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07/12/2010 20:03 CEST - ATTREZZATURA

Tutti i segreti del "paint-job"

TENNIS _ Riflettiamo sul paint-job, pratica adottata da moltissimi giocatori, che preferiscono conservare il telaio di fiducia in barba alle evoluzioni. Motivazioni e limiti di un espediente forse inadatto all’epoca odierna. La Donnay e la Head di Agassi, Sampras che giocava solo made in St.Vincent, Blake con sole tre racchette come un giocatore di circolo. Pure Borg quando passò dall'amata Donnay alla Snauwaert. È ora di dar fiducia al consumatore appassionato? Franco Serdino

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Partiamo dalla definizione. Per "Paintjob" si intende la pratica consistente nel pitturare la racchetta del tennista professionista con i colori del modello sul mercato, in modo da permettere all’atleta di giocare con l’attrezzo preferito, solitamente quello con cui ha affrontato il passaggio da junior a pro.

La scoperta dell’esistenza dei paintjobs è, specialmente per un ragazzo “under” appassionato, parificabile alla scoperta dell’inesistenza di babbo natale….da sempre infatti il pensare di avere tra le mani la racchetta del campione preferito è una tentazione spesso irresistibile, vero motore del mercato tecnico italiano. Ricorderanno i meno giovani l’arrivo nei negozi specializzati della nuova Donnay blu e giallo fluo di Andrè Agassi appena uscito dal contratto Prince, nessun dubbio all’epoca che il kid di Las Vegas giocasse effettivamente con l’attrezzo in bella mostra sugli scaffali, sappiamo ora però che Andrè inizialmente giocò per lungo tempo con una Prince pitturata (magro espediente visto che c’era una traversa al “cuore” di troppo) per poi impugnare effettivamente una Donnay solo quando gli fu proposta una diversa racchetta più adatta al suo gioco (lo specifica lo stesso Agassi nella sua autobiografia “Open”). La questione è piuttosto complessa: parliamo di un gioco in gran parte basato sulla fiducia dell’atleta nei propri colpi, costruita in almeno un decennio di allenamenti quotidiani, un gioco dove una palla dentro o fuori di pochi centimetri è capace di decidere una semifinale di un Masters ( Nadal-Murray: due dritti inside - out simili negli ultimi due punti del tiebreak decisivo, poco fuori per lo scozzese, poco dentro per il maiorchino: the winner is Rafa Nadal ), con tutti i risvolti finanziari immediati e conseguenti per l’atleta ma anche per lo sponsor tecnico, ovvero: meglio obbligare il testimonial a giocare realmente con il prodotto sul mercato rischiando di minarne le certezze o assecondarne le sensazioni e trovare un espediente che permette di salvare le apparenze e far rendere comunque al massimo l’investimento (più il giocatore vince più il prodotto vende…)? La storia della Wilson ProStaff di Pete Sampras è sempre esemplificativa: Sampras per tutta la carriera ha sempre voluto tra le mani solamente ProStaff Original, solamente colorate nere con righe gialle e rosse e solamente quelle prodotte nell’isola di St.Vincent, diventate negli anni veri oggetti di culto: St.Vincent è una piccola isola nei Caraibi dove Wilson ha prodotto racchette dal 1983 al 1991, nessuno degli operai che vi lavoravano aveva esperienza iniziale di attrezzi per il tennis, ragione per cui, secondo i tecnici Wilson, i telai erano esenti da errori produttivi dovuti all’abitudine a concetti di costruzione precedenti; sta di fatto che il campionissimo americano ha sempre riconosciuto il particolare feeling degli attrezzi made in St.Vincent e anche dopo la chiusura della fabbrica ha sempre voluto le racchette residue provenienti da lì. Wilson ha chiesto a Sampras almeno di pitturare la racchetta come i nuovi modelli, lui non ha mai accettato, qualcuno può dire che sia stata una scelta ( anche di marketing ) sbagliata?

