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09/09/2010 16:27 CEST - Storie di tennis

La diplomazia
di Safin

Dalle 300 racchette spaccate in carriera al ruolo di vice presidente federale, come è cambiata la vita del campione russo dal giorno del ritiro. "Ora vado in ufficio ogni giorno, rispondo al telefono, mando qualche mail". Alessandro Mastroluca

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«Non sono perfetto, e non lo è stato nemmeno la mia carriera. In fondo il tennis è come la vita, incasinato». Un anno fa Marat Safin commentava così il suo ultimo torneo di Mosca dopo aver perso da Korolev. Un torneo che ha preceduto di poco il suo ritiro, e che ha aperto la strada verso una seconda carriera che sembra stonare e non poco con l’immagine che Marat ha costruito in anni sul circuito.

L’ex numero uno del mondo che a vent’anni umilia Sampras a Flushing Meadows festeggiando a vodka e champagne, che vince un solo altro Slam, che perde una finale praticamente senza giocarla, contro Johansson in Australia nel 2002, mentre tre ragazze provocanti lo incitano dal box, il campione che ha vinto 15 tornei e spaccato 300 racchette, che ha festeggiato un vincente particolarmente spettacolare abbassandosi i pantaloncini, ora fa parte della Federazione russa. Lavora come un vicepresidente, con l’obiettivo di ristrutturare il movimento tennistico: «Vado in ufficio, rispondo al telefono, mando qualche e-mail». Per ora lavora gratis, ma dal prossimo mese guadagnerà 3000 rubli al mese, circa 1000 dollari: per chi ha accumulato in carriera premi per oltre 14 milioni di dollari non sono certo numeri che fanno girare la testa.

Fa parte anche del Comitato Olimpico russo, e nel 2009 si era parlato di una sua possibile candidatura alla vice-presidenza, che poi Marat ha ritirato. Avrà anche un ruolo nell’organizzazione della Kremlin Cup, il torneo di Mosca, cui è molto legato e che non è mai riuscito a vincere. Per cercare di convincere qualche stella a partecipare, oltre che per abbracciare qualche vecchio amico, si è fatto vedere a Wimbledon dimostrando che sta affinando l’arte della diplomazia. «È tutto bellissimo» ha detto lo stesso Safin che qualche anno fa, dopo una sconfitta, dichiarò di odiare l’erba lamentandosi perché il cibo era troppo caro.

In questi giorni è a New York, dove è stato intervistato dal giornalista russo Alex Zilbert, ma non è andato a Flushing Meadows («Non ne sento la nostalgia») e per ora non pensa di riprendere la racchetta in mano per qualche tappa del Senior Tour.

È tornato però a parlare di Dinara, con l’aria protettiva che ha sempre usato verso la sorella (ne ha anche finanziato la carriera per i primi anni, fino alla sua esplosione) che non è mai riuscita a sganciarsi dalla sua ingombrante ombra e dagli inevitabili confronti nemmeno dopo essere diventata numero 1 del mondo, facendo dei Safin l’unica coppia di fratelli in grado di raggiungere entrambi la vetta del ranking mondiale in singolare.

«Dovrebbe solo allenarsi per prepararsi all’anno prossimo e dimenticare quest’anno» iniziato con l’infortunio alla schiena dopo gli Australian Open e mai decollato davvero. Non entra invece nella sua privacy, non vuole commentare la supposta love-story con l’ex coach Krajan. «La vita privata di un’altra persona non mi riguarda».

Alessandro Mastroluca

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker