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03/12/2010 13:56 CEST - Coppa Davis

La Serbia in Davis Meglio sola che...

TENNIS - La Jugoslavia unita era arrivata al massimo alle semifinali di Davis, nel 1988, 1989 e 1991, trascinata dall'attuale presidente federale "Bobo" Zivojinovic, che giocava il doppio con il croato Ivanisevic, che diserta l'ultima delle tre semifinali per lo scoppio della guerra civile. Dopo l'indipendenza Novak Djokovic guida la rinascita di una nazione che alla prima finale della sua storia. Alessandro Mastroluca

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Belgrado vive sempre una condizione di semiagonia, sospesa fra ciò che non vuole essere, e che invece è, e ciò che vorrebbe essere, ma non è” scrive David Albahari in Ludwig. È una capitale che si odia o si ama, in cui si è odiato e si è amato con la stessa intensità e, a volte, esagerata virulenza, in cui le passioni politiche e sportive hanno fatto da contraltare ai fuochi dell’ira.

Una capitale che aspetta di vivere il più grande trionfo sportivo dalla vittoria agli Europei di pallanuoto del 2006.

La Jugoslavia e la Davis – “Meglio soli”. Si potrebbe intitolare così la storia in Davis della Serbia, che in quattro anni, da quando gioca da sola (anche se ha figurato come Jugoslavia tra il 1995 e il 2003 e come Serbia-Montenegro fino al 2006) è arrivata dove la Jugoslavia unita non era mai giunta.

Quando serbi e croati (la componente più numerosa del tennis slavo, che ha dato alla nazionale jugoslava i sei giocatori con più presenze in Davis fino alla dissoluzione iniziata nel 1995) ancora giocavano insieme, la Jugoslavia non era infatti mai andata oltre le semifinali.

La storia della nazionale slava è stata attraversata regolarmente dalla Storia, dalla politica, già dal 1952 quando Milan Bradovic e il croato Dragutin Mitic hanno annunciato, durante gli Internazionali di Roma, che non avrebbero più fatto ritorno a casa.

Un incrocio, quello con la politica, che travalica i confini del tennis: basti pensare a quanto successo a Genova con i tifosi serbi che hanno provocato gli scontri che hanno portato alla sospensione-lampo di Italia-Serbia. Incidenti stigmatizzati anche dal presidente della Federazione serba, Slobodan “Bobo” Zivojinovic, l’ultimo semifinalista serbo in uno Slam prima di Djokovic, che in Davis ha vissuto due semifinali, nel 1988 e nel 1991.

“Zivo” nel 1985 aveva battuto in Davis Cash (ed era stato sputato in faccia a Wimbledon da McEnroe, espulso dall’All England Club dall’elenco dei suoi soci onorari) e l’anno successivo, a Belgrado, Leconte e Noah. In quel 1986 in cui, a Wimbledon, supera Youl, Wostenholme, Ken Flach, Van Rensburg e Ramesh Krishnan prima di perdere in semifinale da Ivan Lendl 62 67 63 67 64, punteggio che valse una bella somma a Piero Montecchio, campione di Telemike che ricordava i risultati di tutte le 1310 partite giocate in carriera da Ivan il Terribile.

È a Bobo che Srdjan Ivanisevic presenta il figlio Goran: dinoccolato, mancino, con tanta voglia di imitarlo. Zivojinovic vede le stimmate del campione e guadagna un perfetto compagno di Davis. Il doppio serbo-croato è un messaggio che va oltre lo sport, ma dura relativamente poco.

Nell’88 Zivojinovic fa due punti su quattro contro l’Italia: il secondo, ininfluente, a qualificazione già acquisita contro Canè. Determinante, però, il primo, contro Cancellotti, nel secondo singolare dopo che Paolino aveva sconfitto Oresar. Il perugino si butta avanti su servizio e risposta, Zivo è discontinuo ma dopo uno scambio di break chiude il primo set 6-4. Nel secondo Zivo vince solo 9-7, con tre palle “rubate” a Cancellotti (che ha molto protestato anche per tre falli di piede dal primo set) nel 15mo gioco da giudici di linea partigiani che approfittano della pavidità dell’occhialuto giudice di sedia svedese Magnusson. Il terzo finisce 6-3 e Zivojinovic va a giocarsi la semifinale con la Germania di Becker mentre Galgani protesta per l’arbitraggio, molto casalingo anche nel singolare decisivo Cancellotti-Oresar, che lo slavo vince 7-5 al quinto.

A Dortmund, però, non va così bene. Becker, con cui Zivojinovic aveva giocato in doppio vincendo a Bruxelles e Milano nel 1987, batte l’ex compagno per la quarta volta in singolare: finisce 75 62 64 con 15 ace di Bum Bum, che con Jelen conquista anche il punto del doppio. Bobo e Ivanisevic si fanno rimontare un vantaggio di due set, perdendo 57 46 61 11-9 9-7.

Nel 1989 Zivojinovic guida la Jugoslavia fino alla semifinale, con la vittoria nei quarti su Emilio Sanchez e in doppio, ma non c’è in semifinale.

C’è, invece, nel 1991, ultimo cavaliere chiamato a difendere una nazionale “zoppa”. C’è la guerra civile, in Jugoslavia. Un anno prima i cestisti Vlade Divac e Drazen Petrovic, serbo il primo, croato il secondo, amici fraterni, vengono quasi alle mani ai Mondiali di Buenos Aires: durante i festeggiamenti irrompe un tifoso con la bandiera croata che Divac butta via dicendo «Siamo Jugoslavia, non Serbia o Croazia».

Nell’estate del 1991 Ivanisevic, protagonista nei quarti di Davis contro la Cecoslovacchia di Korda e Novacek, durante gli Us Open, annuncia, insieme a Prpic, che non giocherà con la Jugoslavia l’imminente semifinale di Davis contro la Francia. In patria molti loro amici si sono uniti alla guerriglia contro i ribelli serbi. «Non vedo una ragione per giocare per una nazione che non esiste» spiega Prpic, che aggiunge: «È stupido uccidere, combattere qualcuno che sei mesi fa consideravi tuo amico».

Ivanisevic, che a Flushing Meadow dichiarava “questa è la mia pistola, la mia racchetta” due anni dopo annunciava: «Mi hanno permesso di usare una mitragliatrice. Mi hanno mostrato come fare. Era difficile controllarla, ma è stata una bella sensazione. Pensavo che sarebbe stato bello avere qualche serbo davanti a me».

Così Zivojinovic difende la patria con l’imberbe Srdjan Muskatirovic, al debutto in Davis. Ma contro la nazionale che fu dei Moschettieri non raccolgono nemmeno un punto. Il dead rubber contro l’attuale capitano francese Guy Forget è l’unica partita intera giocata in Davis da “Bobo”, che l’anno dopo chiude la sua carriera da giocatore nella coppa ritirandosi dopo aver perso il primo set dall’australiano Fromberg.

La nuova generazione – La guerra fa saltare una generazione, la Serbia torna ai vertici del tennis nei Noughties, grazie soprattutto a Novak Djokovic che non ha mai fatto mistero di quello che significa per lui giocare in Davis. Tanto da aver rinunciato alle sirene del denaro per amore di bandiera.

Era il 2006, il 19enne Djokovic, allora n.63 e più giovane top-100, era il frontman della Serbia-Montenegro contro la Gran Bretagna. Il 9 aprile, a Glasgow, Djoko batte Rusedski e dà alla sua nazionale il punto del decisivo 3-1.

Nel frattempo l’allora presidente della LTA Stuart Smith e Scott Draper avvicinano la mamma di Djokovic, Dijana, suggeriscono che Novak potrebbe avere un miglior supporto giocando per la Gran Bretagna, con l’amico Murray, e promettono che anche i fratelli Marko e Djordje potranno usare le strutture.

Djokovic inizialmente smentisce ma anni dopo svela: «La Gran Bretagna mi offriva grandi opportunità, ma io non avevo bisogno di denaro così tanto come in passato. Guadagnavo già abbastanza da potermi permettere di viaggiare senza un coach e mi sono chiesto “ne vale la pena?”. Io sono serbo, sono fiero di essere serbo, e non mi va cancellare tutto questo solo perché un’altra nazione mi offre condizioni migliori. Se avessi giocato per la Gran Bretagna avrei giocato esattamente come gioco per la mia nazione, ma dentro non avrei mai sentito di appartenerle».

Nel 2007 Djoko è decisivo nel playoff contro l’Australia, in cui porta a casa tre punti e guida la Serbia al World Group 2008. Qui, al primo turno, di fronte c’è la Russia: Djokovic vince il doppio con Zimonjic, ma si ritira, avanti due set a uno, nel primo singolare della domenica contro Davydenko: Novak, che ha sofferto di sintomi influenzali nei giorni precedenti, sul 3-0 in suo favore nel terzo inizia a respirare male e si ritira, dice, per non rischiare la salute.

L’anno successivo la Serbia torna nel World Group, ma di fronte c’è la Spagna di Nadal. Un mese dopo i due saranno protagonisti della partita più lunga (e certo una delle più intense) sulla distanza dei due set su tre, ma a Benidorm Novak conquista solo nove game.

Il resto è cronaca di quest’anno. È la storia della prima vittoria serba nel World Group, contro gli Usa, che escono per la prima volta al primo turno nel 2005. Djokovic batte Querrey venerdì e Isner domenica, dopo una lotta di 4 ore e 16 minuti, con Djokovic che spacca due racchette (e prende anche un penalty point nel quarto set), spreca cinque match point e chiude al sesto 7-5 3-6 6-3 6-7 (8-6) 6-4 con Isner che mette a rete una risposta di dritto e fa esplodere la Belgrade Arena.

I quarti, in Croazia, sono tanto più sentiti alla vigilia, per le evidenti implicazioni geo-politiche, quanto tranquilli in campo con i campioni croati fin troppo spenti: Djokovic non perde un solo set e cede solo 19 giochi per sconfiggere Ljubicic e Cilic.

In semifinale, una gastroenterite lo tiene fuori dalla prima giornata, ma rientra in tempo per il doppio (vinto dai cechi) e rimontare Berdych dando il là all’impresa serba che vale la prima finale della storia.

Belgrado, sospesa tra realtà e desideri, aspetta.
 

Alessandro Mastroluca

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Battendo Nalbandian-Calleri in tre facili set (6-2 6-3 6-4 lo score), la coppia Safin-Tursunov regala alla Russia il fondamentale punto del 2-1 nella finale di Coppa Davis l'Argentina. Un punto che poi risulterà decisivo perchè lo stesso Safin, dopo il 2-2 firmato da Nalbandian, siglerà il punto decisivo contro Josè Acasuso.

Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker