Italiano English Français
HOMEPAGE > > "Senza Federer Rafa n.1 da 3 anni"

02/10/2010 16:59 CEST - Rassegna Internazionale

"Senza Federer Rafa n.1 da 3 anni"

Dopo la sua vittoria agli U.S. Open, il mondo del tennis si è arreso all'evidenza: Nadal è il più giovane vincitore di tutti e 4 gli Slam e ci si chiede quale sia la chiave del suo successo. Ebbene, solo Toni Nadal, suo zio, mentore e allenatore, conosce la risposta e l'ha confessata a XL Semanal. Traduzione di Tino Cianciotti

| | condividi

Dopo la sua vittoria agli U.S. Open, il mondo del tennis si è arreso all'evidenza: Nadal è il più giovane vincitore di tutti e 4 gli Slam e ci si chiede quale sia la chiave del suo successo. Ebbene, solo Toni Nadal, suo zio, mentore e allenatore, conosce la risposta. Umiltà, lavoro e disciplina sono le parole impresse nella mente del numero uno del mondo. Leggiamo in esclusiva le dichiarazioni dell'uomo che si nasconde dietro questa “macchina” del successo.

Porto Cristo. Mallorca. 13 chilometri da Manacor. E' il territorio di Nadal e tutti qui, esclusi i turisti che visitano le grotte di Drach, conoscono i membri del clan più popolare dell'isola.

D.: Direbbe di essere stato troppo severo con Rafa?
R.: Si, tante volte. Troppo (ride). A volte tiro troppo la corda ma sono anche suo zio, non solo il suo coach. Ho più voglia di far bene di quanta ne abbia lui. E più autorità. Questo a volte mi fa essere un po' troppo duro, almeno a parole: è una caratteristica di famiglia, non amiamo compiacerci.

D.: Non le ha mai detto: “zio, dammi un po di tregua”?
R.: Si, ma generalmente presta attenzione a ciò che gli dico. Qualche anno fa a Shanghai si presentò al ristorante in pantaloncini, gli dissi di andare a cambiarsi e lo fece senza battere ciglio. Aveva 19 anni. Se dessi carta bianca ad un ragazzino di successo, a 24 anni diventerebbe un idiota. Non è il caso di Rafa: adesso sa come comportarsi.

D.: A che età Rafa ha iniziato a batterla a tennis?
R.: A 13 anni. Gli dissi che non stavo bene e lui: “Ma dai, quando perdi ne inventi sempre una!”

D.: Ha commesso degli errori nella sua carriera che le hanno permesso di essere un coach migliore per Rafa?
R.: Si. Non sono il tipo che dice che non cambierebbe nulla del proprio passato. Sarebbe stupido e arrogante. Ero un giocatore duro ma troppo difensivo. Non sapevo come fare il punto. Poi ho capito che per vincere bisogna fare qualcosa di diverso.

D.: Anche Rafa è uno duro ma sa anche come fare i punti.
R.: Ho sempre voluto che fosse più aggressivo come era da junior. Poi quando diventò professionista trovò difficile attaccare perchè i suoi avversari erano più grandi e più forti di lui.
Con gli anni ha ritrovato la sua aggressività e attacca sempre di più.

D.: Rafa ha preso in mano la racchetta fin dall'età di 3 anni. Troppa pressione per un bambino di quell'età?
R.: Non nel caso di Rafa. E' stato aiutato da tutti e lui stesso ha desiderato fare ciò che fa. E' comunque vero che lo sport sta diventando troppo precoce: i genitori sono ossessionati dall'idea del successo.

