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23/08/2010 23:16 CEST - Vecchie glorie

Sampras Agassi e la festa colombiana

Si è giocato a Bogotà ed era una tappa dell'AgassiSamprasTour che ha già fatto sosta in Cina e a Portorico. A Marzo, nel doppio di beneficienza per Haiti, a cui partecipavano anche Nadal e Federer, i due si erano beccati in mondovisione. Alessandro Rizzi

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Bogotà, 20 Agosto 2010, sempre loro, Andre e Pete. Un racconto infinito che dura da quando Andre aveva 9 anni, Pete 8 e i due calcavano i campi americani dei tornei juniores. Un racconto che i due amici nemici non sembrano voler concludere, prigionieri di una rivalità che li tiene ormeggiati al proscenio e in fondo li fa emozionare ancora, adesso che il tennis è soltanto esibizione e va condito con scherzi e battute da cabaret. Come se il tennis non bastasse più al pubblico pagante, ora che Andre ha superato i 40 e il peso forma è un lontano ricordo e Pete ha sfoltito di molto la chioma nera delle origini greche.

Nel tempo dei trionfi, quando si giocavano la storia, non c’era spazio per i sorrisi. Pete spalancava la bocca e spingeva fuori la lingua a penzoloni, mentre Andre, con l’ansia irrisolta di chi è destinato a rincorrere per tutta la vita i propri fantasmi, bruciava il cambio di campo e incalzava il malcapitato raccattapalle di turno. Perché in palio non c’era solo Wimbledon o il torneo di casa, gli Us Open, ma una faccenda personale, una sfida di chi si stima e non vuole cedere, l’aspirazione al confronto per superare i limiti conosciuti. Così si spiega il quarto di finale Us Open 2001, una partita epica, immortale, decisa da quattro tie break senza che nessuno dei due giocatori perdesse mai il servizio. Ma non era solo la competizione a dividerli e nel doppio benefico per Haiti, giocato a Marzo dai quattro giocatori più grandi delle ultime due ere tennistiche, Sampras e Federer vs Agassi Nadal, è emersa una differenza profonda fra i due vecchi rivali, un modo diverso di intendere il gioco e ciò che il gioco cela. Nel battibecco in mondovisione, visto su youtube da 2 milioni e mezzo di persone, più consono a una patetica disputa fra ex coniugi che all’epilogo di una contesa gloriosa, una frase del Kid di Las Vegas ha trascinato a riva i detriti di ruggini antiche, innescando una successione di colpi bassi: “Devi sempre prendere le cose sul serio, eh Pete?”

L’eterno conflitto di Andre con il tennis che gli ha rubato l’infanzia e con suo padre che lo ha costretto a diventare il migliore gli ha sempre impedito di considerare questo sport soltanto un gioco da vincere. Quando il 4 Settembre 2006 si ritirò, piegato dalla schiena malandata e imbottito di infiltrazioni, perdendo sul centrale di casa a Flushing Meadows contro un Benjamin Becker qualsiasi, nelle lacrime che bagnavano i nobili inchini c’erano tante cose e fra queste la consapevolezza di una agognata compiutezza e la sensazione di un liberatorio sollievo. Ho riascoltato ciò che disse allora, con la voce rotta dal pianto e le dita a grattarsi nervosamente la nuca pelata: “il tabellone dice che ho perso oggi, ma quello che il tabellone non dice è ciò che ho trovato. E nel corso degli ultimi 21 anni, ho trovato fedeltà. Mi avete spinto sul campo e nella vita. Ho trovato ispirazione. Avete voluto che vincessi, anche nei momenti più neri. E ho trovato generosità. Mi avete offerto le vostre spalle per alzarmi a raggiungere i miei sogni, sogni che non avrei mai realizzato senza di voi. Nel corso degli ultimi 21 anni, ho trovato voi e porterò voi e la memoria di voi con me per il resto della mia vita. Grazie”.

Quasi quattro anni sono trascorsi da allora e il grazie di Andre Agassi si esprime oggi in un tour d’addio che dalla Cina si è trasferito in America Latina, prima a Porto Rico, ora in Colombia e poi farà tappa in Messico, Costarica, Panama, Brasile e Cile. Il tour è l’occasione per raccogliere fondi per la fondazione Andre Agassi, che da più di 15 anni si dedica all’educazione dei più bisognosi. Un lungo saluto d’addio, dunque, e ovviamente Andre non poteva che richiamare alle armi il nemico di tante battaglie, l’invincibile Pete, perché l’epopea di un mito è sublimata dalla grandezza dell’antagonista. Si, Pete non sarebbe stato Pete senza Andre e, chissà, forse Andre non avrebbe sconfitto i suoi demoni senza Pete.

Ed è credo con questa consapevolezza che i due si sono presentati qui a Bogotà, dimenticando i recenti rancori per sfidarsi ancora una volta e promuovere il tennis laddove è meno diffuso. Un evento unico nella storia colombiana. Il singolo fra i due titani, come li ha definiti la stampa locale, è stato preceduto da un doppio femminile, a cui a preso parte la sempre bellissima Kournikova, ormai arrugginita dalla vita sotto i riflettori. Poi, l’attesa si è consumata con domande al pubblico sulla gloriosa carriera di Pere Sampras, presentato come la vera star dell’evento. Alle 20,30, infine, sono scese le luci e i fari hanno illuminato l’ingresso del campo, mandando in visibilio gli oltre 15000 spettatori presenti.

Prima Pete, poi Andre. E i due hanno subito conquistato la folla prendendo di mira una spettatrice posizionata, malauguratamente, dietro i cartelloni pubblicitari. Nei minuti di riscaldamento dedicati al servizio, Sampras ha mirato e ha fatto fuoco, mentre Agassi mancava volutamente la risposta. La povera vittima si è consolata con gli abbracci di Agassi, mentre Sampras mostrava il pugno della vittoria. E, come ai tempi felici, il servizio di Pete ha continuato a fare male per tutto l’incontro. Sarà che i riflessi di Andre sono lontani anni luce da quando rispondeva due metri dentro al campo, sarà che, come hanno spiegato i due fuoriclasse a fine partita, l’altura di Bogotà (quasi 2600 metri) ha favorito la velocità della palla e il gioco di Sampras, ma la battuta di pistol Pete avrebbe tutt’ora pochi rivali nel circuito ATP. La partita si spiega soprattutto così. A un primo set combattuto, vinto da Sampras per 6-4, nonostante Agassi fosse avanti di un break, è seguito un secondo set senza storia, con il sette volte campione di Wimbledon ingiocabile nel proprio turno di servizio. Pete ha mostrato una discreta forma, esibendo il suo elegante e mai troppo rimpianto serve & volley e la consueta naturalezza nel fatale cross di dritto. Ma è stato un dolcissimo rovescio incrociato in back su un attacco profondo di Agassi a strappare una standing ovation al sempre più eccitato pubblico colombiano.

Dal canto suo, Andre, mascherando l’insofferenza per la successione interminabile di ace e servizi vincenti dell’acerrimo rivale, intratteneva gli spettatori canzonando amabilmente gli inesperti raccattapalle, a volte senza palline, a volte fuori posizione. Il clima gioviale ha toccato l’apice quando Sampras, nonostante l’assenza del Challenge, ha concesso un punto al suo avversario dopo un replay trasmesso dallo schermo televisivo. Agassi ha commentato: “è la prima volta che me ne dà uno!”. Ed è stato sempre Andre, con la sua maestria scenica da attore consumato, a conquistare definitivamente la folla nelle dichiarazioni a fine match: “voglio mostrare al mondo che la Colombia è un luogo stupendo da visitare. Mi sono divertito molto e, sebbene avrei preferito un incontro più combattuto, credo che tutto sia stato magnifico questa sera”. Come toccare le giuste corde di un popolo che sente la condanna dell’opinione pubblica per il suo passato di violenza e narcotraffico.

Alessandro Rizzi

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Accadde oggi...

25 Luglio 1999

Patrick Rafter inizia la sua prima e unica settimana da numero 1 delle classifiche ATP, superando Andre Agassi. Il suo è stato il numero 1 più breve di tutta la storia del tennis maschile e femminile.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker