Questo martedì, terza giornata del Roland Garros (ancora è viva in tutti noi l’emozione della cerimonia di domenica per Rafa Nadal, il mio “preferito” tra i Fab Four) Sofia Kenin ha battuto Varvara Gracheva 63 61 in un’ora e 7 minuti. Ma perché questo risultato mi interessa? Beh, perché la Gracheva, ventiquattrenne di origini russe e naturalizzata francese dal 2023, n.67 WTA è l’unica tennista francese compresa fra le top-100, insieme alla JeanJean che per l’appunto è n.100 anche se forse salirà di una decina di posizioni! E Varvara, perdendo dalla Kenin, è uscita di scena, raccogliendo la miseria di 4 game, al primo turno. Poiché l’anno scorso qui arrivò in ottavi, adesso farà un gran balzo all’indietro e uscirà dalle prime 100. Dovrebbe ritrovarsi a n.106.
Vero che due wild card francesi spinte dal pubblico e dalla Marsigliese, Lois Boisson, n.361, e Elsa Jaquemot n.138, avrebbero poi sorpreso Elise Mertens, n.24, e Maria Sakkari n.90, ma insomma per un Paese con le tradizioni della Francia e con una federazione fra le più ricche del mondo, il fatto che ci sia una sola tennista – per di più acquisita – fra le prime 100 del mondo sembra abbastanza stupefacente. Quasi una situazione deprimente e incomprensibile anche se proverò a dare una mia spiegazione. Una spiegazione che vale in buona parte anche per l’Italia, altro Paese più ricco e benestante di molte altre nazioni europee e con alle spalle del suo movimento tennistico una Federazione Tennis e Padel che fattura sui 200 milioni l’anno! Ergo non dovrebbero mancarle i mezzi per far meglio di così. C’è il paradosso dei Paesi ricchi: quando il benessere è un’arma a doppio taglio.
Se non ci facciamo troppo distrarre e confondere dagli inattesi successi dell’ultimo anno e mezzo della nostra Jasmine Paolini ascesa al quarto posto del ranking mondiale dopo aver galleggiato per anni fra il quarantesimo e anche più giù, che anche un altro Paese ricco di tradizione e di soldi federali come l’Italia possa esser soddisfatta – si fa per dire – di avere tre sole tenniste top-100, di cui due più vicine alle ultime posizione che alle prime, proprio non dovrebbe esistere. Bronzetti è n.57 e Cocciaretto n.89. Poi tante tenniste alle loro spalle, ma nessuna davvero promettente. Sembra tutto abbastanza inverosimile. Invece è la verità.
Si tratta di coincidenze temporali, di cicli che vanno e vengono? Sulla scia di Silvia Farina, che ha avuto la sfortuna di mancare l’ingresso fra le top 10 per un soffio in almeno due circostanze quando perse partite che mi aspettavo vincesse – e quindi oggi pochi la ricordano solo perché Silvia si è fermata a n.11 (sono quelle “abitudini” che non hanno molto senso: perché mai chi è n.10 deve essere ricordato in eterno e chi è stato n.11 e con magari pure più punti invece no?) – l’Italia ha poi conquistato diverse Fed Cup e 4 posti “storici” fra le top-ten con battistrada Francesca Schiavone n.4 e poi Errani n.5, Pennetta n.6 e Vinci n.7, ma non è che la federazione italiana tennis avesse meriti particolari per quei risultati costruiti in gran parte a livello personale.
Quindi ci fu più un effetto traino da Farina e Schiavone in poi, che un effetto frutto di un sistema particolarmente funzionante. Oggi ci si augura che anche Sinner dia vita a un effetto traino. In parte si sta già verificando, tant’è che si parla da un paio di anni Rinascimento italiano…Ma solo in campo maschile, con due top ten, e quattro top-30.
Oggi sia la federazione italian sia quella francese (che pure ha avuto in passato fior di campionesse, n.1 del mondo o top-ten, senza ritornare a Francoise Durr, fra Mauresmo, Bartoli, Pierce, Garcia, e qualche altra ottima giocatrice come la Cornet ex n.11 WTA e in grado di battere a Wimbledon 2 delle 4 n.1 sconfitte in carriera a dimostrazione di un notevole talento, Serena Williams e Iga Swiatek) soffrono per la grande endemica assenza di tenniste di livello di vertice mondiale.
