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Ferrero, 30 anni per rinascere

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Quando, nel 2003, Juan Carlos Ferrero (classe ’80), Roger Federer (’81) ed Andy Roddick (’82) vinsero, uno in fila all’altro, Roland Garros, Wimbledon e US Open, sembrò chiaro, inevitabile, che il tennis degli anni successivi sarebbe stato decisivamente segnato da questi tre giocatori: Juan Carlos avrebbe interpretato il ruolo di re della terra battuta, Roger dell’erba, e tutti e tre se la sarebbero giocata sul cemento, con un leggero vantaggio (forse) per l’americano.

Nessuno avrebbe immaginato che Federer, noto ai tempi per la poca continuità e il cattivo temperamento, sarebbe diventato il giocatore più vincente di sempre; forse qualcuno aveva intravisto dietro ai limiti tecnici di Roddick la ragione per la quale avrebbe vinto un po’ meno dello svizzero, ma magari non proprio 16 a 1... Eppure tutti davano per certo che il feudo rosso di Juan Carlos sarebbe stato relativamente al sicuro dagli attacchi nemici, anche perché - memori degli scarsi risultati di Sampras sulla terra - la possibilità di vedere un giocatore d’attacco vincere al Roland Garros sembrava altrettanto remota che quella di assistere ad un arrotino sollevare la coppa di Wimbledon.

Tutti i pronostici si sono dimostrati più o meno sbagliati, ma nessuno quanto quello riguardo a Juan Carlos: Roddick non ha più trionfato in uno Slam ma bene o male fatto altre 4 finali ed è stato una costante presenza tra i primi 10, Federer ha naturalmente vinto l’invincibile, e persino il quarto incomodo di allora, Hewitt, pur tra infortuni e malanni di ogni genere è riuscito a raggiungere sovente i piazzamenti degni di un grande campione... mentre Ferrero non ha vinto nulla, ma proprio nulla, per i successivi 6 anni, uscendo dai primi 10 nel settembre del 2004 e non facendovi più nemmeno sporadico ritorno, né invero avvicinandocisi, raggiungendo appena due quarti di finale nei tornei del Grande Slam, singolarmente entrambi a Wimbledon. In quello che sarebbe dovuto essere il suo Roland Garros, dal 2003 ad oggi, Juan Carlos non ha più nemmeno raggiunto gli ottavi, perdendo al primo turno nel 2008, al secondo nel 2004 e lo scorso anno, e per il resto sempre al terzo.

Non fossero stati tanto copiosi i suoi risultati nel quadriennio 2000-2003 (oltre al già citato titolo a Parigi, altre due finali negli Slam, una al Master, 4 titoli Masters Series e la prima Coppa Davis spagnola), si sarebbe potuto usare nei suoi confronti il termine “meteora”, ma proprio la qualità di quello che fu Il Mosquito in quegli anni, rende ancora più inspiegabile il buon-giocatore-e-niente-più, caduto addirittura al 115° posto della classifica nel maggio dello scorso anno.

É probabile che abbia pesantemente inciso nel proseguo della vicenda sportiva di Ferrero il difficile 2004, durante il quale si ammalò di varicella e infortunò successivamente al polso destro ed alle costole per una caduta in allenamento, terminando quella stagione che aveva iniziato al numero 3 della classifica oltre al 30° posto. É possibile che non gli abbia fatto piacere, per usare un eufemismo, la velocità con la quale la stampa e il pubblico spagnoli lo accantonarono nel 2005, quando esplose il fenomeno Nadal. É abbastanza verosimile che dopo le sue vicissitudini e l’affermarsi definitivo dei mostri Federer e Nadal, appagato dai titoli e dai premi vinti, Juan Carlos non abbia intravisto la possibilità di tornare a essere numero uno, superare o quantomeno eguagliare quanto raggiunto, e la mancanza di tale stimolo abbia inciso in modo decisivo sul suo rendimento, soprattutto per via di quel tennis di sicuro talento, ma indissolubilmente legato alla fatica ed all’allenamento.

Detto tutto questo, c’è qualcosa di poetico, puro amore del gioco, nel suo essere rimasto attaccato alla racchetta, lui che era stato un re, e nell’attesa di quasi 6 anni per vincere, la scorsa primavera a Casablanca, un torneo che nel 2003 non avrebbe probabilmente nemmeno giocato, o quello della scorsa domenica a Costa Do Sauipe, dove aveva perduto in finale nel 2007 da Willy Cañas, ed ha questa volta fatto a pezzi il polacco Kubot.

Pur senza avere migliorato nell’immediato la sua classifica (n. 22), Ferrero intravede di nuovo i primi 20 giocatori del mondo, appena a 20 punti dal numero 19 Ferrer: con due zero da difendere tra Indian Wells e Miami e la prima cambiale significativa in scadenza il 6 di Aprile (250 punti della vittoria a Casablanca), il traguardo sembra tutt’altro che irraggiungibile. L’augurio per lui, assieme a quello per il compleanno, è poi di riuscire a giocare di nuovo una buona stagione europea su terra, dove ancora ha pochissimo da difendere (appena 90 punti, considerato che lo scorso anno non giocò a Monte Carlo e fallì le qualificazioni di Roma), prima della grossa cambiale di Wimbledon. E chissà che non possa rimettere il naso persino tra i primi 10.

Si dice che la vita inizi a quarant’anni, ma chissà che quella dello spagnolo non possa conoscere una seconda giovinezza ora che ne ha trenta.

Roberto Paterlini

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