Di seguito la conferenza post-match di Matteo Berrettini in italiano.
D: Intanto hai detto il tempo va veloce. Il tempo toglie ma il tempo forse ti dà anche, perché ti ho visto giocare delle partite sagge, di grande esperienza, di grande intelligenza. Quindi senti che magari in questo momento in cui sei in equilibrio fra le due cose, tra il tempo che toglie qualcosa ma ti regala che una saggezza, un’esperienza che magari prima non avevi.
Berrettini: “Assolutamente, anche perché forse l’unica cosa che possiamo fare, quando passa il tempo, ora faccio il filosofo, è imparare e far sì che questo tempo che passa non sia inutile. E quindi mi sento sicuramente più maturo e di riconoscere le emozioni che mi arrivano, sapere che quando c’è una difficolta, magari in passato, anche in campo, un break subito, l’avrei presa in maniera un po’ più negativa. Oggi ho messo la testa giù e ho detto: ‘Ok, bisogna lavorare, bisogna continuare’. Quindi sicuramente in quel senso il tempo aiuta. Bisogna essere bravi a prendere il tempo con il giusto approccio. Non farsi schiacciare, accettarlo ed imparare.“
D: Si è parlato tanto del calendario della Davis, con questa formula con le 3 partite, con la prima che diventa fondamentalmente decisiva perché indirizza soprattutto dal punto di vista della pressione sulla squadra che perde il punto, tu come la vivi? Cioé è una cosa che ti piace, ti dà l’adrenalina giusta cominciare per primo pensando che è già un punto che può indirizzare le sfide?
Berrettini: “Sinceramente mi piace sapere a che ora inizio, che è una cosa più rara per il nostro sport e che non aiuta gli appassionati o chi si avvicina al nostro sport. A volte mi chiedono “A che ora giochi?” “Terzo dalle 11” “…e quindi?” può essere a qualsiasi orario. Quello mi piace, organizzare la giornata in quella maniera lì. Giocare per primo non mi dispiace, ma mi è capitato di giocare anche per secondo, mi piace allo stesso tempo. Io credo sia una questione di feeling, di trovare le extra-motivazioni, che stai 1-0 sotto o stai 1-0 sopra e vuoi chiuderla. Mi è capitato di giocare l’anno scorso il doppio a secco, senza aver giocato il singolo. Secondo me è solo una questione di essere pronti, di far sì che le emozioni non ti invadano troppo ma che te la godi senza perdere la bussola.“
D: Tornando sul rapporto con Flavio, è vero che ha origine molti anni fa, però è vero anche che avete 6 anni di differenza. Quindi quando tu ne avevi 15 lo guardavi come un bambinetto. Adesso quel gap d’età si è accorciato, di cosa è fatta la vostra amicizia? Cioé, parlate delle cose vostre…Non avete la squadra del cuore in comune…
Berrettini: “È ovvio che la cosa bella nonostante i caratteri diversi, gli anni diversi, gli approcci diversi, poi ci si ritrova con il fatto che tutti e due siamo cresciuti in un circolo di tennis, in un’accademia, in un Centro Tecnico. Ad un certo ho passato più tempo io con Stefano [Cobolli, n.d.r.] di quanto non ne passasse lui. A volte ci guardiamo dopo che Stefano dice una cosa ed è come se ci dicessimo…”Lo sappiamo che è fatto così”. Il capirsi al volo è il bello delle amicizie. E’ ovvio come hai detto tu che 6 anni sono tanti e quindi per un certo periodo di tempo siamo stati un po’ distanti. Però adesso stiamo rientrando e parliamo della vita in generale. Io tendo sempre, con i giovani soprattutto, a cercare di farli rallentare un attimo, perché ho la sensazione che vanno sempre tutti molto veloce, che si chiedano tanto e che questo mondo vada troppo veloce e quindi devono imparare a godersi, e sono io il primo a doverlo imparare, un po’ di più i momenti. E infatti l’unica cosa che gli ho detto prima di entrare in campo è stata ‘Goditela!’. E proprio per questo lui sente che sono per lui un punto di riferimento da quel punto di vista. Perché non gli dico ‘Vinci’ e non gli metto pressione.“
D: Hai parlato d’esperienza, una delle cose che probabilmente è cambiata è anche il rapporto con il tuo servizio. Nel senso che tu hai sempre un servizio molto forte, molto potente. Ma probabilmente adesso, dopo tutte le vicissitudini che hai vissuto, lo regoli un po’ di più. Come è cambiato questo colpo che è uno dei tuoi marchi di fabbrica?
Berrettini: “Si, piuttosto, come dicevo prima, mi sono evoluto come giocatore. Per esempio, per me, il giocatore più difficile da breakkare era Roger. Che non è quello che serve più forte ma era il più preciso. Lì ho capito che spesso la precisione paga, poi se riesci ad essere preciso e potente meglio ancora. Però secondo me anche variare il ritmo del servizio, puoi servire nello stesso angolo con due rotazioni diverse, con due velocità diverse e secondo me quella è la chiave per trovare e dare un po’ più da pensare all’avversario. Quindi questo sicuramente è una cosa. Poi è ovvio che sto studiando e continuiamo a studiare, cercare di capire perché in alcune situazioni vado in difficoltà fisica, però è sempre stata e sempre sarà una delle mie armi principali.”
D: Qui c’è anche Santopadre in altri vesti, ovviamente, però ti chiedo: in un contesto così di nazionale, nonostante ci sia Filippo, Umberto, Alessandro, resta per te un riferimento e cosa può dare e cosa ha già dato, secondo te, a Sonego?
Berrettini: “Sì, oggi ci pensavo mentre mi scaldavo, dicevo ‘Oh, alla fine gira che ti rigira siamo sempre noi’. È bellissimo, bello perché veramente con Vincenzo [Santopadre] è rimasto un rapporto vero, puro. Ci siamo sentiti, ci siamo visti quest’estate quando mi sono fermato. Lui condivide con me, io condivido con lui, rispettiamo i tempi reciproci di lontananza e poi ovviamente mi conosce come nessuno. Forse Umberto, adesso ovviamente Ale [Alessandro Bega n.d.r.] ha iniziato a conoscere allo stesso modo, però con Vincenzo veramente c’è un’intesa che è difficile, perché 15 anni da quell’età lì è veramente impossibile quasi da ricreare. È bello perché dopo le partite mi viene lì e mi dice ‘No, io ho visto questo, ho visto quello'”‘ e diciamo sempre le stesse cose, cioè siamo connessi da quel punto di vista. È bello e credo che possa fare un signor lavoro con Lorenzo, perché si rispettano e si stimano tantissimo tutti e due. Hanno, secondo me, una cosa che io gli invidio un po’ a tutti e due, quella leggerezza per andare e fidarsi l’uno dell’altro, cosa che io tendo a fare meno perché mi fido meno di me, forse, e io rimugino un po’ di più, sono un po’ più introspettivo, sto lì, ci ripenso. Invece loro vanno, sono istintivi, sono belli da vedere perché si divertono. Quindi io auguro, gli ho detto mille volte che gli do un grosso in bocca al lupo. A Metz a un certo punto ho detto ‘Se giochiamo contro, però, prima o poi succederà e gli darò un pugno in faccia.‘”