Ma da qualche anno, direi dal 2019, il tennis francese non ha più avuto una tennista tra le prime 35. E noi in Italia, come detto, dobbiamo solo ringraziare e benedire il miracolo Paolini.
I Paesi dell’Est europeo, con la Russia leader con 15 top-100, “coprono” da soli una trentina di posti. Poi ci sono tanti Paesi sparsi per il mondo che hanno una o due rappresentanti, ma non hanno certo i mezzi e l’organizzazione di Francia e Italia.
Che spiegazioni si possono dare per la penuria di tenniste di buon livello che Paesi di discreto benessere economico come Francia e Italia mostrano di avere?
Non dovrebbe certo mancare l’aspetto organizzativo e gli incentivi necessari che una volta non c’erano ed erano fondamentali perché il tennis – non dimentichiamo – è uno sport caro, molto caro (da 60 mila euro l’anno…) per chi voglia fare attività agonistica dai 10 anni ai 20 senza alcuna certezza di rientrare nelle spese sostenute dai familiari.
Non c’è dubbio che ci sono sport molto meno cari che – volley, nuoto, basket, atletica – “pescano” assai più del tennis, e prima del tennis, quelle atlete che hanno una certa e adeguata struttura fisica.
Ragazze che vengono reclutate fin dalla scuola dove, nonostante il discorso delle 20 mila racchette che Binaghi dice di mettere a disposizione di presunte scolaresche, trovare campi da tennis in qualche modo collegati ai fatiscenti edifici scolastici dove mancano perfino le palestre, è abbastanza difficile, se non impossibile. Utopistico.
Non è un caso che, salvo Matilde Paoletti delle giocatrici più discrete e “contemporanee” e Rita Grande e Karin Knapp delle ex, tutte le nostre tenniste siano sempre state più vicine al metro e 65 che al metro e 75, un paragone stridente a confronto con certe valchirie russe, tedesche, nordiche e americane, Reggi, Cecchini, Golarsa, Garrone, Serra Zanetti, Piccolini, Schiavone, Vinci, Errani, Pennetta (la più alta con il suo metro e 75), Paolini, Cocciaretto, Bronzetti…(e chissà quante, citando a memoria, me ne sono dimenticate).
Però alla base c’è anche un altro discorso. Per quanto il tennis sia uno sport che a livello femminile consente alle migliori di fare guadagni importanti (più che in altri sport), la molla della fame, del riscatto anche economico, è importantissimo. Per genitori e figlie.
Ma in Italia come in Francia quelle famiglie che stanno bene economicamente difficilmente hanno genitori che spingano le proprie ragazze a fare i sacrifici che il tennis richiede fin dalla più tenere età per imporsi. Volley, basket, nuoto, atletica (e anche calcio femminile adesso), al di là del fatto che gli sport di squadra sono più semplici da “divertire e sopportare”, sono molto meno impegnativi come tempi e lavoro di quanto lo è il tennis e all’età in cui nel tennis – sport individuale – bisogna già lottare per emergere.
Se una ragazzina a 14-15 anni affronta senza già un bel bagaglio di esperienza, le prime gare, nazionali e internazionali, e prende sonore risciacquate (qualche 6-0, 6-1 o anche 6-2) è facile che smetta. Ed è facile che anche il genitore o la genitrice che deve costantemente accompagnarla agli allenamenti e ai tornei, molli la presa. Sfiduciata.
Qual è il genitore di una famiglia benestante che spinge la propria figlia a mollare la scuola per scommettere sul proprio incerto, incertissimo futuro tennistico? Dai 14 anni in poi è quasi impossibile conciliare studi e sport agonistico, con tutte le assenze che il tennis richiede anche solo per partecipare a 6 o 7 tornei d’una settimana fuori città durante l’anno scolastico mentre gli insegnanti storcono il naso.
Qual è allora il genitore che non cerca di spingere la figlia a fare un’attività meno impgnativa, più rilassata, e a iscriverla, salvo che mostri subito fin dai primi dritti e rovesci un talento pazzesco per il tennis e una voglia di giocare – vera garra- altrettanto straordinaria (assieme a un fisico ad hoc, perché oggi se non si riesce a servire a 190 km l’ora si va poco lontano)?
Perché dovrebbe spingerla ad un’attività che per sfondare ti richiede una continuità quasi ossessiva e, se non accompagnata da risultati, spesso frustrante?
Il genitore di una famiglia dal tenore economico sociale medio alto suggerirà sempre alle proprie figlie di dar priorità agli studi e semmai di fare più attività sportive e non, purchè anch’esse non troppo assorbenti. Meglio se di squadra.
In altri Paesi, e penso in particolare a quelli dell’Est europeo dove anche i coach hanno spesso attitudini quasi militaresche, l’ambizione di affrancarsi da una situazione economica più modesta è una molla assai importante in più, rispetto a chi sta già bene di suo e preferisce godersi una vita più tranquilla, viaggi, amici, mare, montagna, vacanze, hobby rilassanti.
Dove si sta molto bene si ha meno voglia di fare grandi sacrifici, genitori e figli. Li si trovano inutili, non necessari. Anche negli Stati Uniti le migliori tenniste ultimamente sono quasi sempre venute fuori (Pegula e Navarro sono delle eccezioni) da famiglie a caccia di riscatto sociale ed economico attraverso le figlie. Ragazze “influenzate” dal fenomeno delle sorelle Williams e dal miraggio dei cospicui montepremi che le migliori sono riuscite ad assicurarsi.
Insomma, il futuro di Francia e Italia però non sembra luminoso. A meno che, per quanto ci riguarda, il fenomeno Paolini non spinga tante ragazzine, e i loro genitori, a cercare di imitarNE le gesta Proprio il fatto che sia riuscita Jasmine a sfondare, senza essere un’amazzone di un metro e 80, potrebbe essere la nostra carta vincente.
Su questo argomento ho provato a sentire come la pensasse Aryna Sabalenka, cui ho rivolto questa domanda: “Ho letto che la Federazione francese, che è una federazione molto ricca, ha una sola giocatrice tra le prime 100, che è Varvara Gracheva, ex russa. L’Italia ha una sola giocatrice come la Paolini, anche se tra le prime 100 ci sono Bronzetti e Cocciaretto. Pensi che sia perché questi Paesi sono così ricchi, lo stile di vita è così ricco che i tennisti, le tenniste, non vogliono fare tutti questi sforzi per diventare buoni giocatori? Pensi che sia più facile nei Paesi dell’Est? Non parlo solo della Bielorussia, ma anche della Repubblica Ceca. Pensi che ci sia un motivo per cui siete più affamati? Volete diventare campioni perché è un modo per avere successo? Nei Paesi più ricchi è più difficile che facciano sacrifici? Forse i genitori non vogliono che lavorino sodo e preferiscono che studino, si laureino e così via?“.
E Sabalenka mi ha risposto così: “Devo dire che, probabilmente a causa dell’ambiente e della storia dei Paesi europei, siamo molto più forti. Chiunque sia riuscito a superare le difficoltà, mentalmente e fisicamente, è molto più forte di quanto non lo sia il resto del mondo. Ma non so perché sia così. Sicuramente va considerato l’ambiente che c’è nei nostri Paesi, molto duro e con allenatori molto brutali; non c’è nulla di gentile nel modo in cui lavorano con le loro giocatrici, sono piuttosto rudi. Penso che sia per questo che forse la nostra mentalità è molto più forte, ma anche, allo stesso tempo, che hanno spezzato molti giocatori. Penso che in Europa e negli Stati Uniti l’ambiente sia molto più sano, quindi probabilmente è tutta una questione di famiglia, di come crescono i loro figli e di come li spingono a fare qualcosa. Ma nel mio caso non sono stati i miei genitori. L’unica richiesta che mi hanno fatto è stata quella di smettere di colpire le racchette, ma non ho seguito l’ordine“.