D.: Non temeva che Rafa fosse troppo giovane per il circuito maggiore?
R.: No, ha lavorato duro fin da bambino ed era nelle condizioni di farlo. Ha avuto solo la sfortuna di avere un allenatore duro come me, ma non credo se ne possa lamentare. Ricordo una volta in cui partecipava al torneo di San Juan de Luz, aveva 16 o 17 anni, e guadagnava già tanti soldi. Uscì a cena con un amico e ordinò un piatto di pesce. Io gli dissi che alla sua età avrebbe dovuto mangiare hamburger. Non è mai stato uno spendaccione: quando si è comprato la sua prima macchina ha chiesto il permesso a suo padre. Ha sempre tenuto i piedi ben piantati per terra perchè è cresciuto in questo modo.

D.: Sembra facile, ma guadagnare tanti soldi a quell'età e restare coi piedi per terra non è facile.
R.: Invece è facile. I genitori o i tutori di un ragazzo sanno di doverlo guidare fino all'età di 22-24 anni. Il fatto che guadagnino tanti soldi non c'entra nulla ma richiede una attenzione ancora maggiore perchè può trovarsi in situazioni destabilizzanti. Ho sempre detto a Rafa che si tratta di un gioco e che lui gioca bene. Nulla di più.

D.: Quanto conta il talento nel tennis?
R.: Quello o ce l'hai o non ce l'hai. La differenza la fa il lavoro duro. Rafa è stato abituato a superare i suoi limiti, ad affrontare tutte le situazioni e a raggiungere tutte le palle, possibilmente in anticipo rispetto a quanto fanno gli altri.

D.: Lei studiava Storia e Legge. Abbandonò gli studi per seguire Rafa?
R.: Quando Rafa ebbe 10 anni dissi a suo padre: “Mi dedicherò a Rafa”. Non perchè pensassi di vivere con il tennis -non guadagno un centesimo ad allenare mio nipote- ma perchè la situazone familiare me lo consentiva.
Quando Rafa aveva 7 anni dissi a suo padre che sarebbe stato un campione in Spagna. Nella scuola tennis di Manacor allenavo un ragazzo che era il secondo junior di Spagna e mi accorsi che Rafa aveva un potenziale maggiore del suo. Preferii lui ad un estraneo e i suoi genitori non si opposero, soprattutto visto il successo ottenuto.

D.: I familiari di Rafa hanno smesso di lavorare grazie al denaro guadagnato?
R.: No, suo padre lavora più duramente di prima visto che adesso si occupa anche degli affari di suo figlio.

D.: Ha consentito a Rafa di praticare altri sport?
R.: Sarò stato stupido, ma non ho mai voluto che si distraesse.

D.: Aveva già in mente un metodo di allenamento quando iniziò a lavorare con Rafa?
R.: Il principio fondamentale era il controllo: controllo della palla e della situazione.

D.: I progressi di Rafa erano programmati fin dall'inizio della sua carriera?
R.: Assolutamente si: il lavoro più importante è stato fatto tra gli 8 e i 17 anni. Poi abbiamo lasciato che le cose andassero da sé. Lo sport è una questione mentale e il bisogno di vincere, il desiderio, l'intensità gli sono stati instillati in giovanissima età.
Quando Rafa aveva 11 anni e vinse i Campionati Junior di Spagna gli mostrai l'elenco dei suoi predecessori: solo 6 di loro erano diventati professionisti. Ciò significava che era solo all'inizio. Basti vedere cosa è stato di Juan Carlos Ferrero: ha vinto il Roland Garros ed è stato numero 1 ma poi? Se le cose si mettono male bisogna fare autocritica e mantenere una certa voglia di far bene.
Se Rafa non fosse stato così forte mentalmente non sarebbe stato capace di restare al top così a lungo superando i momenti difficili e gli infortuni.