Intervista verità è quella concessa da Blake a Indian Wells: James ammetteva candidamente di avere con sé solamente tre racchette con cui riusciva a giocare, molte case produttrici avevano cercato di replicarle, stesso peso, rigidità, swingweight…tutto identico but the feeling! Un giocatore di primissima fascia che gira il mondo con solamente tre racchette “buone” pitturate, trattandole come gioielli e forzandosi di non abusarne mai, incredibile ma vero.  Agassi, sempre lui, è stato indiscutibilmente IL protagonista del gossip tecnico tennistico: quando passò a Head fecero per lui la prima Radical Tour Oversize, quella gialla e nera, è opinione condivisa che Andrè ha giocato da quel momento praticamente sempre con quel modello ( per un periodo ha però provato il modello instinct… ); Head, al ritiro dello statunitense, ha messo sul mercato una racchetta celebrativa con le stesse specifiche del modello originale, che nel frattempo erano variate nelle evoluzioni oggetto di paintjob. Entusiasmo alle stelle tra i fan puristi che mai avevano creduto ai cambi di racchetta strategici di Agassi, fino a quando si scoprì che la produzione non era austriaca come per la radical originale, e quindi not the same feeling….anche se a dirlo erano probabilmente quarta cat. over 35 ( con tutto il rispetto per la mia categoria).

La prospettiva potrebbe essere diversa: l’evoluzione del modello adottato dal campione è, per il giocatore di circolo, effettiva e tangibile, le racchette diventano di anno in anno migliori, più giocabili, più confortevoli. Le case produttrici, quindi, non prendono in giro i loro clienti, il testimonial nella grandissima parte dei casi effettivamente ha giocato con quella racchetta, non ne ha seguito gli aggiornamenti poiché la fiducia per lui significa gloria e denaro, ma la base di partenza è stato quell’attrezzo, continuamente migliorato negli anni ( Babolat Pure Drive, Aero Pro Drive, Head Prestige mid e midplus…… ) è così difficile rendere pubblico e giustificabile un concetto così ragionevole? Di più: per ogni giocatore che utilizza un vecchio modello pitturato c’è un futuro campione X che impugna il nuovo modello presente nei negozi con il quale sta giocando i primi tornei challenger e che non cambierà praticamente mai per tutta la carriera; non è quindi assolutamente una questione di minore qualità dei nuovi telai, poiché la situazione sarà esattamente la stessa per i modelli di racchetta futuri, in un susseguirsi di evoluzioni non prese in considerazione dall’atleta di punta di oggi ma assolutamente si da quello di domani.

Esistono dei siti specializzati i cui utenti ricercano la vera racchetta che si nasconde dietro il paintjob per ogni giocatore di vertice; discussioni intense intorno al differente posizionamento dei passacorde, al differente sistema di smorzamento vibrazioni, a qualsiasi particolare a prima vista insignificante che possa svelare l’arcano; ci sono dei veri e propri esperti universalmente riconosciuti nel loro microcosmo. Nulla sfugge all’informazione globalizzata, basta un appassionato che segue da vicino un allenamento e fa qualche foto in alta risoluzione per rendere ridicolo ogni tentativo di camuffare l’effettiva situazione, in pochi secondi ognuno può essere a conoscenza della verità, basta cercare. Si tratta, a ben pensarci, di segmenti di mercato, la stragrande maggioranza dei potenziali compratori non si interessa di andare a guardare in HD se la racchetta che andrà a comprare è effettivamente quella del campione, sa che è una X modello Y e tanto basta, gli altri sviluppano semplicemente un altro mercato, quello della ricerca dell’attrezzo originale, che ben felici pagheranno più di quello attuale.

La mia opinione è quindi che la chiarezza potrebbe essere, al solito, la soluzione migliore: ricapitolando il giocatore preferito gioca effettivamente con Babolat, Head, Wilson o qualsiasi altra marca, ha scelto un determinato modello, che poi è stato oggetto di evoluzione da parte degli stessi tecnici che l’hanno creato e che in questa nuova versione è utilizzato dalle “young guns”, le star di domani; Il campione, superallenato, fisicamente e tecnicamente non confrontabile con l’utente medio ha poi un settaggio custom che rende la sua racchetta comunque diversa ed improponibile per la totalità dei giocatori che fanno il mercato; la verità è quindi che il punto di partenza è stato effettivamente la racchetta dell’atleta, poi le strade di “Mario Rossi” e del professionista di turno si sono giustamente divise per permettere a ciascuno di esprimere il suo miglior tennis, cosa impossibile da farsi, e questo è poco ma sicuro, impugnando lo stesso attrezzo. Strategia di marketing utopica? L’evoluzione del consumatore, che è oggi spesso molto più informato e informatizzato oltre che attento ai particolari del negoziante non rende così scontata la risposta

Franco Serdino

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker