La notizia, quella vera, non è che Novak Djokovic abbia vinto in tre set, ma come lo ha fatto, in un match che avrebbe potuto complicarsi e che invece il campione serbo ha gestito come sa (ancora) fare. È di 6-3, 6-2, 7-6 il punteggio con il quale l’ex numero uno al mondo ha superato Corentin Moutet nella cornice rombante e roboante del Suzanne Lenglen, portando a casa il passaggio al terzo turno del Roland Garros. Solo il tabellino, però, non racconta tutto, con buona pace di tutta quella frangia di commentatori di varia natura, che vedono nei numeri la chiave di lettura di tutto, trasformando il racconto sportivo in una mera analisi di dati (ma questo è un altro tema); come spesso accade con Djokovic, è nella conferenza stampa che si scopre un mondo: tra dolori fisici, atmosfere elettriche, condizioni climatiche ballerine e persino una fuga in bici per le vie della capitale francese.
Una vittoria col cerotto
“È stato un buon match, una bella battaglia, soprattutto nel terzo set. Le cose si sono un po’ complicate con la vescica al piede, che mi ha dato fastidio per un po’”, ha ammesso Nole, con la franchezza che spesso riserva al post-partita. Niente drammi, intendiamoci, ma neppure tutto liscio come l’olio. Perché quel terzo set, vinto al tie-break per 7 punti a 2, ha visto il serbo doversi aggrappare alla sua proverbiale capacità di tenuta mentale per contenere l’ondata emotiva del pubblico, spinta dal giocatore di casa.
Ecco, il pubblico. Croce e delizia. Per Djokovic, forse un po’ più croce. “L’atmosfera era elettrica, soprattutto nel terzo set. Lui è andato vicino a vincerlo, quindi il pubblico si è infiammato. Non è stato divertente per me, ovviamente, ma ho cercato di restare calmo e fare quello che dovevo fare. Credo di esserci riuscito molto bene”.
Lenglen, teatro d’ombre e grida ravvicinate
Djokovic non gioca spesso sul Suzanne Lenglen, ma quando lo fa, lo sente. Eccome se lo sente. “Sì, si sente la differenza. Il pubblico è molto vicino. È quello che rende questo campo davvero interessante, sia per noi giocatori che per chi guarda: tutto è più intimo, più rumoroso”. Un bagno di folla meno maestoso rispetto al centrale Philippe Chatrier, ma forse più insidioso proprio per quella prossimità fisica che non lascia scampo: ogni urlo, ogni fischio, ogni sussurro arriva forte e chiaro.
E poi una nota di colore che non sfugge a chi conosce bene il circuito: “Mi è sembrato ci fossero più giovani, più bambini. L’ho notato. È stato divertente. Non gioco su Lenglen da parecchio, quindi è stato bello tornarci”.
Il meteo parigino e l’argilla ballerina
Capitolo condizioni di gioco, immancabile quando si parla di terra battuta. E Parigi, si sa, è città di umori mutevoli anche dal punto di vista meteorologico. “Oggi c’era il sole, faceva caldo. L’altro giorno invece si giocava sotto il tetto ed era freddo. Ma nulla a cui non siamo abituati. La terra è una superficie viva, risponde a qualsiasi piccolo cambiamento di temperatura, vento, umidità. Bisogna essere sempre pronti ad adattarsi”, ha spiegato Djokovic, con la consueta perizia del veterano.
Una variabilità che cambia tutto: rimbalzo della palla, velocità, rotazioni. “È lo stesso per entrambi, certo, ma non è facile. E poi dipende anche da chi hai di fronte. Serve essere pronti a tutto”.
Paris à vélo: adrenalina all’Arc de Triomphe
E quando non gioca? Pedala. Letteralmente. “Roland Garros è stato così gentile da regalarmi una bicicletta, l’ho usata ieri per la prima volta”. Fin qui, nulla di strano. Ma poi, il colpo di scena: “Abbiamo provato a fare il giro dell’Arc de Triomphe. A un certo punto avevamo macchine ovunque, è stato piuttosto adrenalinico. Non credo che lo rifarò, specialmente in quella situazione in cui ci stavano anche filmando”.
Chi ha mai affrontato quel famigerato rond-point sa che non si tratta di un luogo per cuori deboli, figuriamoci per chi non ha a disposizione un paio di ali, altro che pedali. “In tutte le altre strade è molto più sicuro”, aggiunge sorridendo, forse ancora incredulo per l’azzardo. Ma la gioia resta: “È bellissimo vedere Parigi in bicicletta. Non sei bloccato nel traffico, puoi girare liberamente. È più divertente”.
Il piede, la vescica, l’età…e la Champions League
Immancabile poi, nella routine del dopo partita, il bollettino medico. E anche qui, Djokovic non si tira indietro. “Ci ho messo quasi un’ora a sistemare la vescica e il sangue. Hanno dovuto fare delle iniezioni, tirare fuori il sangue, poi iniettare qualcosa per seccarla. Non è stato piacevole”.
Una procedura fastidiosa, certo, ma necessaria. “Chiunque abbia avuto delle vesciche che sanguinano sa cosa significa”.
Poi una battuta, quando gli viene chiesto se, da giocatore non più giovanissimo, sente più fatica nel recuperare: “Grazie! (ride) No, dai, hai detto la verità. Ma non credo che ci voglia molto di più per recuperare. Mi sento in forma, non ho problemi particolari. Tre ore sono tante, ma è una buona sessione. E nei tornei dello Slam hai sempre un giorno di riposo, quindi c’è tempo per ricaricare”.
A chiudere, un tocco calcistico. Sabato c’è la finale di Champions League, e a Nole chiedono se la guarderà. “Sì, se non gioco in sessione serale, sicuramente la guarderò. Tiferò per il PSG”, svela, con un sorriso che vale più di mille richieste ufficiali. Il serbo ha espresso la sua preferenza; in tutta onestà crediamo che possa essere accolta.