La finalista: Aryna Sabalenka
Veniamo ora alla giocatrice numero 1 sconfitta, Aryna Sabalenka. Sabalenka era reduce da un’altra amarezza Slam, la finale dell’Australian Open 2025 persa in volata contro Madison Keys (6-3 2-6 7-5). Però vanno sottolineate le differenze: a Melbourne entrambe avevano giocato bene e Keys si era presa la vittoria a suon di vincenti; a Parigi è stata più Aryna a “implodere” su se stessa, attanagliata dalle tensioni.
Per spiegarne le cause penso sia necessaria una digressione nel passato. Ottobre 2017, torneo International di Tianjin. Sabalenka è alla prima finale a livello WTA. Ha compiuto da qualche mese 19 anni e si appresta a giocare la più importante partita della sua giovane carriera. Anche se è un “modesto” International, equivalente a un odierno 250, l’avversaria è di grande prestigio: Maria Sharapova. Dopo la sospensione per doping, Sharapova è rientrata da qualche mese e ha preso parte al torneo grazie a una wild card. In quel momento le due protagoniste sono numero 80 (Maria) e numero 102 (Aryna) del ranking.
Comincia il match e Sabalenka si porta subito 4-1. Poi però la situazione progressivamente si rovescia, tanto che Aryna cederà due volte il servizio e di conseguenza il primo set 7-5. Secondo set: di nuovo Sabalenka parte meglio e questa volta sale addirittura 5-1. Ma anche questa volta non riesce a capitalizzare il vantaggio, e finirà per perdere il set in un drammatico tiebreak (10 punti a 8). Risultato finale: Sharapova batte Sabalenka 7-5 7-6(8).
E così Maria conquista quello che risulterà l’ultimo torneo vinto in carriera, l’unico dopo il rientro dalla sospensione; mentre Sabalenka perde la sua prima finale con molti rimpianti, dato che è stata in vantaggio piuttosto nettamente in entrambi i set. Aryna vincerà la sua prima finale solo al quarto tentativo, sconfiggendo Carla Suarez Navarro a New Haven 2018. Va detto che Carla non era certo famosa per il killer instinct, visto che su 10 finali disputate ne ha vinte solo 2.
Perché racconto tutto questo? Perché Sabalenka è una giocatrice che sin dagli esordi ha mostrato difficoltà nella gestione dello stress in occasione delle partite più importanti, e ci sono sempre voluti diversi tentativi per superare certi scogli. Per esempio a livello Slam: Aryna diventa numero 11 già nel 2018, ma passeranno tre anni di controprestazioni prima che riesca ad andare oltre il terzo turno in un Major. Soltanto nel luglio 2021 raggiunge finalmente la semifinale a Wimbledon (sconfitta da Karolina Pliskova).
Dopo Wimbledon 2021, Sabalenka ha sicuramente compiuto un salto di rendimento, tanto che nelle ultime stagioni è diventata la più costante anche negli Slam: ha vinto due Australian Open e uno US Open, oltre che tanti tornei a livello WTA. Oggi è ai vertici del circuito, e la classifica lo conferma: questa settimana è al comando del ranking con oltre tremila punti di vantaggio sulla seconda, Coco Gauff. Però la mia impressione è che si possono mitigare alcune naturali debolezze agonistiche, ma superarle del tutto è molto difficile. La Sabalenka dei primi anni faticava nei Major sin dai primi turni; oggi riesce a esprimersi bene nei match di avvicinamento alla finale, però quando arriva al momento definitivo, se le cose non filano tutte per il verso giusto riemerge il suo tratto naturale più profondo. E così viene a mancare la serenità necessaria per fare le scelte giuste in campo: ecco allora gli errori gratuiti a ripetizione, le decisioni tattiche sbagliate, e la confusione che cresce fino a diventare autodistruttiva.
Nella conferenza stampa post-finale Sabalenka non è riuscita a mascherare l’insoddisfazione, rilasciando dichiarazioni non proprio in linea con l’abituale galateo tennistico. In sostanza: invece che spiegare la sconfitta con i meriti dell’avversaria, ha sottolineato di avere perso per colpe proprie. E quanto più infieriva su sé stessa, tanto più finiva per sminuire la prestazione di Coco. Per come la vedo io, sono state dichiarazioni censurabili nella forma, ma in gran parte condivisibili nella sostanza. Ha detto fra l’altro: “È stato il peggior tennis che ho giocato da non so quanti mesi. Le condizioni erano terribili e lei è stata semplicemente migliore rispetto a me in queste condizioni. Penso sia stata la peggior finale che abbia mai giocato”.
E poi: “Credo di essere stata troppo emotiva. Oggi non sono riuscita a gestirmi bene mentalmente. Penso che lei abbia vinto il match non perché abbia giocato in modo incredibile, ma semplicemente perché io ho commesso tutti quegli errori”. Quindi, riferendosi alla finale persa sempre contro Gauff allo US Open 2023: “Non posso continuare ad andare in campo ogni volta contro di lei in una finale Slam e giocare un tennis così brutto, e regalarle queste vittorie”. Infine sul vento: “Forse avrei dovuto arretrare tanto e iniziare a giocare palle più alte, magari quello mi avrebbe aiutata davvero. Ma sì, non ero nelle condizioni mentali giuste per pensare in modo lucido”.
La parte mentale è la più difficile, di una difficoltà quasi diabolica per chi pratica il tennis: si prova a lavorare in ogni modo per superare certe debolezze, ma se si nasce con poco killer instinct sembra quasi inevitabile che quelle stesse debolezze periodicamente tornino a riaffiorare. Ripensando alla finale di Tianjin 2017: se Sabalenka fosse nata con le qualità agonistiche di Sharapova, oggi avrebbe un palmarès con più titoli WTA e soprattutto più Slam.
a pagina 3: Lois Boisson