Montagne Russe

Panatta&Lendl: per me, numeri 1

Alcune frasi contentute nel libro di Panatta “Più dritti che rovesci” fanno arrabbiare i tifosi di Lendl. Azzolini spiega il senso delle frasi e il perché si possono amare contemporaneamente . Enzo Cherici

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“Domani non vai a scuola”. Non so che tipo di espressione sia apparsa sul mio volto, fatto sta che mio padre s’è subito affrettato ad aggiungere: “Andiamo a vedere il Tennis”. M’aveva tenuta nascosta la cosa fino all’ultimo momento quel furfante. Tanto che quel giovedì finii regolarmente gli inutili compiti per il giorno dopo. Ma non m’è passato neanche per l’anticamera del cervello di avercela con lui. Avrei potuto finalmente vedere dal vivo Panatta, il mio idolo di ragazzino.


Si incontravano Italia e Cecoslovacchia, per guadagnarsi il diritto a sfidare gli imbattibili Stati Uniti di McEnroe e Gerulaitis nella finale di Coppa Davis 1979. Non ero mai stato al Foro e mi sembrava un sogno. Avevo 11 anni ed ero già appassionatissimo di tennis. Ricordo ancora interi fine settimana in compagnia di mamma-Rai che trasmetteva le epiche gesta dei nostri moschettieri di Davis. Match rigorosamente tre-su-cinque, senza tie-break e con riposo dopo i primi tre set. E allora giù di corsa nel cortile sotto casa con racchetta e pallina, a tormentare con il mio terribile battimuro il povero sor Luciano, un panettiere costretto a dormire durante il pomeriggio, dal momento che la notte lavorava al forno. Ma quei dieci minuti mi davano la spinta per riprendere la visione del quarto set con maggiore carica, manco fossi stato io a dover scendere in campo.
Della squadra cecoslovacca conoscevo soltanto Tomas Smid. Il nome dell’altro singolarista andai a cercarmelo sul Messaggero di quel giorno: Ivan Lendl. Mai sentito prima. Poco male. Non avrei sopportato di assistere dal vivo ad una sconfitta di Adriano, quindi quel mister nessuno mi andava più che bene.
Arriviamo al Foro e arriva la prima brutta notizia: il primo match in programma era Barazzutti-Smid. Ero talmente ansioso di vedere Panatta, che non avevo messo minimamente in preventivo l’ipotesi che potesse giocare prima qualcun altro. E invece inizia un match interminabile (e brutto), che il cecoslovacco si aggiudica 7-5 al quinto. Brutta storia. A parte il fatto non secondario che eravamo sotto 0-1, rischiavo anche di non vedere il match di Adriano.


E invece i due giocatori si presentano regolarmente in campo. Il vero Panatta era lì, sotto i miei occhi. Non più una macchietta indistinta su un televisore in bianco e nero. Ma proprio lui, in carne ed ossa. Io ero nella tribuna laterale corta e Adriano palleggiava sotto di me, dandomi le spalle. Per i primi 3-4 minuti non ho avuto occhi che per la materializzazione del mio sogno. Ma pian piano il mio sguardo ha iniziato ad andare più lontano. Dall’altra parte del campo c’era un giovanotto secco allampanato, con il volto segnato come da un velo di tristezza. Vedendolo palleggiare, il mio primo pensiero fu: ma che cavolo di dritto ha? Non era ammirazione la mia. Ero quasi scandalizzato. “Il dritto non si gioca così”, tentavo di autoconvincermi. Non avevo mai visto prima quella strana frustata, che terminava con quell’accelerazione così violenta dell’avambraccio. Fatto sta che il match è tutt’altro che una passeggiata. Quel diavolo si sposta alla velocità della luce e il mio idolo ha il suo bel daffare per imporre la sua maggiore esperienza. Ma riesce comunque a portare a casa il primo set con il punteggio di 6-4. Nel secondo però si mette male. Lendl spinge come un treno da fondocampo e Adriano inizia a fare fatica. I suoi attacchi si fanno più corti, prevedibili e il ceco sembra avere in mano il pallino del gioco. Dopo alcuni passanti di dritto in corsa, alcuni spettatori dietro di me iniziano a chiamarlo Tirammolla: “Ahò ariva dapertutto”. Ma sul 4-1 in suo favore irrompe il fastidioso fruscio d’un microfono che si accende: il match è sospeso per oscurità. Maledizione. Avevo potuto ammirare il mio idolo per poco più di un’ora.


Non c’è alcuna suspence nel mio racconto. Non devo certo svelarvi com’è finita. Ma il famoso doppio 6-0 che Adriano inflisse ad Ivan la mattina successiva, dovetti godermelo da casa. Davanti al mio vecchio televisore in bianco e nero.
E man mano che il match andava avanti e la mia gioia aumentava con il passare dei giochi, per quello che andava profilandosi come un trionfo per Adriano, faceva anche capolino la mia simpatia per quel giovanatto ceco. Nessuna spiegazione di tipo filosofico: m’erano simpatici tutti quelli che perdevano con Panatta e antipaticissimi quelli che lo battevano. All’epoca, tanto per capirci, il mio nemico tennistico numero uno era l’australiano John Alexander, autentica bestia nera di Adriano.
E Lendl quel giorno, poveraccio, non stava soltanto perdendo. Stava subendo un’autentica lezione. E pur nell’immensa gioia per il risultato, non potei evitare di mettermi nei suoi panni. Forse perché di 6-0 ne beccavo parecchi dai miei amici più grandi. Fatto sta che ero certo di capire benissimo quello che stesse passando. Fu così che, terminata quella mattanza, iniziai a seguirlo con attenzione (e con tante, tante soddisfazioni) come mio pupillo.
Ma lo rividi dal vivo soltanto una volta. In un primo insignificante turno di Roma 1988, contro il connazionale Jaroslav Navratil. Assistetti al match in compagnia del presidente del mio circolo, Vincenzo Franchitti, noto agli appassionatissimi per essere stato per qualche anno numero 5 italiano negli anni ’70 e – soprattutto – per essere stato l’unico italiano a battere Borg (Bologna 1974: 6-3 6-4), oltre a Panatta. Ivan vinse facilmente quel match per 6-2 6-4 e si aggiudicò poi il torneo battendo 6-4 al quinto l’argentino Perez Roldan.

Che senso ha parlare di Panatta e Lendl nel 2009? Lo spunto è venuto da una polemica sorta per alcuni frasi contenute nel libro di Panatta “Più dritti che rovesci”. Scrive Adriano: “Lendl? C'era chi lo odiava e chi lo ammirava, ma forse di veri tifosi non ne ha mai avuto uno. Troppo antipatico. Eppure riempiva le tribune, e c’era chi andava al tennis solo nella speranza di vederlo perdere". Confesso che, leggendo queste poche isolate righe (senza aver ancora letto il libro, cosa che farò senz’altro), anch’io ho fatto un balzo sulla sedia. Come sarebbe che Lendl non aveva tifosi veri? Detto da Adriano poi, che aveva rappresentato il mio primo amore tennistico e l’inconsapevole causa del mio infatuamento per Ivan!
Ha provato a chiarire il senso del pensiero panattiano Daniele Azzolini – direttore di Matchpoint e coautore del libro – con un commento apparso nei giorni scorsi sul nostro sito: “Ciò che intende dire Adriano, in quel passaggio del libro, è che vi sono molti modi di essere numero uno, ma che è meglio per il tennis se il numero è anche personaggio. Lendl, dunque, Panatta lo considera personaggio a pieno titolo. Un personaggio che a lui non piace ma che ha tutto (e prima di tutto il tennis) per essere degnamente il numero uno”.
Direi che, lette così, quelle righe assumono senza dubbio tutt’altro significato. So io per primo che erano in tanti ad odiare tennisticamente Lendl. Come ha giustamente ricordato Panatta nel suo libro, in tanti seguivano i suoi match solo per tifargli contro. La citata finale di Roma contro Perez Roldan non fa eccezione in questo senso. Ma una cosa è certa. Non era personaggio da passare inosservato. Tanto per i suoi ammiratori che lo amavano alla follia (e ce n’erano, eccome se ce n’erano), quanto per i detrattori (che probabilmente erano in numero ancora maggiore).
Ma si può amare nello stesso tempo Panatta e Lendl? Una mia cara amica impazzisce letteralmente per Brad Pitt ed Al Pacino. Quanto di più distante possa esistere probabilmente sia in fatto di estetica, che in fatto di qualità artistica. Ma lei li ama entrambi. Senza un perché.
Anche le passioni sportive spesso non hanno un perché. Sono legate a ricordi di bambino o ad episodi particolari. E allora si, si possono amare Panatta e Lendl, anche se si detestavano cordialmente ed erano così diversi tra loro come stile di gioco e di vita.
Sono passati tanti anni da allora. Gli head-to-head dicono 2-2 (anche se il sito Atp dice 2-1 Lendl). Ora che entrambi sono nel club esclusivo dei vincitori di Slam, sarebbe bello organizzare un match rievocativo tra i due, una sorta di “bella”. E dopo tutti assieme in trattoria, per festeggiare con Mister Panatta e Mister Lendl.

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