Quando si parla della sorprendente ascesa del Kazakistan nel panorama tennistico internazionale, molti pensano subito a nomi come Elena Rybakina o Alexander Bublik. In realtà dietro questo fenomeno c’è un lavoro silenzioso, ma strategico, guidato da uomini come Bulat Utemuratov e da tecnici come Dave Miley. È proprio l’intervista a Miley concessa a The Astana Times a offrire una lente privilegiata per capire come si costruisce – da zero — un “modello tennis” nazionale.
Da Almaty al “tennis per tutti”: la trasformazione raccontata da Miley
Dave Miley ha un passato da tecnico e dirigente all’interno dell’ITF (Federazione Internazionale di Tennis). Nella sua intervista con The Astana Times racconta che la sua prima esperienza in Kazakistan risale al 1993, quando il tennis era sostanzialmente confinato all’area di Almaty.
Rientrato successivamente in qualità di Direttore Tecnico della Federazione Kazaka, ha trovato un Paese in piena metamorfosi. “Oggi un bambino in ogni città del Kazakistan può usufruire di un centro attrezzato dove poter giocare”, dice Miley, sottolineando che l’espansione infrastrutturale è stata cruciale.
Dal 2007, con l’ingresso nel ruolo di presidente della federazione del magnate Bulat Utemuratov — possessore della catena Burger King nazionale, ha investito nel settore alberghiero, aeroportuale e delle telecomunicazioni — la Kazakhstan Tennis Federation ha imboccato una strada diversa. Imprenditore tra i più influenti del Kazakistan e grande appassionato di tennis — in particolare di Rafael Nadal e Roger Federer — Utemuratov ha messo a disposizione le proprie risorse e competenze manageriali per rilanciare il movimento.
La KTF ha avviato così un programma ambizioso di infrastrutture — ad oggi, 38 centri importanti e 364 campi (terra e cemento) sono disseminati su tutto il territorio nazionale. Le tariffe d’affitto dei campi sono state drasticamente ridotte (da 50 USD/ora a circa 10 USD/ora) proprio per abbattere le barriere economiche all’accesso. Utemuratov ha inoltre investito in prima persona in questi progetti, cercando di renderli sostenibili e non solo dipendenti da fondi pubblici. A complemento di questo impegno, la Federazione ha moltiplicato i tornei nazionali e giovanili — inserendo inoltre il Kazakistan sul circuito internazionale non solo come partecipante, ma anche come organizzatore.
Miley rimane ad ogni modo affascinato dall’evoluzione delle strutture: “abbiamo strutture che non troveresti in molte parti d’Europa” — includendo palestre, campi coperti, campi in terra battuta interni. Tuttavia, sottolinea che il successo non è questione di ricchezza assoluta: “L’Arabia Saudita è molto ricca ma non ha giocatori. L’Argentina, che non è ricca, ne produce sempre.” Secondo lui, è la qualità del sistema che decide (non a caso cita anche l’Italia come esempio di eccellenza).
Ogni federazione ha due obiettivi principali: avere più giocatori e giocatori migliori. Si vuole aumentare la partecipazione — questo significa programmi per under 10, più allenatori, più giocatori amatoriali. E allo stesso tempo si vogliono formare atleti in grado di competere in Coppa Davis o ai massimi livelli del circuito. Non si tratta solo di soldi, ma di avere un buon sistema e di usare le risorse in modo efficace.
Atleti naturalizzati vs “autoctoni”
Un punto delicato affrontato durante l’intervista è il dibattito sul valore dei giocatori naturalizzati (o trasferiti) come Elena Rybakina e Alexander Bublik, che sono stati fondamentali per dare visibilità internazionale al Kazakistan. Miley ricorda che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le regole dell’ITF permisero ai giocatori nati in qualsiasi ex repubblica di rappresentarne un’altra, rendendo comune il passaggio tra federazioni.
Per Miley, non ha senso demonizzare queste scelte: “Quando i nostri migliori giocatori vengono in Davis Cup o Billie Jean King Cup qui, spendono tempo con i giovani — e questo ispira la generazione futura.”
Il “cuore” del tennis: divertimento e coinvolgimento
Infine, Miley ricorda che l’essenza del tennis rimane semplice: colpire, scambiare, competere.
«Il cuore del tennis è semplice: scambiare e fare punti. È questa l’idea alla base della campagna Play and Stay che lanciammo nel 2007 all’ITF. Quando le persone iniziano a palleggiare, a colpire la palla avanti e indietro, a giocare i punti, si appassionano. Ecco perché vogliamo che ogni giocatore, che sia in campo o sugli spalti, viva qualcosa di straordinario. Se ci riesce, tornerà a giocare», ha dichiarato.