13/08/2012 15:30 CEST - Personaggi

Indimenticabili frammenti di Sweet Pete

TENNIS - Il 12 agosto Pete Sampras ha compiuto 41 anni. Bastano alcuni momenti, non necessariamente vincenti, a ricordarcene l'infinita grandezza. I primi trionfi, le grandi sfide con Agassi, Lendl e Courier. Luca Pasta

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Pete Sampras (Clive Mason, Getty Images)
Pete Sampras (Clive Mason, Getty Images)

Febbraio 1990. Il biglietto per la finale di Milano era stato acquistato. L’indomani avrebbe finalmente realizzato il suo sogno tennistico. Avrebbe visto giocare dal vero Ivan Lendl, il suo idolo. Sarebbe arrivato presto al Palatrussardi, per godersi con calma la finale. Certo, quel sabato pomeriggio vi era ancora la semifinale, ma si trattava di una formalità. Con chi è che giocava Lendl? Bah, sembra con un ragazzino americano, il nome in quel momento gli sfuggiva. Poteva benissimo programmare il videoregistratore ed andare dal suo amico in tutta tranquillità. Nei quarti il grande Ivan aveva spazzato via un altro ragazzotto americano tutto muscoli, un certo Courier, un rossiccio-biondo che era capace solo di tirare legnate da dietro con un dritto tipo baseball, l’ennesimo prodotto della fabbrica Bollettieri. Giunto dal suo amico, anch’egli appassionato di tennis, accesero la televisione per controllare: c’era da farsi venire un infarto: il ragazzino americano, un tipo dai capelli neri ricci e la faccia educata, aveva vinto il primo set.

Serviva in modo spaventoso, il dritto faceva paura. Ma come, aspettava da anni di vedere Ivan dal vivo, ed ora c’era il rischio che tutto venisse rovinato da questo sconosciuto! Inammissibile! E ci si metteva pure il solito Galeazzi che criticava Lendl per le sue legittime rimostranze verso il maleducato pubblico milanese che schiamazzava nei momenti meno opportuni. Bisteccone osava dire che erano tattiche per distrarre il ragazzino in un momento in cui le cose non andavano bene per il numero uno, o comunque qualcosa di simile…(E forse aveva anche ragione). Fortuna che Ivan cominciò a giocare, a servire, a colpire la palla, ed il fastidioso ragazzino, magari davvero confuso, se ne filò a casa. Che sospiro di sollievo….! L’indomani avrebbe visto Lendl vincere il sue terzo titolo a Milano. Il ragazzino con i ricci neri? Bah, sarà stata la solita meteora…Mah, a pensarci bene…Sì, si era visto forse pure l’anno prima contro Chang...Ah sì, a Roland Garros, è vero…Di fronte c’erano due giovani promesse americane, Chang e appunto questo Sampras.

Ma era Chang la vera promessa, solido, maturo, regolare, rifilò al connazionale un triplice 6-1, altro che questo Sampras che per un bel dritto vincente faceva dieci errori, si spostava male e sembrava pure apatico. Va beh, la vittoria su Wilander in disarmo a New York un po’ di mesi fa e questa semifinale di Milano saranno state un caso…Una decina di giorni dopo la finale meneghina. Sulla fida Koper Capodistria viene trasmessa “ATP Tour”, la trasmissione settimanale dell’ATP sui tornei del circuito. E’ finito pochi giorni prima il classico torneo indoor di Philadelphia, ed ecco le immagini: in finale c’è ancora questo Sampras, che vince il suo primo titolo in carriera…Va beh, Gomez è un terraiolo, non che ci voglia molto a batterlo indoor…

Settembre 1990. E’ passata la stagione sul rosso, è passata quella erbivora, e di questo Sampras chi si ricorda più? Sì, è vero, ha vinto il torneo minore sull’erba di Manchester, ma a Wimbledon è sparito subito, è bastato un onesto giardiniere come Van Rensburg a cacciarlo al primo turno. Poi c’è stata l’estate americana, ma in vacanza, a parte qualche risultato ogni tanto, anche il tennis si perde, si dimentica… Fine agosto. Fa caldo. Ma le vacanza sono finite. Si è tornati in città. C’è da studiare. Ma c’è anche Koper. Siii! Ore e ore di diretta da Flushing Meadows con Rino e Gianni, altro che storie! E’ l’ora della rivalsa, deve esserlo. Dopo la delusione bruciante e definitiva di Wimbledon, Lendl, che ha perso da poco il posto di numero uno, deve rimettere tutti in riga a Flushing Meadows. Almeno mi illudo. Fino agli ottavi, più o meno, tutto fila liscio. Nel frattempo, io lo ignoro, il ragazzino nell’estate ha fatto strada, semifinale in Canada battendo il vecchio Mac, semifinale pure a Los Angeles, un paio di quarti…Certo con Chang perde sempre…Ed arriva quel pomeriggio nuvoloso sul Louis Armostrong. Me lo ricordo bene. E’ sera in Italia. Comincia il match dei quarti di finale.

