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30/08/2010 17:28 CEST - ATP Tour

La madre di tutti i coach

Judy Murray potrebbe rimanere come coach di Andy anche dopo gli Us Open: parola di Brad Gilbert. Il tennis maschile rischia di ritrovare una nuova mamma allenatrice dopo Gloria Connors. Alessandro Mastroluca

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Andy Murray ha svelato il segreto del successo di Toronto. Sono i bigliettini che gli scriveva mamma Judy e che lui portava in campo e di tanto in tanto guardava. Basta per pensare ad un ruolo di coach a lungo termine per Judy Murray?

Brad Gilbert è convinto che la prospettiva non sia poi così fantasiosa. “Mi sembra che con sua madre al fianco sia più felice, più rilassato. Ora quando guarda verso il box non trova nessuno contro cui scagliarsi”. E l'americano, chiamato a 750 mila sterline l'anno dalla LTA per incanalare i bollenti spiriti dello scozzese, lo sa bene: è stato per un po' un'attrazione su youtube il video di sei secondi del 2007 in cui Murray alza il pollice verso Gilbert e contemporaneamente lo manda a quel paese con il volto rivolto alla telecamera.

Lei gli ha insegnato a giocare, è stato il suo primo coach; loro si parlano tanto e Murray sembra soddisfatto. Non mi aspetto che le cose possano cambiare, almeno a breve”.


Prima di me, il diluvio
Judy Murray è molto più di un coach: ha praticamente fatto nascere il movimento tennistico in Scozia. Lo sport, Judy Erskine (questo il suo nome da nubile), ce l'ha nel sangue. Suo padre, Roy, è stato un calciatore professionista di seconda fascia, cresciuto nel vivaio dell'Hibernian e con 46 presenze nelle serie minori con le maglie di Stirling Albion e Cowdenbeath. Con sua moglie giocava spesso a badminton. Judy, alla Morrison's Academy di Crieff, era nelle squadre di netball, nuoto e hockey. Una volta iscritta all'università di Edimburgo, ha giocato a volley e squash. Ma ha soprattutto rappresentato la Gran Bretagna ai Giochi Mondiali Studenteschi, giocando a tennis.

Nel tour girava senza coach, e non frequentava centri di allenamento: una volta, in Francia, dormiva in una tenda crollata sotto la potenza di un temporale. E, diventata pro, continuava ad andare all'ufficio postale per ritirare i soldi che i genitori le mandavano dalla Scozia. Certo, erano giorni decisamente più semplici. Giorni in cui Judy, dopo aver perso al primo turno da Mariana Simionescu, se la ritrova in spogliatoio che le chiede ospitalità per poter fumare una sigaretta senza farsi scoprire dal fidanzato, Bjorn Borg.

Andy si è molto legato alla madre, soprattutto dopo il divorzio dei genitori, quando aveva nove anni. Da un anno, Judy era diventata nazionale scozzese. Un ruolo che ha abbandonato dopo di dieci anni di inutili tentativi di convincere la Federazione a investire sui giocatori. Poco dopo Murray avrebbe vinto gli Us Open junior. Nel 2007, poi, Judy è stata assunta come coach dalla LTA.

“E' il simbolo del sacrificio disinteressato della mezza età” ha scritto di lei, un anno fa, Rachel Johnson sul Sunday Times. “Il simbolo di chi dedica il suo tempo ai suoi talentuosi figli così che possano vivere il sogno di vincere titoli nello sport che tanto lei ama”. Ma Judy ha sempre detto di non essere la classica mamma che spinge i figli a fare qualcosa, ma una madre che fa in modo che le cose accadano per i suoi figli.

E, che piaccia o no, ha avviato al tennis il britannico di maggior successo dai tempi di Fred Perry, e ha instillato la testardaggine e gli spigoli di un carattere che troppe volte deraglia verso l'antipatia.

Un ruolo, quello di madre-coach, piuttosto inusuale nel tennis, soprattutto maschile, e nello sport in genere (forse il caso più celebre attualmente è quello di Andrew Howe). La mamma di Marat Safin, ad esempio, è un’allenatrice molto stimata in Russia, ma non sembra abbia mai avuto un qualche ruolo nello sviluppo tecnico del figlio. Più frequente trovare genitori allenatori delle figlie, e non sempre con risultati positivi per la crescita delle giocatrici.

A livello maschile, la più celebre mamma-coach resta certamente Gloria Connors, che aveva imparato a giocare a tennis da sua madre, Bertha Thompson. Quando era incinta di Jimmy, suo secondo figlio, aveva fatto pulire livellare il terreno dietro la loro casa a Belleville, Illinois, per costruire un campo. Sperava di vedere il primogenito Johnny (poi diventato maestro a Atlanta) ma lui, cresciuto dal padre, sindaco a East St.Louis, non aveva mai mostrato la stessa passione per il tennis del fratellino Jimmy. Bertha e Gloria hanno insegnato a Jimmy le regole e le tecniche del gioco ma soprattutto l’hanno reso il giocatore determinato e bizzoso, il mastino showman che ha appassionato e diviso generazioni di tifosi. “Gli abbiamo insegnato a essere una tigre” ha spiegato Gloria in un’intervista a Sports Illustrated del 1978.

Un percorso seguito anche da Judy Murray, che ha tentato di costruire in Andy quello che le era mancato da giocatrice. “Non avevo nessun colpo decisivo” ha sempre detto del suo gioco, “non so se ho mai tirato un vincente in vita mia. Ma ero molto rapida in campo, leggevo bene il gioco ed ero molto determinata. Ributtavo di là tutto, ogni palla, fino a sfiancare le avversarie”.

Rivoluzione o anti-tennis?
Uno stile non troppo lontano da quello del Murray degli inizi. Per conferme chiedere a Neville Godwin, veterano sudafricano che si è trovato questo sedicenne atipico a Manchester, nel primo match dello scozzese a livello Challenger, nel 2003. “Non riuscivo a credere di perdere da uno così. Giocava come un dodicenne”. Eppure, a furia di palle lente e di angoli acuti Murray vince 7-5 6-1. Non molto tempo dopo, Godwin lascerà il tennis.

Frew McMillan, ex campione di doppio a Wimbledon e ora commentatore per Eurosport, descrive il suo gioco come “un tennis irriconoscibile. Metti gran parte dei giocatori davanti a uno specchio, e vedi altri campioni alle loro spalle. Se guardi Federer, ad esempio, vedi i gesti dei grandi campioni del passato. Ma se ci metti Murray non vedi nessun altro così. Ed è proprio questo elemento irriconoscibile nel suo gioco che rende difficile adattarsi per gli avversari”.

Uno stile che divide i critici e gli analisti. Charles Bricker l’ha definito "throwback", "retrò". Uno stile ibrido, che sacrifica l'estro alla brillantezza dell'astro, direttamente proporzionale ai successi. Ma Time, in un articolo pubblicato durante Wimbledon, ne ha parlato come “di un concerto di disarmonia aritmica” e l’ha bollato come “l’anti-tennis”.

Il suo è un tennis polifonico, forse cacofonico, che negli ultimi anni, con la gestione Maclagan e ancora di più con l’arrivo di Corretja, si è nutrito di un difensivismo esasperato che non gli ha certo portato vantaggi. Murray appare come un giocatore capace di molte soluzioni ma che, come molti giovani di talento, si sia trovato a dover imparare a capire quale scelta fare di volta in volta: e abbia preferito rinunciare a scegliere, aspettando l’errore dell’avversario.

Quale futuro per Murray?
È la stagione del Passivismo murrayano: “non è abbastanza positivo”, “non aggredisce il gioco”, “permette anche ad avversari più deboli di restare in partita”. Tutto vero, tutto giusto. Ma trovare una soluzione può non essere così facile.

Innanzitutto deve esserci la volontà di cambiare. Non si improvvisa una propensione al gioco d’attacco, deve venire naturale, serve che il giocatore si senta in fiducia e sicuro abbastanza da cercare di verticalizzare di più il suo gioco con convinzione e anche nei momenti difficili. Non basta andarci un paio di volte, o tentare il serve-and-volley disperato quando si resta con le spalle al muro.

I consigli, in questi ultimi mesi, non gli sono certo mancati. John McEnroe, prima di Wimbledon, gli aveva suggerito di variare di più la velocità della prima (invece di cercare sempre l’ace a oltre 200 kmh) per aumentare la precisione e alleviare la pressione su una seconda vulnerabile.

Il consiglio migliore, però, era arrivato da Roger Federer. “A volte non puoi limitarti al tennis percentuale, devi giocare aggressivo, come uno junior”.

A Toronto Murray l’ha preso in parola. Ma basteranno i bigliettini di mamma a non farne un fuoco fatuo?
 

Alessandro Mastroluca

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker