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Reading: La riflessione del giornalista Owen Slot: “Gli errori non forzati nel tennis non esistono”
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Statistiche

La riflessione del giornalista Owen Slot: “Gli errori non forzati nel tennis non esistono”

Proponiamo un articolo del Sunday Times sulla discrezionalità delle statistiche nel tennis. E in tutti gli aspetti della vita

Last updated: 24/08/2025 13:18
By Redazione Published 23/08/2025
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10 Min Read


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di Owen Slot, pubblicato da The Sunday Times il 4 luglio 2025
Traduzione di Carlo Laviano e Giorgia Michela Pizzo

È giovedì pomeriggio, mi trovo in una piccola cabina sopra il Centre Court con tre studenti universitari e riflettiamo su perché commettiamo errori nella vita o, più precisamente, su perché si può essere eliminati da Wimbledon. 
I miei tre nuovi amici fanno parte del team di analisi dei dati IBM. Sono 65 in totale, coprono ogni match su ogni campo. Forniscono le statistiche che spiegano perché hai perso: doppi falli, il numero di punti vinti contro il primo servizio, il numero di punti vinti durante gli scambi da 5 a 8 colpi. Tutto.

Non sono studenti qualunque che cercano di pagare i debiti per tutto il sidro che non sono riusciti a pagarsi lo scorso semestre. Puoi candidarti solo se hai giocato a livello di tennis di club, come minimo. Poi c’è un processo di selezione che va da ottobre a Natale e sessioni di addestramento da gennaio a maggio. Alcuni giocatori di buon livello hanno fatto questo lavoro; Henry Patten, campione di doppio maschile a Wimbledon, per cominciare.


Qui sopra il Centre Court stiamo guardando la partita di secondo turno di Iga Swiatek contro Caty McNally, l’americana. Dei tre membri del team IBM, il ragazzo al centro sta commentando il punto: “Servizio al centro, risposta di rovescio“, e così via. I suoi compagni di squadra ai lati stanno inserendo i vari dati del set. Si alternano nei ruoli, perché la loro concentrazione non deve mai calare.
 Sul 5-5, primo set, 15-30 al servizio di Swiatek, arriviamo finalmente al punto cruciale. Swiatek e McNally stanno scambiando colpi con intensità, McNally è tenace e Swiatek, cercando di sfondare la sua resistenza, inizia a spingere, sempre più vicino alle linee. Alla fine, nel 18° colpo dello scambio, la palla si alza, Swiatek pianta i piedi e si prepara a rischiare tutto; scaglia un diritto angolato verso la sinistra di McNally, ma finisce per pochi centimetri nel corridoio.

Il team IBM decide: diritto fuori. “Non forzato“.
 Ma aspettate un attimo, ragazzi, quello non era un errore non forzato. Almeno, questa è la mia opinione. Swiatek ha commesso quell’errore solo perché McNally ha spinto tanto, facendo muovere la polacca, costringendola a giocare in condizioni fisiche sempre più difficili e obbligandola a incrementare il rischio nella scelta dei colpi. Questo era un errore forzato. McNally lo ha provocato.
 Se sia un errore non forzato, insomma, è una questione puramente soggettiva. Un ace è un ace, punto e basta. Cosa provoca, o meglio forza gli errori è un argomento che meriterebbe un trattato.

Per necessità, IBM richiede parametri il più specifici possibile e ha quindi ridotto gli errori forzati/non forzati a una serie di fattori fisici: ad esempio, è stata la potenza o la posizione del colpo ricevuto a costringerti all’errore? Se no, l’errore potrebbe essere non forzato.

Tuttavia, il tennis non funziona così. Nella clamorosa sconfitta di giovedì, Jack Draper ha commesso molti meno errori non forzati (22) di Marin Cilic (34), il che potrebbe suggerire che il britannico stesse giocando in modo più preciso. Eppure Draper ha perso in quattro set e il motivo per cui Cilic ha commesso più errori non forzati è dovuto all’approccio tattico vincente: rischiare, giocare sulle linee e provare i vincenti. I 34 errori non forzati potrebbero sembrare troppi ma riflettono in realtà il successo del suo approccio coraggioso.

Quello stesso giorno ho guardato Alex de Minaur battere Arthur Cazaux in un incontro nel quale gli ultimi due set sono sfuggiti rapidamente dalle mani del francese in una gragnola di errori non forzati. Se dalle statistiche si potrebbe evincere che Cazaux abbia sprecato, l’analisi post-partita di De Minaur ha evidenziato come la sua tattica sia stata fautrice dell’esito finale.

L’australiano, numero 11 del ranking, ha affermato che la sua intenzione era “giocare in modo un po’ difensivo e costringerlo a provare a far molto di più di ciò a cui è abituato di solito. La pressione ha iniziato a divorarlo quando ha sentito di dover aumentare i giri. Ecco perché penso che abbia commesso così tanti errori nel terzo e nel quarto set”.
Il demerito è dunque di Cazaux per aver commesso gli errori non forzati o è da attribuire il merito a De Minaur per averlo fatto sbagliare?

Il tennista che ha portato la statistica degli errori non forzati a vette davvero straordinarie è stato, che ci crediate o meno, Novak Djokovic. Non qui a Wimbledon, ma all’Australian Open del 2016 in un incontro di quarto turno contro Gilles Simon nel quale le statistiche annoverano 100 errori non forzati, allora considerato un record.

Quindi ora pensiamo che Djokovic sia diventato improvvisamente un tennista scarso quel giorno? Oppure il gioco di Simon si basava fermamente su una tenacia e una difesa strenua tanto che era definito un vero e proprio osso duro del circuito? Testimonianze di quel match indicano che non fu solo Djokovic ad avere un giorno infausto, ma che Simon ci mise lo zampino.

Stessa identica cosa nella finale del Roland Garros di quest’anno. Aryna Sabalenka ha commesso 70 errori non forzati e dopo il match si è lamentata della sua pessima prestazione ignorando che Coco Gauff avesse potuto contribuire alla sconfitta. La resistenza dell’americana ha costretto Sabalenka a cercare le linee e più sbagliava, più aumentava la pressione e di conseguenza più si allontanava dalla vittoria.

Le statistiche indicano che Sabalenka è stata responsabile della propria sconfitta, ma Gauff ha avuto un ruolo cruciale. Quando il numero di errori non forzati è stato analizzato al microscopio da The Athletic, è stato descritto come “un incontro per testare i limiti della statistica meno appagante del tennis”.

Nel tennis, ci si potrebbe chiedere: c’è mai un errore completamente non forzato? Negli annali di Wimbledon, il tennista con il numero maggiore di errori non forzati è George Loffhagen, un ventiquattrenne di Londra. I numeri dicono che ha perso il 31% dei punti che ha giocato a causa di errori non forzati. È una statistica abbastanza severa: lo è, almeno, per il suo allenatore, Ryan Jones, che lo definisce una “Ferrari che va in panne” quando la situazione si fa “schiacciante”. Per un giocatore alla posizione 293 del ranking, Wimbledon può essere esattamente così. Jones e Loffhagen quindi comprendono perfettamente la causa di tutti questi errori.

Ovviamente, non è una questione limitata al tennis. Si potrebbe dire che i putt sbagliati di Rory McIlroy allo US Open fossero errori non forzati ma si ignorerebbe totalmente la pressione psicologica del momento che l’ha portato a sbagliare. Così come i calciatori della nazionale che sbagliano i calci di rigore.

Il più celebre errore non forzato nel rugby è il calcio piazzato tirato davanti ai pali, sbagliato da Gavin Hastings alla Coppa del Mondo del 1991, che avrebbe potuto portare la Scozia in finale. L’errore, avrebbe spiegato dopo, era stato proprio calciarlo. Era stato appena colpito da un tackle; non era nelle condizioni più adatte a calciare.

Lo sport è questo: una storia infinita di causa ed effetto. La domanda non è se i ragazzi dell’IBM avessero ragione a definire il dritto di Swiatek un errore non forzato, piuttosto se si debba cercare di distinguere tra errore forzato e non forzato. La vita non è così.

Sono uscito di casa senza chiavi ieri e credo che IBM l’avrebbe etichettato come errore non forzato. Ora, so che potrei migliorare (ero di fretta!), ma ho cercato di fare più che potevo nei cinque minuti precedenti e ammetto di essere un pochino disorganizzato. Tuttavia, non è per niente colpa mia e sicuramente non è stato un errore non forzato.


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