D.: C'è mai stato un momento in cui Rafa ha detto di non poter dare di più?
R.: A volte. A Roma quest'anno, per esempio, era reduce dai trattamenti alle ginocchia ed era dolorante. Ma a me non piace sentire le sue lamentele e quando si lamenta non mi avvicino neanche. Il giorno precedente il suo esordio nel torneo Rafa provava molto dolore e gli si leggeva in faccia. Io gli dissi: “F**k Rafa, cambia atteggiamento perchè non andremo via di qui”, e lui: “Uffa, ho un dolore insopportabile e ti dico che non ce la faccio”. Così aggiunsi: “Abbiamo due opzioni: andiamo via o sopporti un po' il dolore e cambi espressione. Scegli tu”. La domenica, dopo la vittoria, gli dissi che il dolore del martedì precedente era stato ricompensato perchè era stato capace di vedere le cose dal lato positivo e aveva cambiato atteggiamento.

D.: Pochi tennisti hanno saputo migliorarsi come ha fatto Rafa. Questo ha modificato la sua capacità d'autocritica?
R.: Non ho mai accettato delle scuse per giustificare le sconfitte. Ha sempre dovuto assumersi le responsabilità delle vittorie e delle sconfitte: se lavori bene vinci, altrimenti la sconfitta è possibile.
Si tende sempre a sopravvalutarci nella vittoria e ad incolpare gli altri nella sconfitta.

D.: Qual è la ragione del miglioramento del servizio di Rafa?
R.: Sono sempre stato molto critico con lui: “Con quel servizio non andrai da nessuna parte”. E lui: “Non servo poi così male”. E io: “Che classifica avresti se ci basassimo solo sul tuo servizio?”. Lui: “50, o giù di lì”. Io: “Ma che dici, ci sono almeno 100 tennisti che servono meglio di te!”.
E' sempre meglio esagerare con le critiche. Comunque il cambiamento del servizio è stata una sua idea.

D.: Dice sempre la verità quando fa una dichiarazione sullo stato di salute di Rafa all'inizio di un torneo?
R.: No. Alla mia età non dico bugie solitamente, ma la cosa andrebbe vista dal punto di vista dei nostri interessi. Dico sempre la verità a Rafa però. Quasi sempre (ride).

D.: Il suo principio potrebbe essere: la verità fa male ma ti rafforza.
R.: Una volta a Montecarlo prima che scendesse in campo contro Federer, Rafa mi chiese: “come vedi il match?”. Gli risposi: “Lui ha un diritto migliore del tuo, un servizio migliore del tuo, un gioco di volo migliore del tuo. Lui: “Non continuare...”. Ed io: “E' la verità, tu lo batti in determinazione. Fai il massimo che puoi e vediamo come finisce”. Se gli dicessi che è migliore di Federer sarei un idiota: 16 Slam contro 9. Chi mente, dunque?

D.: Federer e Rafa sono acerrimi nemici in campo ma amici fuori...
R.: Rafa ha sempre considerato la rivalità come limitata a ciò che accade in campo. L'odio tra rivali non lo abbiamo mai gradito.

D.: Crede che Rafa abbia reso Roger migliore e viceversa?
R.: No, senza Federer Rafa sarebbe numero uno da 3 anni.

D.: ...Ma il tennis sarebbe stato più noioso...
R.: Noi non ci saremmo annoiati di certo!(ride). Sarebbe stato bello non ci fosse stato Federer. Credo che anche lui pensi la stessa cosa di Rafa perchè senza Rafa sarebbe stato ancora più grande di quanto sia adesso.

Qui l'intervista in inglese
 

comments powered by Disqus
TV Tennis
Ultimi commenti
Blog: Servizi vincenti
La vittoria di Francesca Schiavone a Parigi

Fotogallery a cura di Giacomo Fazio

Ubi TV

Le giocatrici si allenano a Pechino

Quote del giorno

"Non so quale sia il segreto per vincere uno Slam; sai, non ne ho mai vinto uno".

Andy Murray dopo la sconfitta con Wawrinka agli US Open

Accadde oggi...

6 Ottobre 1905

Helen Wills Moody, una delle più grandi tenniste di sempre, nasce a Centerville, California. La Wills vinse in carriera 19 titoli dello Slam.

 

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker