tendenzialmente. Dalle difficoltà cerco di trovare forza, come ho fatto negli ultimi anni. E nel campo succede la stessa cosa”.
D: C’è un momento della partita che rimpiangi particolarmente?
Napolitano: “Quando ho preso break al terzo. Quei tre punti in cui ho voluto spingere, ma continuavo a giocare con la seconda di servizio. Purtroppo, se togli qualità per due minuti poi te la porti fino in fondo. Il rimpianto è quello di aver pagato nel terzo set due minuti sbagliati, però è quello che succede quando giochi contro gente forte come Jarry”.
D: Cosa ti ha spinto a scegliere Stefano Massari come unica figura di “coach”?
Napolitano: “Il fatto che non fosse a contatto solo con gente nel mondo del tennis ma di tutti gli sport per me era una grande valore aggiunto. Ovviamente poi il percorso che ha fatto insieme a Matteo Berrettini era sotto gli occhi di tutti. Quindi ho deciso di tentare e fin dall’inizio ho sentito che il suo approccio, molto umano, era in linea con quello che stavo cercando. Ad oggi c’è un rapporto bellissimo e per me è una persona molto importante, direi fondamentale”.
D: Non ti piace chiamarla nuova vita, ma preferisci dire che è un percorso nel quale vuoi continuare a migliorarti. Cosa vorresti migliorare in previsione del Roland Garros e dei prossimi tornei?
Napolitano: “Per giocare con i più forti devo migliorare principalmente il gioco. Dal punto di vista tecnico, servizio e dritto devono ancora crescere molto. Il mio percorso di miglioramento tecnico è iniziato circa 14 mesi fa, quando mi sono riabilitato dall’operazione per le ernie addominali. Quindi il processo è stato relativamente breve. Ho bisogno di più tempo per crescere fisicamente e riuscire a stare sano il più a lungo possibile”.
D: Nel 2017 facevi il tuo l’esordio Slam al Roland Garros. Dopo 7 anni, stai per tornarci: come ti senti? Credi di essere tanto diverso dallo Stefano del 2017?
Napolitano: “Nel 2017 vivevo quel percorso in modo molto meno consapevole. Arrivavano delle buonissime vittorie, poi dei momenti meno buoni e tutto mi sembrava capitare un po’ per caso. Alti e bassi che non sapevo spiegarmi. Adesso invece riesco a prendere sia le vittorie che le sconfitte in maniera costruttiva, con molta più consapevolezza che tutto serve a qualcosa. Cerco di mettere tutto quello che ho, ma in modo equilibrato”.
D: A un certo punto della tua carriera hai pensato di non farcela più. E poi cos’è successo?
Napolitano: “È successo che ho continuato a dire smetto domani e non oggi. E “domani” dopo “domani”, quel momento non è mai arrivato”.
D: A parte l’infortunio, qual è la parte più dura di questa carriera?
Napolitano: “Secondo me la parte più difficile di questa carriera non è solamente quanto si sta soli, ma è quanto tempo togli agli altri. Questo è un aspetto a cui penso spesso. Per fare questo lavoro costringi anche le persone che ti stanno vicine a modificare la loro vita in base a te ma è un sacrificio inevitabile”.
D: È vero che vorresti diventare anche uno chef in futuro?
Napolitano: “Mi piace moltissimo il cibo, secondo me è anche un momento che unisce, soprattutto per noi tennisti che stiamo tanto da soli. Poi ho avuto la fortuna di conoscere diverse persone che lavorano nei ristoranti e trovo che gli chef siano un po’ come i tennisti, non devi essere tutto a posto per scegliere di fare quella carriera. Devi essere un po’ mezzo matto ed è un mondo che mi attrae”.
D: Il tuo libro preferito (The biology of belief ) ti ha insegnato che il “pensiero ha effetto sulla materia”. Mi spieghi meglio cosa vuol dire?
Napolitano: “L’autore spiega che nello studio della cellula, è impossibile non tenere conto dell’ambiente in cui la cellula vive per vedere come nasce, come cresce e come si riproduce. Ed è un pensiero che mi ha aiutato molto a cambiare punto di vista. Ho sempre creduto tanto alle cose che erano spiegabili da un punto di vista scientifico, quando invece ho capito che ci sono delle cose diverse ma altrettanto importanti. L’ambiente che ti circonda, le persone che ti stanno vicine, incidono molto sulla crescita e sullo sviluppo”.
D: Il tuo idolo al mondo è Kobe Bryant. Perché proprio lui?
Napolitano: “Perché è andato oltre alle regole. Era ossessivo, maniacale verso la preparazione al lavoro e credo che fosse perché aveva un punto di partenza diverso da uno come Jordan. Quindi il come è riuscito a vincere quello che ha vinto, mi ha ispirato, mi ha dato forza. Con tante difficoltà, si è sempre ripreso tante volte. Ognuno sceglie a che storia ispirarsi, io ho scelto la sua”.