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27/09/2010 15:42 CEST - Verso le Finals

Top-10, i margini di miglioramento

Il 2010 sembra il primo anno di quella che ha tutta l'aria di diventare l'era Nadal. Cosa può fare il maiorchino per mantenere lo scettro? Cosa possono fare Murray e Djokovic per coprire il gap? Cosa dovrebbe fare a questo punto Federer? Quali le mosse possibili per Soderling, Berdych, Roddick? Alessandro Mastroluca

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Il 2010 ha visto quattro finali Slam scontate, nella sostanza più ancora della forma, come film già visti di cui già si conosce il finale. Quattro finali che hanno assommato solo 13 set: non accadeva dal 2003, quando tutti i major hanno visto title-match risolti in tre set. Il 2003 è stato l'ultimo anno dell'”interregno” tra l'era Sampras e l'era Federer. Il 2010 sembra il primo di quella che ha tutta l'aria di diventare l'era Nadal. Cosa può fare il maiorchino per mantenere lo scettro? Cosa possono fare gli altri per ridurre il gap?

I TOP 5

Rafa e Roger
Dopo i tre quarti di Slam, cosa si può chiedere di più a Nadal? Probabilmente niente. Probabilmente di continuare ad essere sempre due mosse avanti all'avversario, che è una qualità che troppo spesso finisce coperta dalla potenza fisica, dai bicipiti e dai top-spin dalle rotazioni estreme. Il suo è stato un miglioramento continuo, Rafa ha sfruttato gli allenamenti e le partite per imparare, per aggiungere dettagli, affinare tecniche e movimenti. Un percorso che non è mai finito, se è vero che ha aggiunto (o aggiungerà) più peso alla testa della racchetta per migliorare l'efficacia del servizio.

In fondo, l'incognita per il futuro, a medio e lungo termine, è sempre la stessa: finché il fisico tiene, in questo momento Rafa non sembra raggiungibile.

Roger Federer, se non in occasioni ormai rare, come il ventoso quarto di finale a Flushing Meadows contro Soderling, regala pochi dei “Momenti Federer” descritti da Foster Wallace. Guardar giocare lo svizzero ha un po' smesso di essere un'esperienza religiosa, che regala istanti in cui “serri la mascella, gli occhi sembrano uscire fuori e finisci per emettere suoni che fanno entrare le mogli dalle altre stanze per vedere se stai bene”.

Negli anni di gloria, che vanno dal 2003 al 2006, Federer sovrastava tutti sul piano atletico, sul ritmo, con una reattività di piedi che lo portava in posizione per il colpo successivo prima ancora che il movimento precedente fosse stato completato.

Nessuno poteva pensare che Federer potesse giocare sempre un tennis così difficile, che richiede standard così alti. Col passare degli anni Roger deve affidarsi di più a variazioni e soluzioni che ha a disposizione ma che magari ha sfruttato meno: deve essere un po' più stratega, e recuperare anche gli istinti, le improvvisazioni, i serve&volley in controtempo. Anche per questo, anche a Federer servirebbe forse un coach, che non gli serve certo per affinare la tecnica, ma fargli ritrovare stimoli, schemi, geometrie, fargli recuperare alcune di quelle armi che nelle anni ha fatto “arrugginire”.


Novak Djokovic
Agli ultimi Us Open, scriveva Peter Bodo, Novak Djokovic sembrava “colpire la palla bene, come sempre, come al Roland Garros, come a Wimbledon, tornei nei quali ha dato ulteriori elementi a sostegno della tesi per cui il suo gioco tende a raggiungere un buonissimo livello ma a scendere di tono esattamente nel momento sbagliato”. Se fosse un giocatore di basket, prosegue Bodo, “sarebbe quello che tira la tripla all'ultimo secondo, salvo vederla rimbalzare contro il ferro mentre un brusio di delusione si alza dai tifosi di casa”.

Non c'è dubbio che in questa posizione c'è molto di vero. Djokovic, attuale numero due del mondo, sembra faticare sempre più a togliersi di dosso l'immagine del migliore dei perdenti. Ha raggiunto risultati migliori del coetaneo Murray, che pure ha più colpi e variazioni, grazie a una maggiore determinazione. Djoko è uno show-man e un competitor, che nei momenti importanti non ha ancora trovato vie di mezzo: o si esalta, vedi la semifinale degli Us Open contro Federer o la vittoria in Australia nel 2008, oppure, soprattutto se è molto favorito, si scioglie: vedi la semifinale persa a Wimbledon da Berdych o la resa di fronte a Melzer a Parigi.

Il dritto, che gioca con presa Western, che richiede un maggiore angolo del piatto corde verso il basso nella preparazione del colpo, sa essere letale, soprattutto quando riesce a piantare i piedi dentro il campo. Per averne un esempio basti guardare i due tirati sul 4-5 15-40 nel quinto per annullare due match point a Federer nella semifinale degli Us Open. Il primo, lungolinea da sinistra, serve per aprire il punto, il secondo è un tracciante vincente dal centro sull'angolo destro. Il rovescio, soprattutto lungolinea, è un colpo naturale, fluido che Djoko prepara bene e completa meglio, portando la testa della racchetta dietro la schiena e mantenendo i piedi in equilibrio fino alla fine del movimento.

Quanto può ancora migliorare Djoko? Se riesce a giocare sempre come contro Federer e Nadal a Flushing Meadows, davvero poco. Ma il problema è proprio questo: Djokovic è uno show-man che nelle occasioni un po' meno “glamour” rischia di perdersi.
 

Andy Murray
Guardi Murray contro Federer in Australia e soprattutto a Toronto (un caso che in Canada era senza allenatore) e ti chiedi: perché non gioca sempre così? Perché un giocatore che sa essere aggressivo, che ha varietà di soluzioni con entrambi i fondamentali a rimbalzo, che ha una mano educata (e questo video lo dimostra: parte 1 - parte 2), una buona posizione a rete, alla prima avvisaglia di difficoltà sceglie di non scegliere cosa fare, di restare due metri dietro la linea e aspettare?

Può certamente migliorare qualcosa dalla parte del dritto, che gioca con una presa semi-Western che gli permette di spingere bene sulle palle che rimbalzano alte ma gli riserva qualche difficoltà in più sulle palle basse.

Il rovescio, che Andre Agassi ha definito “uno dei migliori che abbia visto”, è un colpo che “si porta da casa”.

 

Un colpo che cambia forma, senza perdere in efficacia: risposte bloccate, accelerazioni bimani o pennellate a una mano in slice o in lob. Per colmare quel quid che ancora gli manca per non restare il più forte a non aver vinto uno Slam deve lasciare la sicurezza della passività e rischiare, lasciare che il vento gli scompigli i capelli (cit.).

Robin Soderling
Non è più solo il “big hitter”, il nemico pubblico numero 1 nei tornei indoor. Servizio e dritto sono difficilmente migliorabili ancora, e con la “gestione Norman” il gioco del 26enne di Tibro ha aggiunto alle sue due armi principali un rovescio molto robusto, bimane, che diventa ancora più efficace per la capacità di Soderling di generare energia e potenza spostando il peso del corpo incontro alla palla.

Anche la mobilità è migliorata, anche se non ci si può aspettare che Robin possa mai diventare Lemaitre.

Ha scritto Robert Davis sul magazine dell'ATP Deuce dello scorso maggio: “C'è una sola parola che può descrivere il gioco di Soderling: brutale. Le sue palle sono spinte ad una velocità deliberata che esplode dal piatto corde. Il suo servizio non avrà la grazia di Krajicek o la frustata di Ivanisevic, ma ha una tale efficienza biomeccanica che lo rende letale. Robin porta in campo artiglieria pesante. Il rovescio è solido, affidabile, e riesce a tirarlo anche in anticipo, colpendo in fase ascendente cambiando direzione all'ultimo con un movimento secco dell'anca. Non c'è dubbio che il suo sia un gioco ad alto rischio. E quando è in giornata col dritto, non ce n'è per nessuno. Ma è un gioco che richiede precisione, possibilmente perfezione”.

Chi lo conosce racconta che sin da giovanissimo Soderling è sempre stato molto competitivo. Arrivato sul circuito, ha vinto il primo torneo giocato, un Futures in Svezia, e perso in finale nel secondo. In entrambi i tornei si è scontrato con Kalle Flygt, che ha ricordato: “Già allora si vedeva che aveva un gran gioco. Non aveva grandi movimenti, ma possedeva molte altre armi. E odiava perdere”. “Il suo desiderio di vincere è incredibile” commenta Robert Lindstedt.

Ma la voglia “matta e disperatissima” di vincere ha un rovescio, spesso altrettanto intenso: la paura di perdere. Una paura che spesso si manifesta nelle occasioni importanti, o comunque quando la vittoria assume un significato che va al di là del risultato sportivo. Una paura che quest'anno ha fermato Robin a Parigi (comprensibilmente) contro Nadal, dopo aver giocato un quarto di finale contro Federer a braccio sciolto e senza niente da perdere, e soprattutto (molto meno comprensibilmente) contro Almagro a Bastad. Quella paura che in carriera gli ha fatto vincere solo cinque finali su 17.

GLI ALTRI


Davydenko, nelle Finals 2009, ha spinto il suo gioco al massimo livello, il “Livello Playstation”. Davydenko ha costruito un tennis che si adatta a perfezione alle sue caratteristiche e ai suoi punti di forza.

Il dritto, quando è centrato, è devastante.

 

Col rovescio può trovare anticipo e angoli e accelerare sia in lungolinea che in diagonale, anche quando viene spinto fuori dal campo. E' l'affermazione di un assioma del tennis: se hai meno potenza, aumenta gli angoli.

Tirare quattro colpi della stessa efficacia da fondo, e farlo tenendo i piedi a ridosso della riga e colpendo in anticipo, richiede una condizione atletica perfetta e continuità di concentrazione ad alto livello. A questo punto Davydenko non può cambiare impostazione, né diventare un altro giocatore: può solo mantenere la velocità di crociera.

Può cambiare invece Verdasco, che è tornato a giocare con la sua vecchia racchetta (anche se non si vedono più i loghi del marchio, che non è più suo sponsor), ed è tornato a ottenere buoni risultati, oltre ad aver idealmente vinto il premio per il punto del torneo agli Us Open per il match point trasformato contro Ferrer.

E' invece in un limbo senza facili vie d'uscita Berdych. Il ceco è un giocatore “asimmetrico”: dritto molto efficace, rovescio ampiamente migliorabile. Ha un tennis frontale, colpisce spesso con poca rotazione d'anca, piatto. Quando le cose gli riescono, mette in fila una serie di dritti che viaggiano bassi sopra il nastro e vicini alle righe. Quando però incontra un giocatore vario, che sul piano delle variazioni lo supera (vedi Llodra), che gli toglie il tempo e lo fa giocare in difesa e in affanno, non ha i mezzi per contenere.

La sua è stata comunque una stagione trionfale, e la finale a Wimbledon è stata un premio più che meritato: contro Nadal, però, ha cercato di fare quello che un giocatore sfavorito non dovrebbe fare mai, snaturarsi. Ha provato a cambiare tipo di gioco, ha provato a giocare un tennis più tattico, con meno “abbandono”, e ha finito per pagare la scelta. Deve cedere agli istinti, affidarsi all'ispirazione.

Consiglio che vale anche per Roddick, che negli anni ha completato il suo arsenale, ha addomesticato anche il rovescio (perfino approcci choppati e qualche passante incrociato in corsa) ma ha perso un po' della specificità “grezza” del dritto piatto delle origini: ritrovarla non guasterebbe.

Poco da dire su Youzhny: giocatore troppo umorale per essere definibile, un rovescio che andrebbe insegnato nelle scuole, una acuta visione di gioco spesso rovinata da una fragilità difficilmente superabile. Va preso e amato così, prendere o lasciare.
 

Alessandro Mastroluca

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker