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08/02/2011 16:22 CEST - L'ARGOMENTO

Binaghi, io non concordo. E voi?

TENNIS - Il presidente FIT ha definito l’attuale come la miglior squadra azzurra di sempre. L’importante successo di Schiavone, Pennetta, Vinci ed Errani non deve far dimenticare che la Fed Cup si vince con tre incontri. Nella Davis degli anni Settanta se ne dovevano vincere sei e contro squadre agguerrite. La miglior squadra azzurra di sempre è quella di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli. Ubaldo Scanagatta

 

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Voglio complimentarmi sinceramente e con tutto il cuore con le ragazze azzurre capaci di battere 4-1 l’Australia in Tasmania recuperando fra l’altro una sconfitta iniziale abbastanza inattesa patita da un’ancora stanca Francesca Schiavone con la Groth.

Come ho avuto modo di dire anche nel mio abituale intervento domenicale su Radio Montecarlo questa vittoria sul cemento contro due avversarie di ottima levatura, quali Stosur n.5 del mondo e Groth n.31, e ottenute in Australia, per me vale molto di più delle due finali vinte contro gli USA di Oudin e Glatch, di Mattek-Sands, Vandeweghe e ancora Oudin.

Il criterio di giudizio che uso stavolta e sempre è quello stesso che mi ha fatto dire che a suo tempo l’Italia aveva vinto la sua prima Fed Cup più grazie all’exploit di Francesca Schiavone contro la Francia di Amelie Mauresmo che grazie al successo di Charleroi contro un Belgio orfano di Clijsters, infortunata, e con la Henin che si fece male nel doppio finale.

E negli anni passati più importanti i successi con le francesi in trasferta e le russe (anche se non al completo) sono stati certo più importanti e determinanti che non le scontate vittorie sulle americane orfane delle sorellone Williams. Anche se poi a fare notizia sui TG, fra i non addetti abbindolati dai p.r. di comodo, sono state quelle vittorie piuttosto che altre.

Allo stesso modo per me era stato più facile riconoscere e sottolineare il talento di Francesca Schiavone quando raggiunse la finale di Mosca 2005 dominando Dementieva, Kuznetsova e Mauresmo (cui lasciò pochi games, anche se poi perse in finale dalla Pierce) che non la prima vittoria nel torneo di Bad Gastein che pure conquistò titoli in prima pagina sulla Gazzetta.

Ognuno sceglie i propri criteri di giudizi, c’è chi ama cavalcare l’onda nazionalpopolare d’una vittoria, chi preferisce valutare i contorni tecnici di un risultato. Io appartengo certamente alla seconda schiera e quasi mi indigno quando vedo prevalere, nel giornalismo d’accatto contemporaneo (accattonaggio di favori popolari intendo…), gli articoli appartenenti alla prima schiera. A me paiono disonesti intellettualmente, ma sono in stragrande minoranza. Anche perché a capo dei giornali e delle pagine sportive non ci stanno mai tecnici competenti degli sport extracalcistici.

Anche le prestazioni della stessa Schiavone a Mosca, in occasione della finale di Fed Cup persa nel 2007, furono secondo me assolutamente straordinarie e da esaltarsi in misura molto maggiore _ in prospettiva _ di quanto non fu fatto dalla stampa più superficiale. Ma tant’è. E’ la battaglia di Don Chisciotte contro i mulini a vento.

Lo scorso anno _ ed è già stato sottolineato da vari commenti di voi lettori, e non credo allo scopo di sminuire i successi di un’equipe come quella azzurra che che fa della propria omogeneità la propria forza e riscuote giustamente l’ammirazione generale _ non era stata battuta nessuna tennista meglio classificata della posizione n.24 nel ranking mondiale.

Insomma l’Italia al femminile coglie risultati meritati e legati alla forza combinata delle due singolariste, una ormai top-5 e in crescendo tecnico e “mentale” grazie alla fiducia procurata dai suoi stessi risultati, e l’altra ex top-10 con un potenziale da top-ten stante l’attuale situazione tecnica del tennis femminile.

Aggiunte alle due abbiamo 4 doppiste di tutto rispetto: la “Penna” addirittura n.1 del mondo in coppia con la Dulko, la Schiavone su cui giustamente secondo me Barazzutti ha sempre fatto affidamento quando c’era da schierare un doppio decisivo sul 2 pari.

E ciò anche se con la sua proverbiale ostinazione scaramantico-superstiziosa Corrado annuncerà sempre al momento del sorteggio una coppia diversa…che scende in campo solo quando il punteggio non è più in discussione (ma qui mi manca la controprova…lasciatemi però credere in quel che penso, poi magari mi sbaglio…).

Robertina Vinci più che vincere sempre non può fare. Ma se le chiedeste, in camera caritatis, e pur tenendo presente la vittoria conquistata accanto a Saretta Errani nel torneo di Hobart, se potesse scegliere la compagna per un match di spareggio, io penso che direbbe prima Schiavone e/o Pennetta, eppoi la Errani che ha una seconda di servizio troppo debole per essere competitiva ai massimi livelli. Fa già miracoli a ottenere i risultati che ottiene.

Quindi onore alle nostre che formano davvero una squadra fra le più forti del mondo, se non la più forte in assoluto a ranghi completi: ora la Russia non ha più 4-5 giocatrici fra le top-ten, la Serbia di due ex n.1 (Jankovic e Ivanovic) annaspa, gli USA delle Williams idem per motivi anagrafici e fisici, mai come in questo periodo le prime undici giocatrici appartenevano a undici nazioni diverse.

Chi ha una forte n.2, come l’Italia, merita di stare ai vertici. E la FIT merita il plauso dovuto per mettere al servizio di questa squadra che le dà lustro, molti mezzi, molti supporti. Allenatori (federali e personali, non solo Barazzutti ma anche Urpi…), medici, fisioterapisti, massaggiatori, preparatori atletici, dirigenti di sostegno, Palmieri, Daniele, il capufficio stampa Mancuso e il suo collaboratore di Supertennis Castaldo…più qualcuno in viaggio premio: che ci faceva e quale utilità aveva, ad esempio, Meneschincheri in Tasmania? Non lo sapremo mai…eppure non è una trasferta di poco conto, laggiù Down Under, no?

Ma dopo questo lungo preambolo arrivo alle entusiastiche dichiarazioni di Binaghi post vittoria in Tasmania. Il presidente federale ha detto: “"Questa è la più forte nazionale che il tennis italiano abbia avuto e sì che il tennis maschile ha avuto in passato squadre forti".

Mi sono domandato, leggendo questa dichiarazione, se essa fosse giusta e condivisibile. Ovvio che vada presa con le molle perché è stata detta a caldo, in un momento di comprensibile entusiasmo, seppur magari accompagnato da quel tantino di cinismo politico cui purtroppo nessun dirigente sembra mai capace di rinunciare. Ma poiché di solito Binaghi si innamora delle sue frasi-slogan e finisce per ripeterle più volte, e penso di risentrla chissà quante volte, vorrei provare ad analizzarla un po’ più in profondità, di modo che si sappia come la penso io e per capire come la pensino anche i tanti lettori di Ubitennis.

Come premessa non posso dimenticare che Binaghi poco prima di Natale aveva celebrato in pompa magna i 100 anni della Federazione Italiana Tennis, fondata nel 1910 a Firenze, preoccupandosi di esaltare soprattutto _ e scopertamente fin dall’invio assai discrezionale degli inviti ad ex campioni e personaggi che hanno fatto la storia di quei 100 anni _ gli ultimi 10 anni, per l’appunto quelli della sua presidenza. Come se gli altri 90 non fossero quasi esistiti. Tal giudizio, a questo riguardo, fu generale e non mio personale. Anzi, finora non l’avevo mai neppure espresso. Si sa come sono i politici, a che vale sorprendersi o criticarli?