Di fronte a Lendl c’è di nuovo quel ragazzino di origine greca, dalla pelle piuttosto scura. Sembra indolente, la testa caracolla, a volte tira fuori la lingua. Ma stavolta non posso non vedere, non posso far finta di niente. Il più grande servizio che io abbia mai visto si materializza davanti ai miei occhi. Il lancio di palla non è altissimo, ma non è neppure di quelli bassi che chiedono un mulinello rapido. L’armonia del gesto è stupefacente, e così la precisione e la potenza, specie nel servizio centrale. Ace. Servizio vincente. Lendl ha una mezza chance? Ace. O servizio vincente. Se poi si risponde, ma corto, si viene finiti con il dritto. Già, il dritto. Il ragazzino lo gioca in modo clamoroso, la palla esce dalle corde pulita, penetrante, il gesto è fluido, l’effetto letale. E se c’è da colpire al volo? Beh, c’è da lustrarsi gli occhi. Se arriva abbastanza vicino alla rete, il tocco è di gran lusso, la voleè di dritto in particolare, perfetta. Tommasi e Clerici (che apprenderò essere stato colui che ha segnalato il ragazzino a Sergio Tacchini) sono come due vecchi guardoni che assistono alla sfilata di una modella nuova, di abbacinante bellezza, talmente accecante da oscurare la vecchia diva, o meglio il vecchio re. Lendl lotta, ma è sotto due set a zero. Nel terzo e nel quarto il ragazzino cede, sembra stanco, sbaglia molto. Ma rimane stranamente quieto. Si riaccende la speranza. Al quinto lo mangiamo. Ma non è così. Lendl ha speso molto per chiudere il quarto set. E nel set decisivo, Sampras rinasce, mentre Ivan crolla. Pietrino, come lo chiamerà rivelando un debole per lui Clerici, è di nuovo quella macchina ingiocabile delle prime due ore. In mezz’ora chiude 6-2. La serie delle 8 finali consecutive di Lendl a New York è stata spezzata.

Forse Ivan si è pentito di aver ospitato il giovanotto a casa sua un paio di anni prima. “Mi faceva alzare alle 6 di mattina per andare in bicicletta”, "non c'era minuto della giornata che non fosse programmato", ricorderà un giorno Sampras. Un paio di anni dopo, butta fuori il suo maestro dal “suo “ Slam. Ma Pete non si accontenta, la resistenza in semifinale di Mac dura un set. In finale di fronte all'ancora semi-anonimo Sampras, la star americana giovane ma da tempo venerata, idolatrata, esaltata: Andrè Agassi, alla sua seconda finale di Slam nel 1990. Ma non ci sono pantalocini di jeans che tengano, non c’è ritmo, non c’è dritto, risposta o rovesci di Andreino che possano opporsi alla perfezione. E la perfezione vince. Pete Sampras, a 19 anni, vince l’Open degli Stati Uniti. E’ nata una stella. Chissà per quanto tempo splenderà.

Novembre 1991. Ma Pete Sampras ha mantenuto le promesse o no? Da cosa è stato seguito il trionfo a Flushing Meadows? Beh, si, da una buona regolarità, ma di Slam non se ne è più parlato, in Australia non è andato, a Parigi la figura con l’uomo qualunque Champion è stata penosa, ha fatto 5 games. Questo mi sa che sulla terra non va. Non tiene lo scambio lungo, non ha pazienza, si stanca…Ma ha 20 anni…Vedremo. Questo forse non va neppure sull’erba. Tommasi dice che serve talmente forte che la risposta avversa lo coglie troppo lontano dalla rete. Dice che si stupirebbe se un giorno vincesse Wimbledon. In effetti…Rostagno in 4 set l’ha spazzato via. D’estate sull’amico cemento sono arrivati due titoli, ma anche il fallimento della riconferma a Flushing. Il fabbro Courier quest’anno picchia duro, ha già vinto Parigi facendo piangere Agassi che doveva essere il fenomeno ed invece è stato bastonato per la terza volta in una grande finale. Ed ora il rosso cancella il campione in carica in tre set. Ma, dicevamo, adesso siamo a novembre, Francoforte.

Il Masters nell’era tedesca di Becker e Stich ora si gioca in Germania. Il ricordo è ancora limpido. Lendl sta esibendo gli ultimi fuochi. Nel round robin ha fatto vedere a Forget (nell’anno migliore della sua carriera) ed allo stesso Courier che quando sta bene è ancora un maestro. Affronta dunque la semifinale contro Pete con legittime ambizioni. Ma appena è cominciato il match, ecco di nuovo quella sensazione dei primi due set di Flushing Meadows 1990. Quella di impotenza. Non c’è tempo di pensare, non c’è tempo di ribattere. Ace. Servizio vincente. Ace. Attacco di dritto e voleè vincente. Oggi il ragazzo è ispirato. E allora, almeno su una moquette indoor, non vi è nulla da fare. Lendl cede 6-2 6-3, Courier in finale in 4 set. Pete vince le “Atp Finals”, come lo chiamano adesso. Ma il nostro non è un mostro di continuità. Quando va, va. Quando non va, non va. E due settimane dopo nella finale di Davis in Francia, non va. Viene spazzato da un Leconte divino e poi anche da Forget, affogando nel tripudio transalpino.

Giugno 1996. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Colui che si aveva paura fosse un eccellente perdente, una promessa non mantenuta, è diventato da tempo il padrone del tennis mondiale. Non doveva vincere Wimbledon, ma da tre anni né è il sovrano imbattuto. Al titolo iniziale agli Us Open, ha infatti aggiunto tre titoli consecutivi ai Championships, altri due titoli a New York, un Australian Open e due Masters. In mezzo a tutto questo tanti titoli del circuito, 3 anni terminati in testa al ranking mondiale, e tanti momenti da non dimenticare, come il pianto al cambio di campo a Melbourne nel 1995 avendo appreso del tumore al cervello di Tim Gullikson, o come la vittoria di Roma del 1994, che ricordo, seguii passo dopo passo, il suo più prestigioso successo sul rosso, dopo quello di Kitzbuhel 1992. Ma adesso siamo a Roland Garros. Per l’ennesima volta. Per cercare di fare un pò meglio del suo miglior piazzamento a Parigi, i quarti di finale raggiunti 3 volte dal 1992 al 1994. Facile a dirsi, difficile a farsi.

La terra per ora, è ancora vera terra. Lenta. Faticosa. Scoraggiante. Le palle lente. Ci sono belve da sabbie mobili come Courier, Bruguera, l’insaziabile Thomas Muster. C’è una montagna da scalare. La vetta non è mai stata neppure avvicinata. Come regalino iniziale c’è il vichingo Gustafsson, buon terraiolo che un ispirato Pete regola in tre set. Due giorni però dopo sul centrale assolato c’è Bruguera. Ha vinto “solo” 2 delle ultime 3 edizioni del torneo. Nei primi due set non ce n’è per nessuno. Neppure per Bruguera. Neppure sulla terra. Potenza e fantasia battono fisico ed arrotate. Anche sulla terra. Lenta. Bei tempi. Poi la storia è sempre la stessa. La fatica aumenta, i riflessi si annebbiano, le gambe si appesantiscono. Lo spagnolo strappa il tiebreak del terzo e vola 6-2 nel quarto. Ma nel quinto, incredibilmente, è Pete a risorgere. Vince 6-3 al quinto. Due giorni dopo suda le proverbiali sette camicie al terzo turno con Todd Martin , che piega in 3 ore e 21 per 6-2, ancora al quinto set.

Quest'anno Sampras sta dando l'anima a Parigi. Finalmente respira negli ottavi con l'australiano Draper. Ma arriva il giorno dei quarti di finale. E' martedì, sul centrale del Bois de Boulogne c'è un sole feroce. Siamo a quella soglia che mai prima Pete ha superato. E che vuole superare. Ma il due volte campione di Roland Garros Jim Courier non è d'accordo. Ed il copione sembra essere quello di due anni prima. Sulla Rai, lo ricordo nitidamente, non commenta il mitico Galeazzi, in Italia forse per impegni calcistici. C'è Ivana Vaccari, che svolge il suo compito dignitosamente. I fantasmi del 1994 fanno presto capolino. Courier martella con il dritto, sbaglia poco, si porta due set a zero. Sul 4-4 nel terzo set Sampras è sull'orlo del baratro. Serve sul 15-40. Ace. 30-40. Serve la prima, che non entra. Si sono rotte le corde! Bisogna andare a cambiare la racchetta, tornare sul campo, servire la seconda e salvarsi, se non si vuole che Courier vada lui a servire, ma per il match. Pete si avvia a passi lenti e a testa china, prende la racchetta, torna a fondo campo. Eccola la seconda, è all'incrocio delle righe, rimbalza male. Ace! Un momento indimenticabile. Il destino ha deciso che questa volta deve andare diversamente. E dopo 3 ore e 31 minuti durissimi, va, diversamente. Sul secondo matchpoint Sampras sembra morto. Ma chiude con un ace. In momento di rabbia Courier dirà "dicono che Pete sia un buon attore", ma Sampras è stanco davvero, esausto. Tornerà sul centrale deserto dopo la partita, per contemplare in silenzio il teatro della sua più grande impresa sulla terra. Il sogno finirà dopo 3 giorni. In semifinale Sampras, svuotato, tiene fino al 4-2 in suo favore nel tiebreak del primo set, per poi cedere nettamente in tre set al futuro winner Kafelnikov. Un Roland Garros eroico, che molti dimenticano.

Settembre 1996. Pete Sampras quest’anno non ha ancora vinto titoli nello Slam. Rischia di chiudere l’anno all’asciutto. Dopo l’inutile immane fatica di Parigi, a Wimbledon una giornata di grazia di Richard Krajicek ha posto fine alla sua serie di vittorie che durava dal 1993. Adesso a Flushing Meadows l’ultima chance. Nei quarti di finale il motorino inesauribile di Alex Corretja lo sfianca. Sono passate quasi 4 ore quando comincia il tiebreak del quinto set, di un pomeriggio eterno ed indimenticabile che è diventato sera. Sampras non ha più un briciolo di forza, ed ha mal di stomaco. Sono immagini indimenticabili. Sull’1-1 nel tiebreak, non può più trattenersi, vomita in fondo al campo. Riceve un warning dal giudice di sedia per perdita di tempo. Sembra impossibile che non crolli. Uda la racchetta per sostenersi, come un vecchio il bastone.

Ma una forza misteriosa lo guida. Sul 7-7 serve una prima a 76 miglia orarie sbagliandola. Sono momenti che non si possono dimenticare. Forse non del tutto cosciente di quello che stava facendo, serve una seconda a 90 miglia. Corretja, che si era spostato per rispondere di dritto, è sorpreso. E’ un ace. Lo spagnolo semplicemente non capisce. E con un doppio fallo consegna il match a Sampras. “Tim era con me ed io l’ho fatto per lui” dirà poi. L’anemia mediterranea, l’indolenza, l’apatia sapevano lasciare in lui il posto a qualcos’altro, in certi momenti.

Settembre 2001. 5 settembre. Ad un cambio di campo la telecamera si alza e inquadra lo sky-line della Grande Mela. Svettano, come sempre, le Twin Towers. Dopo pochi giorni al loro posto ci sarà un tragico vuoto. Ma i 23 mila dell'Arthur Ashe non lo sanno. Sono estasiati, perchè due trentenni abbondanti stanno loro offrendo lo spettacolo forse più meraviglioso che si sia mai visto su un campo da tennis. Pete Sampras ed Andre Agassi sono quasi in pensione, ma in 48 giochi non perdono mai il servizio. Quando credi di aver visto tutto, ti mostrano qualcos'altro. Questa sera Sampras è stupefacente anche con il rovescio. Non ci sono parole per descrivere gli infiniti scambi clamorosi di questo match. I vincenti non si contano. A mezzanotte e un quarto, Agassi manda un dritto in rete. E' finita. Sweet Pete, che ha vinto il suo ultimo Slam nel 2000 a Wimbledon e cominciava a sembrare a tutti un pensionato, ha vinto anche stavolta. Cederà in finale a Llyton Hewitt. I tempi stanno cambiando. La mediocrità e l'omologazione sono in agguato.

Arriverà ancora il trionfo di Pete a 31 anni a Flushing Meadows l'anno dopo, sempre contro Andreino. Sarà una bella finale, ma non sarà la stessa cosa di quella sera. Quel match del 2001, vinto da Sampras 6-7 7-6 7-6 7-6, mi piace considerarlo il testamento ed il manifesto del tennis di Andre e Pete. Soprattutto di Pietrino. Dopo qualche anno di grigiore, gli dèi del tennis decideranno di mandare quel ragazzo svizzero che in quello stesso 2001 aveva mandato fuori il vecchio Pete dal suo giardino londinese, ad illuminare con la luce del suo talento, il buio panorama del tennis mondiale. Sarà un talento più completo nella gamma complessiva dei colpi, ancor più duraturo, ancora più vincente. Roger Federer vincerà laddove Pistol Pete fallì sempre, sui rossi campi parigini. Ma permettete a chi scrive, opinione personalissima, di pensare che la sensazione di divina ed inarrestabile perfezione che Pete Sampras in alcuni momenti ha dato sull'erba e sui tappeti indoor, rimane forse unica.

Luca Pasta

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