In quell’occasione Binaghi ribadì più volte, con il suo direttore comunicazione a far da cassa di risonanza, come il 2010 fosse stato l’anno migliore della storia del tennis italiano. Una chiara esagerazione. Lì apparve chiaro a tutti coloro dotati di un minimo di memoria storica che il 1976 (vittorie di Panatta a Roma e Parigi, n.4 del mondo, vittoria in Coppa Davis) era stato ingiustamente declassato.

Sarebbe bastato dire, per risultare più credibile e disinteressato: “Il 2010 è stato uno dei migliori anni della nostra storia tennistica, grazie ai risultati delle nostre ragazze, e dimenticando quelli dei ragazzi” per diventare immuni a qualsiasi critica di chi avesse voluto accusarlo di boutades propagandistiche.

Il presidente del CONI Petrucci rivolse grandi complimenti al suo elettore: “E’ un grande manager”. Ma sono i soliti complimenti incrociati che si fanno i dirigenti, i politici. Non bisogna farci troppo caso.

Eppure _ apro un inciso _ è invece proprio riguardo alle competenze manageriali di Binaghi che oggi credo si possa legittimamente nutrire qualche dubbio. Dubbi che discendono a seguito di tre anni di sperimentazione e di riflessioni riguardo alla scelta di Binaghi di privilegiare l’investimento televisivo su Supertennis che comporta un esborso diretto ed indiretto (euro più euro meno) di circa 3 milioni l’anno.

Siamo tutti proprio certi che non sarebbe stato meglio destinare invece quella stessa somma a 100 ragazzini/e l’anno che con 30.000 euro di aiuti ben canalizzati avrebbero potuto costituire una base ben più massiccia ed importante di quella fin qui offerta dalla fallimentare gestione di Tirrenia (nemmeno un giocatore entrato tra i top-250 dal 2004 a oggi)?

Ma torno, dopo queste colpevoli (ma spero non inutili) digressioni, alla dichiarazione di Binaghi: “Questa è la squadra migliore di tutti i tempi…”.

Beh, è vero che nessuna squadra maschile ha vinto tre Coppe Davis in cinque anni. Ma è anche indiscutibilmente vero che il livello tecnico, e la difficoltà a raggiungere quattro finali in cinque anni di Coppa Davis fra il 1976 e il 1980 (dopo aver perso in semifinale quella del 1974 a Johannesburg), fanno secondo me della squadra formata da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli, una squadra che merita ancora oggi di essere ritenuta la miglior azzurra di tutti i tempi.

Intanto per arrivare in finale non bastava vincere due partite come in Fed Cup, ma bisognava vincerne almeno tre, quattro o anche cinque. La metà capitavano in trasferta e su superfici ostiche. E in Davis a quei tempi giocavano tutti i migliori, senza quasi eccezioni.

Nel ’74 l’Italia, che pure si fermò a quella semifinale in Sud Africa che se superata ci avrebbe probabilmente consentito di vincere la prima Davis _ non avremmo mai perso con l’India _ dovette battere in Svezia la squadra del fenomeno Borg, di Leif Johansson e del gigantesco doppista Bengtson, poi la Romania di Nastase e Tiriac che aveva giocato due Challenge Round. Tutto ciò prima di arrendersi ai sudafricani Hewitt e Moore che, più che discreti giocatori in altitudine avevano in Hewitt-McMillan un punto sicuro. Era una coppia capace di trionfare a Wimbledon un paio di volte (e anche senza mai perdere il servizio, entrambi, in tutto il torneo!).

Nel ’76, l’anno dell’unica vittoria, l’Italdavis di Panatta e soci vinse con la modesta Polonia, con la meno modesta Jugoslavia (Franulovic e Pilic sono gente che hanno giocato finali di Slam), con la Svezia (e li fummo fortunati perché Borg si era infortunato…), poi con la Gran Bretagna a Wimbledon sull’erba e anche lì si giocava non contro pizza e fichi ma Roger Taylor e …John Lloyd, due “erbivori” di tutto rispetto, rispettivamente semifinalista e finalista di Slam. Poi in semifinale ci fu la sfida australiana che la bestia nera dei “nostri” John Alexander rese difficilissima, perché battè sia Panatta sia Barazzutti…

Apro un inciso personale: contro Alexander avevo giocato una delle mie migliori partite anni prima, al Trofeo Bonfiglio under 21 a Milano. Avevo avuto setpoints e perso di misura con long-set, mi pare 9-7,6-3 o 6-4, poi lui aveva vinto il torneo battendo Panatta in finale. Oggi siamo amicissimi e in Australia mi fa sempre grandi feste (non solo perchè gli avevo presentato una bellissima ragazza fiorentina, Ila, con la quale ebbe una rovente love-story…!).

Insomma la vittoria in quella semifinale venne perché John Newcombe, ormai 32enne non era più brillante come ai tempi in cui aveva vinto 3 Wimbledon, 2 US Open e 2 Australian Open, perse i due singolari e soprattutto perse con Roche _ al fianco del quale aveva vinto 4 Wimbledon, 1 Roland Garros e 2 Australian Open _ un doppio in cui Bertolucci accanto a Panatta giocò in fase di risposta come si può giocare solo in Paradiso. Adriano e Paolo vinsero 6-3,6-4,6-3 su una coppia che ancora allora, benché non più giovanissima, veniva considerata una delle più forti al mondo (tant’è che il secondo Australian Open lo vinsero proprio quell’anno).

Un altro inciso a carattere personale (che inserisco solo perché alcuni lettori mi hanno scritto di farli perché caratterizzano maggiormente certi articoli…sorry invece se ad altri procurano invece fastidio…): era così forte Paolo che quei tre tornei che giocò con me…me li fece vincere tutti. Poi scelse come compagno Panatta. E fece bene! Al suo posto l’avrei fatto anch’io. Ma in Coppa Brian-De Morpurgo sempre Paolo mi portò alla vittoria con il CT Firenze contro il duo Fachini-Crotta, testa di serie n.4 agli Assoluti di Bologna, per 6-0 al quinto. E’ rimasto uno dei miei più bei ricordi di mediocre tennista.

La finale del ’76 a Santiago, lo sanno tutti, fu vinta per il solo fatto di riuscire ad andare nel Cile del dittatore Pinochet nonostante il parere contrario di gran parte dei partiti politici di sinistra (e dei manifestanti di allora fra cui si distinse il collega Baccini, oggi capufficio stampa Fit _ come si cambia con gli anni eh? _ al grido “no, nessuna volee con il boia Pinochet!”) e con grande merito di Nicola Pietrangeli che si battè per affrontare quella trasferta convinto a) che avremmo vinto, b) che perdendo per rinuncia avremmo fatto in realtà un gran favore propagandistico al regime di Pinochet c) che se non si aveva la forza né l’intenzione di interrompere anche tutte le relazioni diplomatiche e commerciali con il Cile non aveva senso allora limitarsi ad un boicottaggio sportivo che non avrebbe lasciato traccia alcuna; d) forse che il rifiuto dell’India di giocare la finale con il Sud Africa nel 1974 aveva messo in crisi l’apartheid?

L’Italia andò a Santiago e vinse 4-1. Perdemmo soltanto sul 4-0 il punto ininfluente di Zugarelli contro la riserva cilena Prajoux, ma comunque sia Fillol sia Cornejo erano certo giocatori più validi e noti che non la Oudin o la Mattek-Sands, per non parlare della Vandenweghe o della Glatch che manco ritroviamo fra le prime 100 del mondo ed eppure sono riuscite non si capisce come a conquistare una finale di Fed cup.

Fillol in particolare è stato un signor giocatore, e lui con Cornejo in doppio hanno vinto fior di tornei che le americane battute dalle nostre in Fed Cup manco si sognano.

Nel ’77 l’Italia detentrice della Coppa _ ma nessuno osò mai chiamarsi e chiamarli “campioni del mondo”! Andate a vedere i giornali di allora se non mi credete…_ sconfisse ancora una volta la Svezia priva di Borg. Beh, era come giocare contro gli USA senza le Williams…ma difatti quella Svezia perdeva al primo turno, come _ in una competizione davvero dura _ avrebbero dovuto perdere anche gli USA al femminile senza né Serena né Venus.

Poi, semprepe nel ’77, ci fu la vittoria in Spagna contro due campioni come Manolo Orantes e Josè Higueras, il primo che aveva vinto Slam e grandi tornei, il secondo soltanto questi ultimi, ma entrambi gente che aveva giocato da top-ten. Battuti a casa loro sulla terra rossa di Barcellona. Prima un 3-1 per gli azzurri, con un finale 3-2 e l’incidente fra un Panatta improvvisatosi pugile con uno spettatore spagnolo che aveva irriso Adriano fin dal primo minuto d’una partita giocata senza nerbo da un Panatta ormai eccessivamente demotivato (6-1,6-0 dalla riserva Soler).

Quindi ecco la vittoria sulla Francia rappresentata da due giocatori che all’Italia avevano, e avrebbero, procurato sempre grossi fastidi: Jauffret che attaccava senza darti mai respiro (Panatta soffriva da matti gli attacchi sul suo rovescio) e Dominguez, mancino irriducibile. Fu un 3-0 sudatissimo prima del 4-1 finale. Due singolari vinto dopo cinque set, un doppio dopo quattro e in pratica deciso dal 9-7 con cui si era concluso il terzo set.

Perdemmo lottando tenacemente, però, la finale in Australia. Il vecchio Roche battè Panatta (63 64 64), il solito Alexander sconfisse Barazzutti (62 86 46 62), ma Panatta e Bertolucci fecero un altro miracolo nel vincere il doppio _ sull’erba di Sydney _ contro i favoriti Alexander-Dent: 64 64 75. Panatta arrivò a due punti dal mathc nel primo singolare della terza giornata contro la sua bestia nera John Alexander, ma finì per perdere 11-9 al quinto. Il 12 a 12 del primo set fra Barazzutti e Roche, sospeso per oscurità e mai più ripreso, tanto ormai si era sul 3-1 per gli aussies, fece pensare a tutti noi che se Panatta avesse trasformato quel matchpoint con Alexander, forse avremmo vinto la seconda Coppa Davis nelle condizioni più difficili dovute all’erba, al clima torrido australe (e non solo per via delle mosche che resero impossibile la vita ai nostri quando non era ancora stato inventato l’Autan).

Da cancellare il 1978 per un’infausta sconfitta con l’Ungheria di Taroczy e Szoke, un po’ come per le nostre ragazze va cancellato il 2008 quando abbiamo perso altrettanto inopinatamente e malamente dalla Spagna a Napoli con il tetto da cui filtrava l’acqua piovana.

Nel ’79 i “quattro moschettieri azzurri” vinsero un primo match ridicolo con la Danimarca, un secondo più duro con la Polonia di Fibak a Varsavia (Barazzutti fu bravissimo a risalire da due set a uno sotto (7-5, 5-7, 3-6, 6-4, 6-2) con il n.1 polacco che in prima giornata aveva dato una stesa a Panatta (6-2,6-0, 2-6,6-4) e poi ci fu a Roma la vendetta sugli ungheresi che ci avevano eliminato l’anno prima. Il quarto round fu vinto contro l’Inghilterra di Mottram (che battè Panatta 6-0,6-4,6-4 nel primo singolare procurandoci non poche ansie) e John Lloyd, ormai ribattezzato mr. Evert per il suo strombazzato matrimonio con la bella Chris della Florida. Avesse sposato il suo precedente flirt, Jimmy Connors, nessuno si sarebbe mai permesso tanto…

Il quinto round fu vinto contro l’ostica Cecoslovacchia di Tomas Smid e dell’emergente campioncino Ivan Lendl cui Panatta inflisse un memorabile 6-0,6-0 nel terzo e nel quarto set...poi lo ribattè sempre nel 1979 al terzo turno di Barcellona...e fu l'ultima volta! Già Barazzutti dovette faticare non poco per batterlo e conquistare il terzo punto per l’Italia: 4-6,6-1,6-2,3-6,7-5! Anche lui, se non sbaglio, non ci vinse più.

Così ecco l’Italia alle prese con la terza finale in 4 anni: ma purtroppo gli Stati Uniti allora prendevano ancora molto sul serio le Coppe a squadre e la Coppa Davis in particolare. Gli Usa si presentarono con la miglior squadra possibile e su una superficie, a San Francisco, troppo veloce per noi: John McEnroe e Gerulaitis nei singolari, Lutz e Smith in doppio, non ci lasciarono un benché misero set e solo Panatta-Bertolucci riuscirono a giocarne uno…long, un 12-10: 6-4,12-10,6-2. Negli altri incontri non arrivammo mai neppure a cinque games in un set.

Quel ricordo mi fa chiedere: ma come sarebbe finita a San Diego se fossero state presenti e in buona salute le due Williams? Con la Schiavone che in 10 partite non ne ha mai vinta una con Venus, con la Pennetta che non ne ha mai vinte con Serena? Insomma, le squadre possono anche esser forti oppure deboli, ma per vincere ci vuole anche la buona sorte. Ed è un discorso obiettivo che è più facile avere fortuna se si devono giocare e superare due o tre incontri che cinque o addirittura sei. E’ come la differenza fra un torneo Atp o Wta d’un tabellone a 32 giocatori oppure uno Slam da 128.

Infatti nell’80, ultima finale del quartetto d’oro del tennis italiano in cinque anni: l’Italia battè prima la Svizzera, poi ancora una Svezia orfana di Borg _ e io lo ricordo bene perché feci un piccolo scoop giornalistico…detti il buco a tutti i grandi giornali perché uscito casualmente a cena la sera della finale vinta da Borg su Nastase con Patrice Dominguez…il francese che era stato finalista nel “mio” torneo di Firenze, fu lui a dirmi d’essere stato negli spogliatoi dell’All England Club subito dopo la finale e che Borg, dolorante ad una gamba, gli aveva anticipato che non sarebbe certamente venuto a Roma preferendo recuperare; feci appena a tempo a chiamare il giornale. Ricordo che, poichè ero ospite di Gianni Clerici, trovai corretto come minimo telefonare io direttamente al suo giornale, Il Giorno, per dargli quello scoop che altrimenti sarebbe stato solo de La Nazione. Non esistevano i telefonini allora e Gianni era irrecuperabile. Aveva scritto tutto un pezzo su Borg cinque volte campione che sarebbe venuto a Roma il weekend successivo a stroncarci le ossa. , ricordo le perplessità del redattore cui comunicai che doveva cambiarlo….senza poter parlare con Gianni. Come ricordo le didascalie in prima pagina di importanti quotidiani nazionali nelle quali, sotto la foto dell’Orso Svedese, si leggeva: domani il campione di Wimbledon arriverà in Italia dove il prossimo weekend giocherà contro gli azzurri di Coppa Davis. Nessuna bravura da parte mia, in quell’occasione. Solo fortuna.

Poi ecco di nuovo a Roma, per il terzo round, l’Australia: Panatta batte McNamee, modesto singolarista sulla terra rossa 5-7 6-4 6-0 6-4, ma Barazzutti perde con l’altro Mac, McNamara, 10-8, 1-6,6-4,6-2. I due Mac, vincitori a Wimbledon quell’anno (e anche poi nel 1982) perdono da Panatta-Bertolucci ancora una volta straordinari,in cinque set 2-6,9-7,9-7,2-6,6-4..

La vittoria di Panatta su McNamara significò la quarta finale in cinque anni per l’Italia. A Praga andò tutto storto, complice l’ineffabile arbitro Bubenik, truffatore matricolato e per sempre sospeso dall’arbitraggio dopo i furti perpetrati a Panatta in occasione del primo match vinto in rimonta da Smid su Adriano ormai trentenne (3-6,3-6,6-3,6-4,6-4) _ da allora l’ITF adottò il principio di inviare sempre una triade di arbitri neutrali agli incontri di Davis _ e con episodi memorabili quali il fermo di un indignato parlamentare italiano del PCI e il successivo rifiuto di Adriano a proseguire il match se il connazionale suo tifoso non fosse stato immediatamente rilasciato.

Un Lendl ormai già maturo e quasi campione dominò Barazzutti dopo un set d’assaggio, 4-6,6-1,6-1,6-2. Nel doppio stavolta Panatta-Bertolucci non furono brillanti e si fecero rimontare due volte (3-6,6-3,3-6,6-3,6-4). Così il grande ciclo finì.

Ora si dirà forse _ e questo è quel che dice Binaghi _ che una squadra che vince 3 Fed Cup (e raggiunge una quarta finale) in 5 anni è più forte di una che vince una sola Coppa Davis raggiungendo 4 finali sempre in un quinquennio.

Ma a parer mio, del tutto personale, francamente il valore tecnico delle imprese compiute da Panatta e soci è di tutt’altro valore. E questo, ripeto, senza voler assolutamente sminuire i grandi risultati ottenuti dalle azzurre. Lungi da me, vi assicuro. Ho la massima stima e la più grande ammirazione per quello che stanno facendo. Per l’Italia e per il tennis. Non fosse stato per loro avremmo vissuto indubbiamente anni ancora più bui.

Ma la Coppa Davis degli anni 70-80 era una cosa molto ma molto seria. La Fed Cup del terzo millennio lo è _ e non sempre _ per un incontro su tre all’anno. Per questo ritengo che le dichiarazioni di Binaghi, con la sola (concessa) scusante dell’averle pronunciate a caldo, mostrino delle due l’una: o una certa superficiale approssimazione nella conoscenza della storia del nostro tennis da parte del presidente federale, oppure più semplicemente la volontà politica di esaltare un periodo che consente fortunatamente alla sua dirigenza di ignorare le deficienze di un settore tecnico che negli ultimi dieci anni non ha purtroppo prodotto nulla, né a livello maschile né a livello femminile.

Nessuna di queste quattro ragazze può ritenersi un “prodotto” federale. E purtroppo alle loro spalle non si intravede alcun ricambio quale frutto di un sistema ben organizzato. Il fatto che non si preveda nemmeno un cambio dirigenziale a breve, visto come stanno le cose, la testardaggine ad insistere sulla Tv... di Stato a tutti i costi, l’inesistenza di candidature alternative e la pratica impossibilità di raccogliere 300 firme di altrettanti circoli in più di 5 diverse regioni(più non ricordo più quante firme di tecnici etcetera grazie ad una riforma statutaria studiata da Mario Collarile, avvocato napoletano poi entrato a far parte del consiglio federale) non conforta. Sic stantibus rebus bisogna _ proprio come diceva il vituperato presidente d’un ventennio, Paolo Galgani _ sperare che il campione ce lo mandi il Padreterno, finalmente comprensivo per la pazienza da noi dimostrata in oltre 30 anni di vane attese.

Oppure ci pensi un padre “umano” che abbia 100.000 euro da spendere annualmente, euro più euro meno, per “investire” sul proprio figliolo per sei, sette anni minimo, purchè promettente e talentuoso. Un padre consapevole del fatto che se eventualmente suo figlio dovesse farcela a sfondare, poi ci sarà _ anche nel 3011 _ il dirigente politico di turno che troverà modo di farsene vanto.

Ubaldo Scanagatta

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